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I tesori dei Bettiza distrutti da fascismo e comunismo (Il Piccolo 04 dic)

«Non ho alcuna velleità di tornare in possesso dei nostri beni. Facevano parte di un’epoca gloriosa per la mia famiglia, ma definitivamente tramontata». Enzo Bettiza è uno dei personaggi più celebri tra coloro che hanno perduto parte della propria fortuna nell’ex Jugoslavia, la sua era la più ricca famiglia di Spalato con alle spalle un’industria che era la più importante di tutta la Dalmazia. «Il mio è un caso particolare – si schermisce subito – non sono certo un istriano. Le violenze titine qui centrano ben poco. Parte delle nostre fortune si deteriorano già con la crisi del ’29, un’altra parte venne venduta negli Anni Trenta (alcuni asset a un dirigente della stessa azienda, tale Perich), il resto certo, una sorta di grande compound al cui interno c’erano il palazzo di famiglia, case, scuderie, uffici, magazzini, terreni, abbiamo dovuto abbandonarlo, ma la responsabilità va attribuita a un impasto di fascismo e comunismo».

 

Bettiza, divenuto poi uno dei più noti giornalisti e scrittori italiani della seconda metà del Novecento, non aspira a rivincite. «Nel dopoguerra dal governo italiano abbiamo ottenuto quello che si definisce “un bianco e un nero” a titolo di indennizzo. Mai fatto richiesta né alla Jugoslavia, né alla Croazia e il suo ingresso nell’Unione europea non cambierà nulla per quanto mi riguarda perché quell’era la considero morta e sepolta». Un’epoca quasi di opulenza per i Bettiza che possedettero anche la prima automobile mai vista a Spalato e uno degli autisti della famiglia era il nonno di Sylva Koscina. Erano proprietari delle cave di marna sul monte Marjan nei pressi della città e producevano gesso, calce, tubi per acquedotti, lavori ornamentali e mosaici. Il campanile di Spalato, il palazzo delle Procurative, la palazzina della Società operaia, il Gabinetto di lettura furono tutti costruiti dalla loro impresa. Poi avevano scuderie di cavalli di varie razze, allevamenti di ostriche a Sabbioncello e depositi e magazzini per il legname dalla Bosnia con cui facevano commerci.

 

Bettiza ricorda così nel suo libro “L’esilio” l’arrivo delle armate di Tito a Spalato nel 1944: «La nostra famiglia, benché rappresentasse l’antico patriziato mercantile della città, non fu toccata; fu anzi rispettata per il suo netto distacco dalle responsabilità fasciste durante l’occupazione italiana e da quelle naziste durante l’occupazione croato-tedesca. Eravamo d’altronde insieme con gli orefici Pezzi e pochissimi altri una delle ultime famiglie d’appartenenza italiana rimaste ancora a Spalato. La nostra colonia, così influente nell’Ottocento e nei primi decenni del Novecento, s’era dimezzata dopo il 25 luglio 1943; s’era poi liquefatta dopo l’8 settembre; nel settembre 1944, al momento dell’arrivo dei partigiani, non c’era più traccia come se mai fosse esistita nella storia e nella vita della città. Scomparsa, dispersa, azzerata per sempre».

 

Silvio Maranzana

“Il Piccolo” 4 dicembre 2011

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