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Goli Otok nel racconto di Dunja Badnjevic (Il Piccolo 15 dic)

di ELVIO GUAGNINI

«L'Isola di mio padre rimaneva la testimonianza più macabra di quel regime. Mio padre e con lui decine di migliaia di persone avevano pagato caro il loro idealismo, giusto o sbagliato che fosse». Così Dunja Badnjevic sintetizza il nodo problematico del suo romanzo, ”L'Isola Nuda” (Bollati Boringhieri), uno dei libri più intensi che l'editoria italiana abbia proposto ai lettori in questi ultimi tempi.

Dunja Badnjevic è nata a Belgrado da famiglia nella quale confluiscono componenti multietniche e multiculturali (serba, croata, bosniaca), vive da diversi decenni in Italia, dove ha svolto e svolge attività di traduttrice e redattrice per alcune tra le maggiori case editrici, occupandosi – in particolare – della letteratura serba, croata, bosniaca. Tra le altre pubblicazioni, ha curato il Meridiano Mondadori con i ”Romanzi e racconti” di Ivo Andric.

”L'Isola” nuda è un'opera fortemente drammatica e originale per l'impasto di memorialistica e narrativa, racconto dell'autrice intrecciato a stralci del diario del padre. Il libro parla del viaggio in un'isola (Goli Otok, l'Isola Nuda o Isola Calva) tristemente famosa perché – dopo lo "strappo" di Tito con l'Unione Sovietica, nel 1948 – divenne il luogo di deportazione dei dissidenti politici. Un gulag dove la pena fisica, spesso atroce, si coniugava con la persecuzione psicologica e morale per estorcere "confessioni" coatte e per piegare (e spesso spezzare) la personalità e la dignità dei deportati.

La stessa configurazione fisica dell'isola era già sintomatica del destino dei prigionieri: «Una sagoma spettrale, come pietrificata, corrosa dai venti e dalle piogge, ma priva di quella terra rossa che caratterizza l'arcipelago di cui fa parte Un paesaggio quasi lunare».

È questo il luogo dove viene deportato il padre di Dunja, Ešref Badnjevic, già magistrato (prima della seconda guerra), arrestato dagli ustascia, poi membro autorevole della Resistenza, quindi (dopo la fine della seconda guerra) ambasciatore jugoslavo in Egitto e in Medio Oriente, fino all'arresto da parte della polizia politica di Tito, la reclusione a Belgrado e due deportazioni successive, all'Isola Nuda e a San Gregorio (prima del ritorno a Belgrado e della ripresa di un'attività professionale come penalista).

Il viaggio della figlia all'Isola Nuda mira a conoscere i luoghi della sofferenza del padre e a definire le frustrazioni che gli derivavano dall'essere perseguitato da parte di quelli con i quali aveva condiviso esperienze e ideali. Presente e passato si intrecciano nel racconto degli itinerari della famiglia : dal periodo precedente il 1914 (lo scoppio della prima guerra mondiale) fino agli anni dopo il 1991 della guerra che segna la fine dello Stato federale jugoslavo e lo scoppio di conflitti tra nazionalità ed etnie.

Al centro del racconto, la figura del padre (uomo di cultura, di fermi princìpi, austero ma anche dolcissimo verso le figlie, laico e ragionatore in opposizione a ogni ortodossia irragionevole e fanatica). Al centro, pure una meditazione profonda sulla violenza, sulla crudeltà, sull'irragionevolezza di tante guerre generate dal fanatismo politico, etnico, religioso. E, poi, la considerazione dei modi diversi in cui la storia può essere letta. E, ancora, la perdita del senso di appartenenza che deriva dallo smembramento di un Stato, la privazione di un senso di identità per chi – come ricorda Badnjevic – non è etnicamente "pulito", per chi non è mono-nazionale ma viene da una famiglia con più e diverse radici («Avevo parenti in ogni parte del Paese che ora non esisteva più. Adesso anche il mio modo di parlare, un'inflessione o un accento, tradiva la mia provenienza. Potevo essere considerata un'intrusa, non desiderata nei luoghi che una volta mi appartenevano di diritto»).

Una parola e un concetto che Dunja Badnjevic propone è quello di "apolitudine": come "perdita del passato", "di amicizie", "di sogni", di "radici": «distillato di nostalgie per un mondo che esiste solo nella memoria», «dolore cocente per i luoghi perduti».

Violenza, guerre, sofferenze, soprusi, soppressioni di diritti si intrecciano, in queste pagine, con aspirazioni all'amicizia, alla libertà, al senso di appartenenza a un contesto più vasto, e al riconoscimento del valore di un'esperienza multiculturale. Temi, questi, che segnano il nostro tempo, temi di grande e drammatica attualità : presentati da Dunja Badnjevic in modo fermo e appassionato, in un intreccio di figure indimenticabili, con una scrittura asciutta e incisiva.

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