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Fiume: sulle tracce dell’antico Vallo Romano (Voce del Popolo 05 giu)

Un giorno, parecchi anni fa, di ritorno da uno dei miei vagabondaggi settimanali da magnachilometri sulla distesa infinita dei monti dietro casa, venivo giù dall’Obruč (che poi sarebbe il tante volte nominato Monte Cerchiato del Club Alpino Fiumano degli inizi del secolo scorso) diretto verso l’autobus di Studena o, un po’ più avanti, di Klana. Il percorso era tranquillo come al solito e molto bello. Si snodava lungo un sentiero davvero poco frequentato tra forre profonde e roccioni glabri. Ad un tratto mi imbattei in un muro, largo più di un metro, che si perdeva su e giù nell’intrico della fitta macchia. Non ci avrei fatto neanche caso – ne vedono tanti di simili in giro per il nostro Carso – se non ci fosse stata una lapide con su scritto “Vallo Romano”, non solo, ma – si vede che era di ben vecchia data ed era sfuggita a certi controllori – di lato aveva anche in bassorilievo nientemeno che un fascio fascista! Devo dire la verità che prima di questa specie di fortificazione, che ritrovai anche più innanzi lungo una strada carrabile nelle vicinanze di Klana e persino in parte ben restaurata, come a due chilometri da Studena e con tanto di cartelli indicatori e storiografia, non avevo mai sentito parlare e fu dunque con una certa curiosità che iniziai le mie piuttosto difficili ricerche.

«Rudera muri antiquissimi»

Fu così che venni a conoscere diverse fonti interessantissime che ne descrivevano la storia e il percorso. Certamente edificato in epoca romana a difesa dell’impero dalle invasioni delle orde barbariche che arrivavano dall’est, appare sugli scritti degli storici già in epoca antichissima. Inizierò dal Valvasor che già nel 1689 nella sua opera “Slava Vojvodine Kranjske” (“La gloria del Ducato di Carniola”) ne pubblicava anche una grafica con la scritta “Rudera muri antiquissimi” il che fa pensare che alla fine di quel secolo il muro fosse ancora sempre piuttosto ben conservato.
Un altro storico, Paolo Ritter, nella sua cronaca stampata a Zagabria nel 1696, accenna a sua volta alla muraglia dei dintorni di Fiume, mettendone “l’origine all’anno 395, quando Goti e Unni devastavano il paese e gli Istriani fecero alla riva della Fiumara una larga muraglia per difesa contro il nemico”. Ancora, di questa muraglia ne parla il Mullner nel suo libro “Emona” stampato a Lubiana nel 1879, il quale tra l’altro dice che “… molto probabilmente fu fatta in fretta per difendere l’Italia, quando era minacciata dalle orde dei barbari del nord e dell’est”.

La minaccia delle orde barbariche

Secondo questi antichi scritti il muraglione doveva iniziare direttamente nell’allora riva del mare (nei pressi dell’attuale Palazzo Modello), continuava fino alla cosiddetta Sokol Kula cioè nei pressi della Via del Fosso, si estendeva avanti su lungo l’attuale Calvario (ne troveremo le tracce!) e poi avanti ancora per Lubanj, Jelenje ecc. Questo secondo il triestino Kandler (lo pubblicò sul suo settimanale “Istria” n. 18 dell’anno 1851). Lo storico fiumano Kobler nella sua nota “Storia della Liburnica città di Fiume” ne descrive così i vari passaggi.

La linea che divide il dominio di Grobnico dalla Carniola

“… Salendo al Calvario, si vedono per lungo tratto dalla seconda cappella in su, a parte destra della scalinata, i ruderi di una antica muraglia (…) Dietro le tre croci, dalla sommità del Calvario, la muraglia procede verso la strada carraria di San Luca e in questo tramite presentava un parallelogrammo smaltato che sembrava la base di una casetta di guardia demolita. Queste tracce maggiori sono ora scomparse colla costruzione di varie case di contadini” e più avanti aggiunge: “Da qui la traccia prosegue verso settentrione lungo la strada conducente a Santa Catterina sino alla sommità del monte che sovrasta la Cartiera. Anche in questa direzione si vedevano, circa l’anno 1848 ruderi più vasti: un tratto di muraglia che fu poi demolita per comodo dei contadini; anzi raccontano che in un sotterraneo contiguo furono trovate armature antiche, le quali furono poi vendute per ferro vecchio. Da questa sommità fino al monte Lubanj mancano tracce, che poi si presentano di nuovo benché piccole, da Lubanj a Lopazza sino alla Fiumara, indi meglio spiegate al di là dell’acqua sino al villaggio di Jellenje, ove ci sono alcune case appoggiate alla muraglia stessa. Da Jellenje a Podkilovac, sul pendio del monte sovrastante il campo, che come noto in addietro era un lago, si trovano soltanto le fondamenta a livello del terreno e due parallelogrammi che possono essere stati base di casotti di guardia. (…) Quanto alla continuazione del muro i villici dicono che se ne trovano parecchie altre tracce tra Siljevice e Trstenik cioè sulla linea che divide il dominio di Grobnico dalla Carniola”… dunque proprio in quel tratto in cui io lo osservai per la prima volta.

Due secoli per domare i Carni, i Giapidi, i Viburni ed i Dalmati

Molto più dettagliata la descrizione del Kandler in un’altra sua opera, cioè la “Cronografia di Trieste”, nella quale è anche inserita una pianta speciale ove è segnata la direzione del Vallo Romano da Fiume fino alle alture di Klana e di Zabiče “… dove dovrebbero esserci delle biforcazioni. Da una parte infatti si dirige verso l’antico Neuportus, dall’altra fino ad Aidussina e da una terza fino a Prezid”. Sempre il Kandler ricorda ancora che “… a tratti lungo il Vallo c’erano delle interruzioni e inducono a credere che ve ne fossero diverse, cioè ovunque l’asperità del declivio rendesse superflua la muraglia…”. E prosegue affermando che si deve “… ascriverlo ai Romani, perché mentr’essi, dopo vinta la città di Cartagine ebbero poca fatica a conquistare la Grecia e l’Asia occidentale, adoperarono quasi 200 anni per domare i Carni, i Giapidi, i Viburni ed i Dalmati”. (…) “Già 180 anni prima di Cristo fondarono la colonia di Aquileia per fermare i Carni ed i Giapidi, due anni dopo assoggettarono l’Istria, ma i popoli della montagna, fino ai tempi di Ottaviano Augusto, provocarono ripetute spedizioni di romani e le accanite guerre illiriche danno prova della gran resistenza opposta da queste tribù montanare…”. Per cui l’erezione di una simile muraglia diventò indispensabile.

La chiusura della Alpi Giulie

Certo molto più semplice e condensata è la descrizione che ne fa Radmila Matejčić nella sua opera “Kako pročitati grad” (“Come leggere la città”). Ella afferma: “Il Vallo Romano è un’opera di difesa. Cioè non è come qualcuno ha affermato un confine di stato tra gli Imperi romani d’Oriente e d’Occidente. Venne costruito come una parte del sistema di ‘Censurae Alpium Julianum’ – cioè chiusura delle Alpi Giulie. Questo imponente sistema di difesa ebbe una consistente importanza nel IV secolo quando gli avamposti romani assunsero un carattere difensivo. Verosimilmente la prima parte della sua costruzione risale al tempo dei contrasti tra i Romani ed i Giapidi del 128 prima della nostra era. Più tardi, con gli assalti delle tribù barbariche attorno al 160 della nostra era, venne rinforzato finché nel IV secolo divenne parte dei confini militari”. Più avanti la stessa storica aggiunge: “Questo Vallo, in nostro territorio dalla Rječina fino a Prezid, doveva chiudere ermeticamente i punti dove si potevano sospettare più frequenti gli attacchi dei nemici”. Certo a Fiume, addirittura fino ai nostri giorni – e la illustre storiografa lo sottolinea e anche se ne rammarica – poco o niente si è fatto per preservare queste antiche tracce dei tempi passati.

L’inesorabile effetto del tempo

Lungo il muro a destra che accompagna la scalinata che sale al Calvario, si possono comunque ancor oggi osservare i resti della muraglia alla base di mura innalzate in date molto più recenti mentre più in alto, cioè in quell’agglomerato conosciuto oggi come “Cosala 2” le pietre del Vallo Romano sono addirittura state frantumate e la ghiaia ricavata adoperata per la costruzione di rampe e di scalinate. Solo sul selvaggio territorio boschivo tra Studena e di Klana, per vari tratti il gran muro è stato molto bene restaurato, rinforzato. Non sono tuttavia riuscito a conoscere la data di questi lavori ma è evidente che sono stati effettuati in tempi recenti. La macchia comunque, nel suo continuo avanzare – infatti nessuno si cura più di disboscarla né il territorio viene usato per il pascolo del bestiame come una volta – ormai in parecchi posti lo ha coperto, lo ha franato, lo ha distrutto. Il tempo, inesorabile, pian piano lo sta cancellando ed è davvero un peccato.

Il tesoro dell’imperatore

Una breve leggenda mi è stata narrata da una donna molto anziana che in tempi non proprio recenti ho incontrato sotto l’Obruč con un gran fascio di felci sulla schiena (da vendere ai fioristi, ha specificato, da quando era andata in pensione dall’ex Cartiera, troppo piccola la cifra che le portava il postino e dunque doveva arrangiarsi con asparagi in primavera, funghi e felci in autunno). Secondo le credenze popolari dei paesi del Grobniciano, quel grande muro che comunque lei non aveva mai visto, con le sue pietre ben tagliate, era servito nei tempi antichi non solo per fabbricare le case ma anche era un posto dove molti andavano a scavare perché si diceva che da qualche parte fosse nascosto un grande tesoro, il tesoro che un imperatore romano aveva raccolto durante le sue guerre in tutto il mondo. Questo tesoro pare fosse stato nascosto in una specie di grande buca circondata da muri possenti che erano molto difficili da abbattere ma, da quanto si raccontava una volta, sembra che un giovane del Grobniciano sia stato fortunato e lo abbia trovato ai tempi dell’Austria e poi con tutto quell’oro se ne sia andato per sempre dal paese e abbia costruito, a Vienna addirittura, tutta una serie di palazzoni e abbia sposato una contessa di quelle che di soldi forse ne aveva più di lui…

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