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Fiume, D’Annunzio e la crisi dello stato liberale (Il Piccolo 08 mar)

di Roberto Spazzali

TRIESTE In tempi di celebrazioni memorialistiche sarà bene ricordare pure le fasi di crisi che accompagnarono le grandi trasformazioni politiche ed istituzionali dello Stato italiano. Una di queste coincise con il periodo immediatamente successivo la fine della prima guerra mondiale. Se ne parlerà domani, alle 18, alle Libreria Fenice cogliendo l'occasione della presentazione del Quaderno della rivista "Qualestoria" dedicato a "Fiume, D'Annunzio e la crisi dello Stato liberale in Italia", che raccoglie le conversazioni tenute lo scorso anno nell'ambito di un ciclo di lezioni proposte dal Dipartimento di scienze dell'uomo della Facoltà di scienze politiche in collaborazione con l'assessorato comunale alle politiche culturali e museali, ora qui raccolte in un agile volumetto edito grazie anche alla partecipazione della Società di studi fiumani di Roma. Si confronteranno sul tema Fulvio Salimbeni e Raoul Pupo che assieme a Fabio Todero ha curato l'edizione. Ampia l'articolazione dei temi proposti da Giulia Caccamo, Patrick Karlsen, Giuseppe Parlato, Elena Pontiggia, Giovanni Stelli, Anna Maria Vinci, Angelo Visentin, oltre i citati Pupo e Todero, con una chiara appendice cartografica a cura di Franco Cecotti e un'utile sinossi cronologica. La questione fiumana viene qui ricostruita da tre focalizzazioni distinte: le condizioni interne italiane con il debolissimo governo liberale di Nitti preso tra le pulsioni rivoluzionarie e l'irrequietezza degli ambienti militari; il contesto particolare della Venezia Giulia, sottoposta ad amministrazione provvisoria e con un confine italo-jugoslavo ancora da riconoscere; la particolare realtà di Fiume presa tra le speranze di una forte autonomia e il tentativo di dare vita ad una nuova esperienza politico-culturale. La questione di Fiume segnò pure una crisi finale divaricando i rapporti tra gli stessi corpi dello Stato perché, se da parte di ambienti importanti delle Forze Armate il pronunciamento fu evidente con significativi innervamenti antidemocratici, è chiaro che il ceto politico non fu in grado di dare risposte concrete. Parimenti la cattiva gestione internazionale delle rivendicazioni su Fiume, in verità ripiego tattico dopo il fallimento di quelle sulla Dalmazia, incrinò pure le relazioni tra l'Italia e le altre potenze dell'Intesa segnando qui una svolta nel giudizio sull'affidabilità italiana. Lo studio della questione di Fiume mantiene il suo fascino quale modello di come non si dovrebbero gestire i conflitti politici e diplomatici in aree sensibili, ma al tempo stesso su come essa abbia poi generato modelli comportamentali rivoluzionari nella rappresentazione della politica.

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