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Il Piccolo – 050507 – Gorizia, nuove ricerche sulle foibe

Gorizia : Nuovo ricerche sulle foibe della morte, nella zona di Ternova uccisi quasi tutti gli agenti di Polizia scomparsi Nataša Nemec prosegue in privato, nel tempo libero, gli studi sulla sorte dei deportati del ’45

Impegno volto a ricostruire con i documenti ufficiali il percorso seguito giorno dopo giorno dalle oltre mille persone di cui non si ebbe più notizia

Nuove ricerche sulle foibe della morte

Nella zona di Ternova uccisi quasi tutti gli agenti di Polizia scomparsi

di Guido Barella

Nomi, ma soprattutto luoghi. Nataša Nemec, la ricercatrice slovena al cui lavoro si deve la prima lista di 1048 persone scomparse dal Goriziano a guerra finita consegnata al comitato delle famiglie dei deportati un anno e mezzo fa, sta continuando a lavorare su quei fatti. Reintegrata ai Goriški muzej (dai quali era stata licenziata proprio all’indomani della diffusione di quegli elenchi per una questione di titoli mancanti) è stata però adibita ad altri incarichi. E allora agli studi sulle deportazioni dedica le ore libere dal lavoro, i pomeriggi, i fine settimana, le ferie. Ma, lo ha annunciato il sindaco Brancati parlando venerdì alla cerimonia al Lapidario del parco della Rimembranza, potrebbe concludere presto il suo lavoro. «Si tratta – spiega ancora Brancati – di una integrazione di nomi ma soprattutto di nuove informazioni sulla fine di quelle persone». E aggiunge, Brancati:
«Non sarò più sindaco, ma continuerò a impegnarmi anche in futuro al fianco del Comitato delle famiglie dei deportati». Nomi, ma soprattutto luoghi. Oltre confine, Nataša Nemec, scottata dalle polemiche scoppiate all’indomani della diffusione di quel suo primo studio di un anno e mezzo fa, preferisce non parlare. In silenzio, continua il suo lavoro di ricerca e di consultazione di documenti ufficiali, spesso a Lubiana, negli archivi dell’Ozna, dove si reca quando riesce ad avere qualche giorno di ferie. Il suo primo elenco di 1048 nomi riportava per ciascun deportato un numero: era, appunto, il numero di documenti in cui si trovava registrato quel determinato nome. Ora sta approfondendo lo studio di quei documenti e degli altri che nel frattempo è riuscita a rintracciare per cercare di seguire il percorso fatto da ciascun scomparso, dal momento della deportazione al momento della morte. Una sorta di diario quotidiano per ogni nome, per ogni deportato. Per giungere, quindi, alla definizione del luogo ove quegli sventurati vennero uccisi. Proprio quello che desiderano – come dichiarato anche giovedì dalla signora Clara Morassi Stanta – i familiari, in attesa da 62 anni di un luogo dove recitare una preghiera, piantare una croce, deporre un fiore. E così, ad esempio, Nataša Nemec sarebbe già giunta a stabilire che la grande maggioranza degli agenti della Pubblica sicurezza deportati sarebbe stata uccisa in una foiba della zona Ternova. Lei, dunque, prosegue il suo lavoro. Ma è, giocoforza, un lavoro difficile, lento, anche perchè non riesce a dedicarvisi a tempo pieno. Intanto, ai Goriški muzej è tempo di rinnovo dei vertici. A giugno sarà scelto il nuovo
direttore: due, o forse tre, sarebbero i concorrenti in lizza per quel posto. Ma è molto probabile che venga confermato nell’incarico Andrej Malnic, ovvero l’attuale direttore, quello che un anno e mezzo fa aveva gestito il caso Nemec, con il licenziamento della ricercatrice, colpevole di non aver prodotto un certificato di laurea. Lei, la ricercatrice, aveva sostenuto di essere in possesso di un titolo di studio di fatto equipollente, risalente al vecchio ordinamento degli studi jugoslavi: venne poi riammessa al suo posto in virtù di un accordo raggiunto davanti al giudice del lavoro con l’impegno a produrre comunque il documento mancante entro un determinato lasso di tempo. Sotto la direzione di Malnic i Goriški muzej hanno nel frattempo avviato una serie di lavori per scrivere e presentare la storia del confine goriziano dal 1945 a oggi, con la creazione tra l’altro del piccolo Museo del confine alla Transalpina e con il recupero della torre di controllo dei «graniciari» tra Merna e Vertojba in quello che è stato definito il più piccolo museo del mondo.

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