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De Mistura a Bergamo: «Io figlio di un esule ho dedicato la mia vita ai rifugiati»

Il padre, costretto all’esilio, era originario di Sebenico, nella Dalmazia, e uno zio figura tra le numerose vittime delle foibe: vicende familiari che hanno portato Staffan De Mistura, sottosegretario di Stato del ministero degli Affari esteri, a impegnarsi, per ben 42 anni, in una sorta di «guerra alle guerre» in diverse parti del mondo, come diplomatico delle Nazioni Unite.

De Mistura ieri era a Bergamo, in occasione del «giorno del ricordo», dedicato alla commemorazione delle vittime delle foibe e dell’esodo giuliano-dalmata e ha raccontato, nell’aula consiliare di Palafrizzoni gremita di autorità e studenti delle scuole supèriori, la sua esperienza. «Non dimenticherò mai – ha detto – i momenti del controllo di passaporto: io avevo quello svedese, come mia madre, per cui la fila era molto veloce. Mio padre, invece, come molte altre persone, era apolide: lo aspettavo per ore, mentre pian piano avanzava nella fìla lunghissima, sottoposto alle più svariate domande».

Le vicende del padre hanno quindi avuto una parte fondamentale nel determinare le scelte di De Mistura: «Non è un caso che abbia scelto di lavorare per le Nazioni Unite, e in determinate zone di conflitto, dove le popolazioni devono subire l’umiliazione della migrazione forzata. Moltissimi nostri connazionali, 350 mila, hanno dovuto lasciare tutto da un giorno all’altro e partire. Sono contento di essere qui a Bergamo: è una città che ha fatto molto e che ha accolto a braccia aperte». De Mistura rivolto agli studenti presenti – una delegazione della Consulta provinciale studentesca e dello Sportello scuola-volontariato e una rappresentanza di alcuni istituti superiori: «L’Europa è diventata la visione nella quale dobbiamo identificarci, nel rispetto delle diversità. Bisogna andare avanti, ma mai dimenticare il passato: gli errori e gli orrori devono essere un esèmpio per il futuro, per noi e le nuove generazioni».

Gli studenti gli hanno poi rivolto alcune domande, riguardanti la delicata situazione dei soldati italiani all’estero, in particolar modo la vicenda dei due marò in India, chiedendogli di raccontare anche un episodio di gioventù rimastogli particolarmente impresso. «I nostri militari stavano facendo il loro dovere – ha detto De Mistura sui marò -: li ho incontrati diverse volte e hanno sempre dimostrato una forte dignità. Un passo alla volta, usando il cervello e non i muscoli, li riporteremo a casa». De Mistura ha poi raccontato l’episodio che l’ha spinto ad avere a cuore i conflitti in cui i civili sono sono maggiormente colpiti: «Avevo poco più di diciott’anni: mio padre chiese a un funzionario dell’Onu di farmi partecipare come volontario in qualche zona complicata, a sue spese. Fui mandato a Cipro: un giorno vidi un bambino di nove anni, cadere a terra, morto, davanti ai miei occhi, colpito al collo da un proiettile di un cecchino. Fui scioccato e provai un senso di sdegno che non ha mai smesso di accompagnarmi».

Il sindaco Franco Tentorio ha donato a De Mistura una targa, «a chi ha sempre combattuto ogni forma di violenza e il voler sradicare le radici, dimostrando una forte sensibilità verso gli sfollati e i rifugiati». Sudan, Etiopia, Iraq, Sarajevo, Mogadiscio, Libano: sono alcuni dei luoghi dove De Mistura ha operato. Nel 2001 Ciampi gli ha conferito la cittadinanza onoraria. Un dono al sottosegretario anche da parte di Maria Elena De Petroni, presidente del comitato bergamasco dell’Associazione Venezia Giulia e Dalmazia, che ha ricordato come «l’esilio costituisce una profonda ferita dell’anima, sradicando l’individuo, senza la possibilità di un recupero definitivo».

Giada Frana
“L’Eco di Bergamo” 10 febbraio 2013

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