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Gli ”italiani sbagliati” che decisero di restare in Istria (Il Piccolo 26 gen)

di ELISA GRANDO

TRIESTE Pier Antonio Quarantotti Gambini, scrittore ed esule istriano, ai microfoni di Radio Venezia Giulia li aveva definiti “Italiani sbagliati”: erano quelli che, dopo il passaggio dell’Istria dall’Italia alla Jugoslavia in seguito ai trattati di pace di Parigi del 1947, scelgono di non seguire l’esodo e rimanere nella loro terra. A raccontarli arriva al Trieste Film Festival il documentario “Italiani sbagliati. Storia e storie dei rimasti” di Diego Cenetiempo, in programma questa sera alle 21.30 al Cinema Ariston.

Il film sceglie di ricomporre l’episodio storico attraverso le vicende personali di un pugno di testimoni speciali: cinque tra le scrittrici e gli scrittori viventi più rappresentativi della comunità italiana in Istria. C’è chi è rimasto a Fiume e Pola per non lasciare la famiglia, chi per motivi lavorativi e chi anche per questioni politiche. Tutti però hanno condiviso il dolore di sentirsi, come racconta uno degli intervistati, “stranieri nella propria città” e spesso poco compresi da chi invece se n’era andato.

«I rimasti vedono i propri amici, parenti e conoscenti partire, assistono allo svuotamento delle proprie città, dei propri paesi», spiega Cenetiempo. «Il territorio cambia fisionomia e lingua, i nomi dei luoghi, la componente sociale, le istituzioni, la burocrazia. Accanto al senso generale di spaesamento e frustrazione emerge con forza il tema dell'identità». Nel documentario, prodotto da Pilgrim Film e Il Ramo D’Oro Editore, lo sottolinea con efficacia lo scrittore e favolista Mario Schiavato: «Se noi andiamo in Italia ci dicono “voi siete comunisti titini”, qui invece siamo fascisti italiani». Non sono in molti ad aver raccontato per immagini il destino di chi ha deciso di rimanere: «Al tragico esodo istriano sono stati dedicati qualche film e vari documentari, sia in passato che in epoca più recente, ma mai prima era stata raccontata la storia dei rimasti. E poi molti italiani ignorano l’esistenza in queste terre di una comunità che ogni giorno si impegna per il mantenimento della cultura italiana», dice il regista.

Sempre nel programma di oggi spicca la conversazione pubblica, dedicata all’Europa a vent’anni dalla caduta del Muro di Berlino, fra quattro grandi artisti e intellettuali che a Trieste s’incontrano tutti insieme per la prima volta: il regista greco Theo Angelopoulos, lo scrittore Claudio Magris, il regista triestino Franco Giraldi e l’attore Omero Antonutti. L’incontro, moderato da Predrag Matvejevic, è previsto alle ore 17 all’Auditorium del Museo Revoltella.

Ieri sera invece la sezione “Zone di cinema” ha presentato il documentario “Uomini e vino” di Giampaolo Penco, un accurato viaggio attraverso i luoghi e le persone che fanno la cultura del buon bere in Friuli. Penco ha ripercorso le tappe di un reportage realizzato da Mario Soldati per il settimanale “Grazia” nel 1970, diventato poi il celebre libro “Vino al vino”. Lo scrittore e regista girava per il Friuli alla ricerca dei vini tipici e dei produttori che all’arte enologica avevano dedicato una vita intera: su quelle tracce, nel documentario scopriamo una cultura fatta di saperi, ricordi, rapporto diretto con la terra, tradizioni famigliari tutte legate al nostro territorio. Nel film, prodotto da Videoest con il supporto del Fondo Regionale per l'Audiovisivo, i nomi che occhieggiano dalle etichette migliori acquistano improvvisamente un volto e una voce: ci sono il giovane 95enne Livio Felluga ed il fratello Marco, i viticoltori Keber, Branko e Gradnik, lo scrittore Veit Heinichen in una conversazione con Edi Kante. «Ho viaggiato avanti e indietro tra Collio, Friuli e Carso con in testa il chiodo che mi aveva messo Soldati: “In ogni bottiglia si trova una storia”», racconta Penco. «Prima di tutto ho ritrovato il figlio di Soldati, Volfango, che aveva realizzato le fotografie del famoso reportage. Lo scopo del film era raccontare com’è cambiato il mondo del vino in quarant’anni: ho trovato i figli di quelli che Soldati incontrò, ma anche qualcuno che era descritto nel libro “Vino al vino” come Ennio Dugulin, che fu il primo ad imbottigliare il vino a Trieste, il mitico “Pucino”, e che nel film ha stappato l’ultima bottiglia rimasta».

 

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