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I primi viaggi alla scoperta dell’Istria e della Dalmazia

 

Sono giunte al termine presso la Casa del Ricordo di Roma le “Conversazioni sulla cultura nelle terre adriatiche” a cura della Prof.ssa Ester Capuzzo, docente di Storia contemporanea all’Università La Sapienza, la quale ha tenuto proprio l’ultimo intervento mercoledì 15 giugno 2016 parlando di “Viaggiatori in Istria e Dalmazia tra il secolo XVIII e il secolo XX”. Protagonisti di questa conferenza erano gli epigoni di quel Grand Tour che prese le mosse dalla nobiltà britannica del ‘500 con destinazione Italia e Grecia, venendo poi imitata dai nobili francesi e russi. Non mancarono esempi di viaggiatrici femminili, come Ellis Cornelia Knight, insegnante di inglese del giovane Massimo D’Azeglio, ma anche autrice di piacevoli pagine dedicate alla campagna romana (1805).

Le terre dell’Adriatico orientale, invece, erano state per lo più attraversate senza ricevere particolare attenzione, così come le coste dalmate, tradizionale tappa dei pellegrini in cammino verso la Terra Santa. Appena nel XVIII secolo i primi viaggiatori si sarebbero avventurati nell’entroterra dalmata ed uno dei più attenti osservatori di quel territorio sarebbe stato l’abate Alberto Fortis, in missione per conto della Repubblica di Venezia, che voleva sincerarsi delle condizioni di arretratezza della regione. A questa tipologia di viaggio con finalità per così dire scientifiche si sarebbero affiancati nel corso del secolo seguente viaggi sentimentali sulle orme di Stendhal ed i reportage giornalistici. Già in precedenti appuntamenti si era parlato del Fortis, ma la relatrice si è soffermata sulla sua visione illuminista dell’ambiente e dell’uomo nelle sue diversità, che emerge dal primo viaggio dell’abate, datato 1770 e confluito nel “Saggio di osservazioni sull’isola di Cherso e Ossero”, dedicato all’intellettuale napoletano Domenico Cirillo, futuro protagonista delle vicende della Repubblica partenopea giacobina. In quell’epoca si coglievano ancora i fausti esiti delle paci di Carlowitz (1699) e Passarowitz (1718), che avevano stabilizzato i Balcani ponendo fine alle guerra fra veneziani, austriaci e turchi, sicché Fortis poté esplorare con una certa sicurezza pure la Dalmazia interna e conoscere da vicino usi e costumi dei Cici e dei Morlacchi. Questi popoli di origine latina che non si erano slavizzati rappresentavano nella loro semplicità l’incarnazione del mito rousseauiano del buon selvaggio e trovarono ampio spazio nelle pagine del “Viaggio in Dalmazia” dato alle stampe a Venezia nel 1774.

Nell’Ottocento, con nuovi mezzi di trasporto a vapore che facilitavano gli spostamenti, avrebbero cominciato a svolgersi viaggi con finalità etiche e politiche: l’attenzione verso l’alterità, di origine illuminista, si collegava all’emergere delle diverse nazionalità. In tal senso la Dalmazia rappresentava un caso assai interessante: in essa, definita da Niccolò Tommaseo una porta tra oriente e occidente, alla consapevolezza dell’italianità si contrapponeva l’emergere della coscienza nazionale croata. Carlo Bobba, nel suo “Souvenir di Dalmazia”, resoconto di un viaggio da Milano ad Ancona attraversando l’alto Adriatico, si sarebbe altresì soffermato sui morlacchi, che avevano già colpito scrittori del calibro di Goethe, Goldoni e Mallarmé.

Grande viaggiatore e descrittore del litorale adriatico orientale e del suo entroterra sarebbe poi stato Charles Yriarte, il quale, in seguito alle insurrezioni del 1875-’76 contro i turchi, compose vari reportage sulla Serbia e sulla Bosnia-Erzegovina, ma si dedicò anche a Trieste, all’Istria, alla Dalmazia e al Montenegro, con un occhio di particolare riguardo per le evidenze archeologiche. Il giornalista parigino aveva in precedenza focalizzato i suoi interessi sulle spedizioni spagnole in Marocco degli anni Sessanta dell’Ottocento e sull’esperienza della Comune di Parigi nel contesto della guerra franco-prussiana del 1870-71. La serie di articoli dedicati a “Trieste e l’Istria” sarebbe successivamente stata pubblicata in un unico volume da Treves nel 1875, consentendo ai lettori di apprendere puntuali descrizioni storiche, artistiche, archeologiche, così come naturalistiche ed antropologiche. Yriarte seppe anche rappresentare la nascente borghesia slovena del porto giuliano e la sua contrapposizione con i liberalnazionali italofoni, i quali tuttavia ritennero che non avesse saputo cogliere le peculiarità della lotta politica cittadina. D’altro canto si trattava di un complesso scenario, nel quale si passava da contesti omogenei a processi di nation building che mettevano a rischio le tradizionali caratteristiche multiculturali e multietniche dell’Austria-Ungheria. Le stesse autorità viennesi avrebbero dovuto riconoscere le peculiarità nazionali per assicurarsi di avere dei buoni cittadini, benché di gruppi etnici differenti. Ne “Le rive dell’Adriatico e del Montenegro” Yriarte si avventurò invece sulla costa adriatica occidentale e orientale, fornendo un resoconto non solo paesaggistico, ma anche dedicato all’evidente crescita dell’idea slava nell’entroterra, sicché la cosiddetta “italianità adriatica” (Ghisalberti) , al culmine di un processo avviatosi a fine Settecento, appariva sempre più residuale. Il territorio compreso fra Zara e Knin fu descritto come se si trattasse di uno spicchio di oriente esotico calato nel bel mezzo dei Balcani, dedicando passaggi alla condizione femminile, sicuramente migliore lungo la costa, ove Yriarte si era imbattuto in donne colte e benestanti, laddove l’arretratezza dell’interno sarà al centro delle ricerche di Dora d’Istria (pseudonimo di una principessa rumena).

In seguito all’annessione all’impero asburgico della Bosnia-Erzegovina (1908), la Dalmazia tornò al centro dell’attenzione e fu in particolare oggetto di un “Viaggio in Dalmazia” di Hermann Bahr, pubblicato da Fischer Verlag nel 1909. Formatosi a Berlino, Bahr era mosso da interessi giornalistici e letterari e, da cultore di vicende germaniche, nutriva particolare interesse nei confronti dell’evoluzione dell’Austria. Immergendosi nel contesto della “Kakania”, l’autore riuscì a cogliere le sempre più marcate differenze tra nazionalità, nonché l’identità multipla dei cittadini della duplice monarchia. Al lealismo nei confronti delle istituzioni andava, infatti, sovrapponendosi sempre più marcatamente l’adesione ad un’Heimat, una piccola patria nella quale riconoscersi all’interno della composita cornice imperial-regia.

 

Lorenzo Salimbeni

 

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