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Fiat in Serbia: sindacati sul piede di guerra (Il Piccolo 23 lug)

di VINDICE LECIS

ROMA Da "oracolo dell’industria dell’auto" (definizione del Wall Street Journal) a "padrone del secolo scorso". Su Sergio Marchionne scoppia in Italia una tempesta dopo il suo annuncio-choc di voler spostare la produzione della monovolume «L0» da Mirafiori allo stabilimento di Kragijevac in Serbia. Forze politiche e sindacali gli chiedono di spiegare e recedere dalla decisione. Imbarazzo nel governo che si era speso a favore dell’accordo separato di Pomigliano, perno del progetto Fabbrica Italia. Il ministro Sacconi chiede di riaprire "quanto prima un tavolo tra le parti" per stabilire l’utilizzo degli impianti e mantenere gli investimenti nel nostro Paese. Il ministro Calderoli boccia senza diplomatismi l’ipotesi del Lingotto: «La Fiat in Serbia? Non sta né in cielo né in terra – afferma – è una battuta che non fa ridere, diversamente sappia che troveranno da parte nostra una straordinaria opposizione».

É un annuncio "sorprendente" commenta il segretario del Pd Pier Luigi Bersani che chiede a Marchionne "quale tipo di ragioni si portano per dire che in Serbia ci sono condizioni che non si troverebbero a Torino. Su questo servono chiarimento". D’altra parte l’acronimo Fiat "è fabbrica italiana auto Torino: partiamo da lì". Dal Pd giungono altre bordate sul numero uno del Lingotto. Stefano Fassina, responsabile economico, lo descrive come un uomo autoritario: «O si accettano i suoi diktat unanimenente o entusiasticamente oppure si perde il lavoro». E Cesare Damiano, ex ministro del lavoro, chiede al governo di impegnarsi e di chiedere alla Fiat ”se ha deciso di chiudere Mirafiori". Anche il leader dell’Udc Pier Ferdinando Casini esprime ”grandissima preoccupazione” per uno spostamento all’estero di produzioni che determinerebbe "un altro elemento di perdita di competitività del sistema".

Deve dunque intervenire il governo per "bloccare le delocalizzazioni" chiede Oliviero Diliberto, segretario del Pdci, anche se Berlusconi, chiosa ancora il leader del Pd Bersani, "è impegnato nel frutteto con le mele marce". La preoccupazione tra le forze sociali è grande. Vuole mediare, Emma Marcegaglia che annuncia un incontro con Marchionne: «Credo sia importante perseguire l’investimento a Pomigliano e raggiungere i livelli di produttività richiesti. Credo che tutto questo vada fatto cercando di evitare conflitti troppo pesanti, che alla fine non fanno bene a nessuno». É una giornata calda per il gruppo (che oggi si ferma per due ore per lo sciopero Fiom di due ore): nello stabilimento di Atessa l’azienda ha inviato decine di lettere a chi è in malattia con la minaccia di licenziamento, denuncia la Fiom. La segreteria Cgil respinge la linea "basata sulla ritorsione nei confronti del sindacato e dei lavoratori" unita a una "continua indeterminatezza nelle decisioni che assume la Fiat sul futuro delle produzioni negli stabilimenti italiani". Si fa sentire anche Raffaele Bonanni, leader della Cisl che chiede alla Fiat "di fare chiarezza sul progetto di fabbrica Italia". Bonanni si rivolge a Marchionne: "Fermi le bocce, faccia luce sugli investimenti dell’azienda e avvii il confronto con i sindacati".

Intanto in Borsa la Fiat chiude in rialzo del 2,12% a 9,87 euro, tra scambi intensi e per 37,5 milioni di azioni, pari a circa il 3,4% del capitale ordinario. Bene anche l'azionista Exor, che sale dello 0,88% a 14,95 euro. Il mercato, spiegano gli operatori, non ha dato molto peso all'annuncio fatto dall'agenzia Moody's di voler mettere sotto revisione il rating assegnato a Fiat, in vista di un possibile declassamento. A sostenere gli acquisti in Borsa, dopo un balzo del 6,74% segnato già alla vigilia, sono stati invece, come detto, i diversi studi sul gruppo di Torino diffusi dagli analisti finanziari all'indomani dei dati. «Va anche aggiunto – precisa un operatore – che i termini dello spin-off erano noti, e questo rialzo sembra più che altro un movimento finanziario incoraggiato dalle notizie sullo scorporo».

 

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