ROMA – Un grande sport ha grandi ricordi e campioni che ne hanno scritto nel tempo le pagine più belle e significative. Alfio Giomi ha voluto caratterizzare la sua presidenza volgendo lo sguardo al passato per rafforzare quel senso di appartenenza e identità che non può restare patrimonio esclusivo del ristretto numero di persone che l’hanno vissuto. Il 3 ottobre scorso Abdon Pamich ha compiuto 80 anni, e ieri è stato festeggiato dalla sua atletica, a 49 anni esatti dalla medaglia d’oro olimpica di Tokyo, la vetta di una formidabile carriera sportiva e percorso umano. «Non c’è futuro se non c’è conoscenza e riconoscenza per il passato – ha ribadito il presidente Giomi – E’ un atto dovuto, nella consapevolezza, con l’affetto e l’orgoglio per ciò che ha fatto Abdon Pamich». «Hai dato tanto allo sport italiano. Ci hai dato un insegnamento – ha ricordato il segretario generale del Coni, Roberto Fabbricini – con un comportamento mai sopra le righe, di grande rigore» A nome dei tanti campioni accorsi ieri in Fidal per festeggiarlo gli ha fatto gli auguri Maurizio Damilano, oro olimpico a Mosca’80: «Auguri a nome della marcia italiana. Siamo stati periferia noi della marcia ma le nostre radici e la storia del nostro sport non devono essere perse. Non solo i risultati, ma le persone, degli uomini di riferimento, fanno che queste radici siano bene piantate nel terreno. E mi piace ricordare Pino Dordoni. Nessuno di noi ha smesso di essere un marciatore e di sentirsi parte di quella famiglia della marcia»
Quando si taglia il traguardo degli 80 anni, anche senza strappare quel filo di lana che rappresentava il punto d’arrivo all’epoca in cui Abdon Pamich marciava, è inevitabile pensare alle diverse generazioni che questo mitico nome ha idealmente attraversato. Chi lo ha conosciuto, chi lo ha visto in tv, chi ha incollato la sua figurina sull’album che la Panini dedicava ai campioni dello sport, negli anni ‘60.
«Non mi fece particolare effetto essere una figurina nell’album – ricorda Abdon – non ho mai fatto caso a queste cose. A me piaceva marciare» Vanni Lòriga, a lungo prestigiosa firma del nostro giornale, ha ripescato aneddoti, come quello di Papa Paolo VI che annuncia una sua vittoria nella Roma-Castelgandolfo. Nativo di Fiume, radici venete, laureato in psicologia e sociologia, Abdon Pamich ha sposato Maura Grisanti ed ha avuto due figli: Tamara, medico sportivo, e Sennen, laureato negli Usa e ora amministratore delegato di una grande azienda nel campo della cosmesi. Sa di neorealismo, fra treni merci e camminate, il racconto della fuga da Fiume a Novara, alla ricerca del papà che a Milano era giunto in cerca di lavoro. Poi l’incontro con il tecnico Giuseppe Malaspina («Mi ha insegnato il concetto dello sport. Non era acculturato ma era un uomo di buon senso. La psicologia dello sport insegna quello che lui già applicava»).
TIMIDEZZA E IRONIA
«Nonostante la mia età sono ancora timido. Mi sento imbarazzato per una manifestazione così sentita. Ma è una gioia. Sono contento che lo abbiate fatto mentre sono ancora in vita – ha scherzato Abdon condendo l’emozione con abbondanti dosi di ironia – Le commemorazioni non mi piacciono, mi auguro che non sia un addio… È un’accoglienza immeritata, ho fatto soltanto una cosa che mi piaceva» Ricorda la sua ricetta per vivere nel modo migliore lo sport. «Non mi piace l’atletica delle lepri e dei record, le gare dove sai prima chi vince. A me piacciono i duelli, la gente si appassiona per quello che vede scorrere davanti agli occhi, allo stadio o in Tv» Avendo vinto tanto, dalla medaglia d’oro ai Giochi olimpici di Tokyo 1964, quattro anni dopo il bronzo di Roma ‘60 oltre a due titoli europei, può permettersi di dire che il risultato non è tutto. «Non ho mai puntato alla vittoria, ma a migliorare me stesso. Il resto dipende da altri. Materialmente la marcia mi ha dato poco. Mi resta il riconoscimento delle persone, il resto è acqua passata. Non sopporto la parola sacrificio. Io ho sempre marciato perchè mi piaceva farlo. Quando Schwazer ha detto che non gli piaceva la marcia, era probabilmente in un momento molto particolare. Ma prima, se davvero non gli fosse piaciuta, non sarebbe riuscito a gareggiare e vincere».
A TOKYO
Dopo le amarezze di Melbourne e Roma, Pamich vinse avventurosamente l’oro a Tokyo, superando una crisi intestinale: «Al 38° km mi accostai al bordo della strada e fui circondato da militari. Così mi liberai dal…fastidio. Quando ripresi a marciare ci fu un grande applauso» Abdon, che nel 1951 vinse il GP Pavesi, “Leva di propaganda” del Corriere dello Sport, ancora oggi si allena tre o quattro volte a settimana. La prossima volta forse indosserà con orgoglio la tuta che avevano gli azzurri all’Olimpiade di Londra, donatagli ieri dal segretario del Coni, Roberto Fabbricini. Ama ancora tanto lo sport, che ha segnato la sua vita e contesta chi nello sport cerca solo personaggi. «O sei uno sportivo o sei un personaggio, o sei uno sportivo o sei Balotelli. Se vivi lo sport in un certo modo non puoi essere personaggio. A me piaceva la boxe. A Fiume c’era la palestra di pugilato di mio zio Cesare. Il pugilato è una scuola di vita che insegna a rispettare gli avversari e a dominare se stessi» Abdon ha giocato anche a calcio, era portiere. E all’Olimpico, prima di un Roma-Torino, fu spinto da un grandissimo tifo verso il record mondiale della 50 km di marcia, il 19 novembre del 1961. Avrebbe potuto diventare una stella del canottaggio, ma alla fine lui scelse l’atletica, marciatore per caso e un po’ per rivalsa sul fratello Giovanni.
di Leandro De Sanctis sul Corriere dello Sport del 19 ottobre 2013