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Esuli e rimasti insieme impegnati a costruire l’Europa adriatica (Voce del Popolo 29mag13)

Un commovente ricordo del compianto Roberto Starec e un’occasione per riflettere su come riprendere un rapporto di collaborazione avviato quasi vent’anni fa dal Centro di Ricerche storiche di Rovigno e dall’Istituto regionale per la Cultura Istriano-fiumano-dalmata di Trieste, ma poi non sviluppato, non sfociato in ulteriori iniziative comuni. Si era cominciato con la coedizione di un volume (il “Dizionario storico fraseologico del dialetto di Capodistria” del 1995, di Giulio Manzini e Luciano Rocchi) e si riparte simbolicamente con un altro libro, o meglio con la copresentazione dell’opera postuma di un autore scomparso prematuramente nel maggio di un anno fa, che ha lavorato con e per conto di entrambi gli istituti.

Grande partecipazione di pubblico al Civico Museo della Civiltà istriana, fiumana e dalmata, per la corposa monografia “Pietra su pietra. L’architettura tradizionale in Istria” (n. 34 della Collana degli Atti del CRS, 2012), di Roberto Starec; in sala pure la vedova Silva e la figlioletta Flora, tanti amici e compagni di studi e di lavoro. “Lui sarebbe contento di vedere tanta gente qua per lui a pensarlo in questo momento”, ha detto la vedova, salutando l’iniziativa della pubblicazione di un DVD da parte dell’IRCI che darà modo a sua figlia di sentire la voce del padre.

A illustrare la pubblicazione a Trieste, a distanza di sei mesi dalla serata di promozione in Istria, a Pisino, sono stati il direttore del CRS, Giovanni Radossi, lo storico Rino Cigui e Gian Paolo Gri, antropologo e studioso di storia e cultura friulana. Alla presidente dell’IRCI, Chiara Vigini, il compito di aprire l’incontro.

Il suo intervento ha teso a rilevare la molteplice importanza della serata, intesa dagli organizzatori sia come un dovuto omaggio a Starec sia come un’occasione per riprendere e concretizzare il dialogo tra l’IRCI e il CRS e, più in generale, tra le associazioni degli esuli e quelle dei rimasti, al fine di (ri)creare un’unica famiglia. Soprattutto ora che, con il prossimo ingresso della Croazia nell’Unione europea, si sta per abbattere l’ultimo “muro” che ancora divide il territorio istriano.

Di Roberto Starec ha parlato come di una “colonna” sulla quale contava di appoggiarsi all’IRCI (ai cui vertici si è insediata circa un anno fa), di un amico e di uno studioso affidabile e sensibile, che si occupava delle testimonianze dell’Istria rurale, di quelle che all’apparenza sembrano “piccole cose”, ma che in effetti denotano una grande civiltà. E Starec lo aveva intuito e le aveva valorizzate.

Commosso, Piero Delbello, direttore dell’IRCI, amico di Starec, ha rievocato i trascorsi da studenti, l’essere stati allievi del professor Agri, la laurea nello stesso giorno (nel marzo ’98, sessione straordinaria dell’anno accademico ’86/’87), il contributo di Starec al lavoro dell’IRCI, fondamentale per la mostra sulla vita contadina allestita al Museo di via Torino… Il direttore dell’IRCI e vicepresidente dell’Università Popolare di Trieste ha accennato agli esordi della cooperazione IRCI-CRS, sempre supportata dall’UPT (in sala, tra il pubblico, pure il direttore generale Alessandro Rossit, e l’ex presidente dell’ente morale triestino, Luciano Lago), alla figura di Starec, che, in un certo senso ha fatto da trait d’union tra i due istituti. “È impossibile pensare che non ci sia più, lui che è stato con noi fin dall’inizio”, ha concluso Delbello.

Giovanni Radossi si è soffermato sul valore di “Pietra su pietra”, saggio che ci regala il quadro di un’Istria in cui il patrimonio della cultura tradizionale, elaborato da generazioni di contadini, pescatori e artigiani nel corso di una vicenda secolare, è stato progressivamente intaccato e messo in crisi dalle trasformazioni socio-economiche prodotte dall’incalzare degli eventi politici che hanno trasformato il volto etnico e linguistico della regione. Esodo, modelli successivamente imposti, sviluppo tecnologico non sono tuttavia riusciti a cancellare l’eredità.

“L’apporto culturale di questo volume può essere considerato marginale soltanto da un punto di vista geografico: esso è e rimane, invece, un aspetto specifico della più vasta cultura della nostra Nazione Madre. Noi siamo sempre più fortemente convinti che conoscere la nostra storia ci aiuti a meglio comprendere il mondo in cui operiamo e nel quale i nostri padri hanno affondato da epoche immemorabili le loro e le nostre radici”, ha concluso il direttore del Centro di Rovigno. Nel corso della serata Radossi ha parlato del suo “sogno” di creare due poli museali: uno a Rovigno, finalizzato alla diffusione in Istria delle conoscenze sull’esodo, l’altro a Trieste, con l’obiettivo di far capire all’Italia ciò che “noi siamo”.

Rino Cigui, ricercatore del CRS, ha illustrato il volume di Starec, punto d’arrivo di un percorso iniziato negli anni Novanta. L’autore va a indagare quella che definisce “architettura tradizionale”, locuzione da lui preferita alle più riduttive “architettura rurale, contadina, spontanea, senza architetti, anonima, primitiva, popolare, vernacolare”. “Pietra su pietra” è il risultato di un lavoro sul campo durato una quindicina d’anni, “una ricognizione capillare del territorio istriano nel corso della quale Roberto Starec ha operato un vero e proprio censimento delle architetture tradizionali, comprendenti le case con gli elementi connessi, i rustici, fabbricati specifici come frantoi e mulini ad acqua, i ricoveri temporanei e le edicole devozionali”, ha spiegato Cigui. Il volume è corredato inoltre da un ricchissimo apparato iconografico, comprendente oltre 600 tra immagini, disegni e mappe catastali relative alle 298 località visitate dall’autore.

Gian Paolo Gri ha offerto invece una serie di commenti critici al volume, focalizzatosi su alcuni aspetti e questioni centrali. Il professore, che ha una profonda esperienza di ricerca etnografica, ha evidenziato la combinazione delle varie fonti e l’equilibrio adottato nell’impiego delle medesime, lo studio comparativo delle varie tradizioni presenti sul territorio, la ricerca di risposte (antropologiche) alla questione del rapporto fra tradizione e modernità.

“Ci vuole una politica coerente che assicuri più tutela e maggiore sostegno economico a interventi di qualità volti alla conservazione della tradizione”, ha detto Gri, sollecitando la trasmissione ai giovani dei nostri beni culturali immateriali e di quelli tangibili, di valori che ci derivano anche dalla conoscenza delle cosiddette tre A: abitazione, abbigliamento e alimentazione.

A proposito di nuove generazioni, Stelio Spadaro ha invitato a guardare al futuro: “Abbiamo una grossa responsabilità, come italiani di queste terre. Con l’ingresso della Croazia nell’Unione europea si apre un discorso che ci pone nuove sfide. Superando le divisioni del passato, ci dobbiamo porre come obiettivo la costruzione di un’Europa adriatica”.

Partendo dalla consapevolezza del loro ruolo fondamentale nella salvaguardia e conservazione del patrimonio di queste terre, Paolo Radivo ha invitato le associazioni degli esuli a impegnarsi su un fronte comune, mentre per Walter Macovaz, chiedendosi perché figli e nipoti “non ci seguano” sulle orme di questa grande tradizione e civiltà, ha concluso che sarebbe fondamentale cambiare “la nostra percezione e i nostri modi di agire”, arrivare nelle scuole, a tutti i ragazzi, a prescindere dalle loro origini, e non solo a quelli di “pura razza profuga”. Solo così avremo un domani.

Ilaria Rocchi
“la Voce del Popolo” 29 maggio 2013

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