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Esuli e rimasti, fratelli diversi (Voce del Popolo 16 mag)

Calato il sipario sul 56º Raduno nazionale degli esuli – il secondo voluto nella città di origine dal Libero Comune di Pola in Esilio, bene accolto dalla Comunità degli Italiani – ogni tentativo di sunto e di giudizio, specie se di pubblico dominio come questo che ci proponiamo di fare, rischia di portarci a ripetere le solite frasi fatte, quelle che inevitabilmente finiscono nei titoli dei giornali e dei notiziari, come “chiudere le ferite del passato”, “guardare all’Europa” e cose di questo genere. Ma è davvero così semplice “chiudere” e “guardare avanti”? Abbiamo forse superato il trauma? Le ferite sono rimarginate? Ci siamo, come si suol dire, riconciliati? Di colpo non siamo più diffidenti verso l’altro, o intransigenti, o autoritari, o schizzinosi, o insofferenti? Probabilmente no, e lanci la prima pietra chi è senza peccato.

 

Tuttavia è successo ciò che fino a qualche anno fa, per non parlare di qualche decennio fa, sembrava ed era impossibile. Adesso ci guardiamo negli occhi e ci parliamo direttamente, e non per interposta persona; organizziamo convegni, serate letterarie e spettacoli; ricordiamo i concittadini illustri; onoriamo le vittime innocenti di ideologie sbagliate; scriviamo articoli, interventi e componimenti letterari che ci vengono pubblicati nei rispettivi giornali; incrociamo telefonate, mail ed sms; litighiamo pure, quando le divergenze d’opinione s’inaspriscono, e ci portiamo il broncio a vicenda, come fossimo ancora dei ragazzini. Però non c’ignoriamo più. Vi pare poco?

 

Personalmente ho guadagnato un amico e ho provato un immenso piacere nello stare in compagnia degli “esuli da Pola” nella mia, nella nostra “Comunità” comune di via Carrara, benché ne conosca pochissimi di persona. Se mi tengo rigidamente ancorata alla mia posizione nelle dispute, il mio amico mi accusa di continuare a dividerci chiamando noi “noi” e loro “voi”, cosa che è sbagliato fare perché “siamo una cosa sola”. Non è così, Paolo, nessuno è mai “cosa sola” con l’altro, e tanto meno chi è stato diviso dalla storia e dalle ideologie. Siamo profondamente diversi, invece, sia nel sentire e nel patire, che nel pensare e nel proferire parola. Lo siamo al punto da continuare a fraintenderci in continuazione, per poi cercare di rimediare quando invece il problema non avrebbe nemmeno dovuto essere posto. Siamo diversi così come lo sono i fratelli che non si somigliano l’un l’altro e differiscono profondamente anche dai genitori, pur restando una famiglia, geneticamente e culturalmente. Niente che possa minare l’affetto e l’amicizia che vorremmo poter continuare a coltivare in futuro, comunque. E scusate se è poco.

 

Daniela Deghenghi

“La Voce del Popolo” 16 maggio 2012

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