POLA (Istria). «Tanti innocenti sono finiti in foiba come reazione all'italianità di questa terra. Ricordo i cittadini di Pola che si addentravano nella campagna a comprare cibo e non facevano più ritorno».
Al circolo degli Italiani di Pola, Nelida Milani accetta, dopo qualche titubanza, di aprire il suo cassetto della memoria. Nella scrittrice istriana (autrice di "Una valigia di cartone" e, con Anna Maria Mori, di un capolavoro come "Bora") affiora il tormento dei «rimasti», degli incompresi da tutti: «Noi, figli di antifascisti, eravamo tra due fuochi, nell'impossibilità di una scelta di campo, perché appartenenti a entrambi i mondi, italiano e slavo. Oggi il tessuto umano e antropologico è completamente cambiato, i matrimoni misti hanno annacquato la tensione. Resta il fatto che i croati rappresentano un popolo appena statalizzato, non ancora abituato a fare i conti col passato, che usa il nazionalismo come autodifesa della propria identità». Ma è servito a qualcosa il «Giorno del ricordo»? «Sicuramente – si rianima la professoressa Milani -, perché ha avuto il merito di smuovere il dibattito, ora però bisogna fare in modo che la prossima edizione venga arricchita da convegni e tavole rotonde cui possano prendere parte anche storici croati ed esponenti della minoranza italiana Altrimenti il solco fra i due paesi si approfondirà».
Già. Ma è facile immaginare il tasso di «infiammabilità» di questi confronti, vista la distanza siderale che la differente lettura della Storia frappone tra le due sponde dell'Adriatico. «Non scherziamo per favore sulle cifre – è il cortese invito che rimbalza dal telefonino del senatore Lucio Toth, presidente dell'Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia – perché ormai anche gli storici liberal e di sinistra concordano sul fatto che le vittime italiane furono almeno 5-6.000. Bisogna tener conto, poi, anche degli scomparsi, di quelli di cui non è rimasta traccia, che portano il numero totale dei morti a 15-20.000.
Quanto agli esuli, la cifra di 350.000 non ce la siamo inventata noi. Ne parlarono tanto De Gasperi quanto Tito, ma basta contare le schede degli assistiti dall'Opera Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, 255.000. A questi vanno però aggiunti tutti quelli che non hanno avuto bisogno di passare per i campi profughi o che hanno scelto di andare in altri paesi, come Australia, Canada, Argentina" L'indignazione di Toth raggiunge il picco quando si parla della natura del fenomeno: «Come si fa a negare che ci fu una ben studiata pulizia etnica, quando lo stesso Kardelj (strettissimo collaboratore di Tito, ndr) lo scrisse in un suo libro? Come far finta di non sapere che, specie nel 1945, vennero uccisi soprattutto quelli che non erano compromessi col fascismo, e quindi erano rimasti, ma semplicemente non volevano l'annessione alla Jugoslavia? Come negare le liste di proscrizione, con i nomi di 6.000 persone da eliminare?». Ma ci furono anche le feroci rappresaglie sulle popolazioni slave, gli ricordiamo. «Quelle più grandi le hanno fatte i tedeschi, mentre tra i soldati italiani ci furono episodi di vendette in Montenegro e Dalmazia, come frutto di esasperazione per i massacri dei loro commilitoni. Perché far pagare gli italiani in Istria?"
Taglia corto Massimiliano Lacota, presidente di un'altra associazione, l'Unione degli Istriani: «I gesti simbolici di riconciliazione, come avvenuto in Germania e Repubblica Ceca, fanno bene ai politici, ma non risolvono i problemi concreti. Mi riferisco alla restituzione delle proprietà confiscate agli italiani e in molti casi teoricamente ancora disponibili.
Ci sono interi villaggi, paesi, strade completamente abbandonati, come a Portole, Montona, Momiano, Buie, perché la Croazia non vuoi sentire ragioni?». «Noi – va al nocciolo Lacota – siamo arrabbiati soprattutto con l'Italia, che ha pagato i danni di guerra alla Jugoslavia con i beni degli esuli, facendosi dare un mandato in bianco da chi partiva spinto dalla paura e dalla disperazione. Una grande truffa.
Un'altra immagine di profughi contraria ai trattati internazionali e che finalmente anche l'Onu ha riconosciuto, dandoci ragione». «La pulizia etnica – conclude il combattivo presidente dell'Unione degli Istriani, che a Bruxelles ha aperto un ufficio per seguire da vicino il "dossier restituzioni" aperto con gli uffici UE – c'è stata eccome. Nessuno nega le colpe del fascismo, ma se sloveni e croati vogliono il dialogo devono riconoscere le loro responsabilità».
v.di.do