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Il Presidente Ballarin scrive a “Meridiani” su Istria e Dalmazia – 17giu13

Il fascicolo del Giugno 2013 dei “Meridiani”, nota testata di viaggi e turismo, è interamente dedicato alla Croazia, ovvero all’Istria e alla Dalmazia. Rilevata la correttezza di alcuni servizi compresi nel fascicolo, su altri il Presidente nazionale ANVGD Antonio Ballarin ha ritenuto di inviare al Direttore responsabile, Maria Giovanna Mazzocchi, la lettera che riproduciamo integralmente.

Ho letto con molta attenzione il fascicolo n. 207 di Giugno 2013 dei «Meridiani» dedicato alla Croazia, ovvero all’Istria e alla Dalmazia, apprezzando l’ampio ricorso alla toponomastica storica italiana, che l’Austria-Ungheria – alla quale quei territori furono lungamente soggetti dopo la caduta della Repubblica di Venezia e la parentesi napoleonica – ebbe sempre la correttezza di rispettare, e per lunghi secoli in uso nelle carte nautiche e nei portolani dell’intera Europa, come chiunque voglia può verificare.

Nel fascicolo sono finalmente chiamati con il loro nome (e non “tradotti” in croato come la disinvolta pubblicistica d’oltre confine è solita presentarli agli ignari) gli artisti italiani che lavorarono nell’età dell’Umanesimo e del Rinascimento nell’Istria e nella Dalmazia feconde di relazioni con la sponda occidentale dell’Adriatico, con la quale condivisero e intrecciarono intensi rapporti in ogni settore della vita sociale, economica, culturale. È, questa, una delle battaglie dell’Associazione che presiedo e degli altri sodalizi rappresentativi degli esuli italiani di antico insediamento storico nei territori ceduti nel 1947 alla Jugoslavia: di veder riconosciuto e rispettato il grande patrimonio storico-artistico e culturale dell’Adriatico orientale, la cui specificità si è formata nei secoli grazie all’eredità latina e veneziana che l’hanno naturalmente consegnata alla civiltà occidentale.

Devo tuttavia, gentile Direttore, rilevare alcune non marginali inesattezze e parzialità relativamente alla trattazione di temi importanti, sui quali è bene essere attenti per fornire ai lettori un quadro effettivo della storia e delle sue dinamiche, che in quelle aree furono particolarmente complesse e dolorose.

Nel fascicolo, sin dall’Editoriale di Remo Guerrini, viene citata la «fuga degli italiani da Pola», altrove viene evocata l’italianità di «tutta l’Istria», ma non ne vengono indicate le ragioni storiche in modo da chiarire ai lettori l’entità di una presenza e di uno sradicamento che non ebbe precedenti, come rimarcò nel dopoguerra un grande storico liberale, l’istriano Ernesto Sestan. Dalla Venezia Giulia occupata e poi ceduta all’ex Repubblica Federativa esodarono in circostanze drammatiche dal 1943 al 1954 ed oltre, circa 350.000 italiani, cioè, in termini relativi, circa il 90% della popolazione residente, per la stragrande parte autoctoni, costretti ad abbandonare beni e affetti senza alcuna possibilità di ritorno. Con i beni illegalmente espropriati dal regime jugoslavo ai cittadini italiani (imprese, aziende agricole, abitazioni, dispositivi e strumenti di lavoro, depositi bancari) lo Stato italiano pagò per intero i suoi debiti di guerra alla Jugoslavia, e in misura così eccedente che i successivi trattati bilaterali del 1949 e 1950 quantificarono il debito di quest’ultima verso il nostro Paese in circa 130 miliardi di lire del 1947 (mai restituiti, a tutt’oggi). Premesso che in ormai 65 anni gli aventi diritto non hanno ricevuto dallo Stato italiano se non acconti irrisori sugli indennizzi previsti, già questi dati fanno intendere la reale entità di un esodo non circoscritto alla sola Pola ma esteso all’intera Istria e a Zara.

Ancora oggi le autorità croate non riconoscono ai cittadini italiani il diritto di poter rientrare in possesso dei beni denazionalizzati dal regime jugoslavo, vincolando tale diritto al possesso della cittadinanza croata.

È chiaro che una rivista di viaggi non è un trattato di storia, ma la comprensione del paesaggio urbano e architettonico e del profilo complessivo dell’Adriatico orientale passa attraverso una chiara esposizione della sua evoluzione civile e culturale. Né la citazione della «Repubblica di Dubrovnik» aiuta in alcun modo, non essendo mai esistita. È esistita la Repubblica di Ragusa, o di San Biagio, così nota nei secoli e agli Stati del suo tempo. Così come è esistita Parenzo prima di Poreč, il Canale di Leme prima del «Limski kanal», le isole di Brazza e di Lesina prima di Brač e di Hvar.

Di quella civiltà è parte anche la tradizione gastronomica mediterranea, ereditata dalla consuetudine con il mare sul quale si affacciavano le città istriane e dalmate di cultura veneta, con l’eccezione di Fiume che, per la sua diversa vicenda storica, elaborò una più articolata convivenza di usanze. Lo stesso lessico marinaro è di derivazione veneziana e italiana: il «Mandrać» altro non è che il mandracchio, così come la «Loža» altro non è che la Loggia, luogo topico della vita civica italiana almeno dall’epoca dei Liberi Comuni.

Per quanto concerne le associazioni dei profughi, esse non «rinnovano periodicamente ìl loro “grido di dolore”» perché non sono sodalizi di superstiti reduci ripiegati su sterili nostalgie ma attive rappresentanze nelle quali si annoverano, a livello dirigenziale e non, le seconde ed anche terze generazioni dell’esodo. Al lavoro costante di questa Associazione e delle altre rappresentate in seno alla Federazione delle Associazioni si deve l’istituzione anni addietro, presso la Presidenza del Consiglio, di un Tavolo di concertazione per tutti i problemi ancora aperti in tema di tutela dei diritti e di corretta applicazione delle leggi dedicate. Dal Tavolo di concertazione discende il Gruppo di lavoro sul confine orientale istituito nel 2009 presso il Ministero della Pubblica Istruzione per rivedere la didattica sulla «questione orientale» con il contributo di autorevoli storici di varia formazione e con l’adesione del Touring Club Italiano e, da quest’anno, dell’Associazione Italiana Editori. Già quattro sono stati i Seminari nazionali promossi dal Gruppo di lavoro e riservati alla formazione dei docenti delle scuole italiane, sulla cui scia diversi Uffici Scolastici Regionali (ex Provveditorati) si sono attivati per analoghe iniziative in collaborazione con le nostre rappresentanze territoriali.

Una progettualità che va certamente nella direzione di un radicale cambio di rotta nella conoscenza della ricchissima civiltà adriatica, relegata per decenni ai margini della conoscenza per strumentale opportunità politica e ideologica interna ed internazionale, come dal 2005 hanno riconosciuto i Presidenti Ciampi e Napolitano in occasione delle commemorazioni al Quirinale del Giorno del Ricordo, istituito con la Legge n. 92 del 30 marzo 2004.

Il fascicolo cita appena la Comunità Nazionale Italiana residente nei territori oggi a sovranità slovena e croata, che con lunghe ed aspre ed anche rischiose battaglie prima in seno al regime totalitario di Tito, successivamente nella Croazia ipernazionalista di Tuđjman, e in parte ancora ai nostri giorni, ha conservato l’identità culturale in un contesto connotato da atavico etnocentrismo e feroce sistema repressivo, riemerso con le guerre balcaniche ancora negli anni Novanta. La ricomposizione della frattura dell’esodo è un altro degli impegni di questa Associazione, sia per ristabilire, sul piano storico e morale, l’unitarietà di un popolo trovatosi sulla linea di confine dello scontro tra opposti totalitarismi, sia per dare il massimo supporto ai nostri connazionali colà residenti, memoria viva dell’italianità storica della regione.

La cornice europea alla quale il fascicolo fa riferimento per il superamento di un supposto «anacronistico rancore» non è da intendersi quale auspicio, ma nasce nella regione giuliana e dalmata nella lunga durata della civiltà latina e occidentale garantita dai liberi Comuni italiani della sponda orientale dell’Adriatico e dai loro Statuti civici: l’antica consuetudine alla compresenza e alla relazione con comunità alloglotte scaturisce da quel modello di vita pubblica regolamentato dalla legge intesa quale patto tra cittadini, rispetto a vincoli di sangue, di etnia, di tribù, di clan. E dunque quella cornice verso la quale la nostra sensibilità contemporanea è orientata dopo il secolo dei totalitarismi – fascista, nazista e comunista – non è, per la storia di quelle regioni, un semplice auspicio ma un antico e sedimentato costume civile.

A quel costume civile le nuove istituzioni della Croazia democratica, che si accinge ad entrare nel comune spazio europeo, dovranno necessariamente conformarsi, riconoscendo l’eredità ricevuta e assumendosi consapevolmente l’onere di custodirne e trasmetterne il patrimonio d’arte rispettandone l’autentica matrice culturale. La stampa può e deve fare ugualmente la sua parte, per un turismo realmente responsabile e per un’informazione equa ed efficace.

Le chiedo, gentile Direttore, la pubblicazione della presente lettera o di una sua parte significativa sul primo numero utile dei «Meridiani».

Antonio Ballarin, presidente nazionale ANVGD

 

 

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