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Da Trieste a Salonicco: così cambiano i Balcani (2) (Il Piccolo 06 ott)

di PIERPAOLO GAROFALO

TRIESTE Dopo sei ore e 40 minuti di viaggio da Trieste e l’ennesimo pedaggio, agevolmente pagato in euro grazie a un provvidenziale foglio con l’indicazione appiccicato sotto lo sportello del casellante, iniziano a succedersi le uscite della tangenziale belgradese, che non riserverà se non per un attimo la vista del maestoso fiume e del centro storico con le imponenti chiese e il mondano passeggio di Knez Mihailova pieno di bar e bella gente. Il primo svincolo è, segno dei tempi, quello per la Fox-Tv, la ”creatura” del magnate australiano Murdoch; poi vengono quelli di Zemun, con i suoi alti blocchi di alloggi popolari, povero e pericoloso. Il covo, è risaputo, della mafia serba che qui avrebbe il suo quartier generale. Più avanti i rioni di Nuova Belgrado, la parte più recente della metropoli, e dell’Arena, dove pochi giorni prima era in cartellone Madonna.

Autostrada senza regole

Lasciando la capitale serba si affrontano una serie di saliscendi: il fondo è leggermente sconnesso ma nulla che impedisca di mantenere la media autorizzata, 120 orari. Semmai, nonostante le uniche pattuglie di polizia incontrate dall’Italia, è l’imprevedibilità degli automobilisti locali e la loro fantasia nell’interpretare il concetto di corsia d’emergenza a destare qualche perplessità. All’improvviso quello che sembra un maratoneta impazzito in attillata tuta sportiva nera viene incontro sfiorando il guard-rail centrale. Prima di ogni possibile reazione scavalca il parabordo metallico per stringere la mano e abbracciare un automobilista fermatosi sul lato opposto. Più in là qualcuno, nella corsia più a destra, ripara la propria utilitaria mentre tre motociclisti vi hanno parcheggiato i propri mezzi per oltrepassare la bassa rete di demarcazione e approfittare di un piccolo bar a una decina di metri dalla carreggiata, attraversata poco oltre da un ciclista bici in spalla. Un’ora dopo una pianura senza particolari attrattive ha ripreso il sopravvento mentre si affianca Kragujevac, la ”Torino serba” con gli stabilimenti Zastava, costola della Fiat. Ben più costose Range Rover si dice possano essere invece ammirate a Kopaonik, la località sciistica più ”inn” del Paese, la cui uscita è segnalata nelle vicinanze, caratterizzate da boscose colline. Nel mezzo un autogrill accoglie all’ingresso i clienti con una grande fotografia di Josip Broz Tito in alta uniforme: qui la ”jugonostalgia” non ha mai attecchito, semplicemente non si è voluto rinnegare o dimenticare il passato, per certi versi più glorioso del presente.

Un Maresciallo alla reception

Dopo il casello di Nis, a 841 chilometri dal capoluogo giuliano, la prima indicazione per Salonicco: affermare di avercela quasi fatta si rivela solo un’illusione. Al secondo rifornimento di benzina della giornata lo scetticismo riguardo le carte di credito viene fugato: tutto funziona e dopo 15 minuti il viaggio riprende nella parte paesaggisticamente migliore di tutta la Serbia: la luce ormai sempre più obliqua illumina una campagna curata che emana profumo di fieno mentre le colline sulla destra, in direzione Ovest, diventano nere. Ormai è quasi buio e il Motel-camping Predejane, nell’omonima località, incassato in una gola, è animato dagli occupanti una serie di pullman turistici serbi e qualche auto. Dal ristorante al primo piano, dove evidentemente si celebra qualche festa o cerimonia, giunge musica dal vivo; la hall è bene ammodernata e un anziano impiegato spiega ogni cosa in inglese sotto lo sguardo impassibile del Maresciallo, il cui busto bronzeo decora la sala insieme a una maxi-schermo dal quale rimbalzano videoclip del ”serbo-pop” più alla moda. Colazione inclusa sono 45 euro la doppia, una camera semplice ma comoda, dove tutto funziona nonostante qualche sportello sbilenco.

La sveglia, nel Sud della Serbia, è programmata prima dell’alba: l’obiettivo è di raggiungere entro la mezza Volos, oltre Salonicco, per l’imbarco. Nella sala-ristorante poco prima delle sei vi sono più camerieri, tutti gentilissimi, che avventori, un po’ alla vecchia maniera dell’autogestione socialista: un addetto alle pietanze, un altro alle bevande, un terzo al disbrigo del tavolo, un quarto alla cassa. Allora era piena occupazione ma la sua redditività era fallimentare, tanto da portare con altri fattori al collasso del sistema, uno dei prodromi della dissoluzione della Repubblica federale di Jugoslavia.

Partenza alle 6.20 sotto un cielo grigio che manda qualche goccia di pioggia ma dopo pochi chilometri le gole ricoperte da un fitto bosco si aprono, come le nuvole, e inizia una nuova vallata. Lo snodo ferroviario di Surdulica offre una visione deprimente nonostante il grande cartello che in inglese indica una zona doganale speciale annunciando ottimisticamente che ”Il denaro è qui”: ma i grandi magazzini allineati lungo i binari sono in grave degrado.

Costeggiando il Kosovo

Vranje è la principale città della regione, estesa su una vasta superficie e senza alcun edificio imponente. Sulla destra, verso Ovest, la pianura è limitata da una serie di montagne non troppo alte, dalla forma vagamente a panettone, con le cime coperte da nubi o nebbia: ormai si è già nella Valle di Presevo e oltre quelle alture c’è il Kosovo, con una pacificazione che non è pace, una convivenza interetnica che è solo di facciata e i traffici di ogni genere che a volte sopperiscono, a volte rimpiazzano e altre ancora spodestano un’economia fantasma in un territorio privo di materie prime e con un’agricoltura di sussistenza. L’indipendenza autoproclamata nel 2008, riconosciuta dalla gran parte ma non da tutta la comunità internazionale e l’Ue non ha finora innescato alcun ”volano” economico. Con Belgrado che si oppone con ogni mezzo, stavolta pacifico e giuridico, al nuovo status della sua ex provincia ribelle. Le indicazioni stradali per il Monastero di Decani e quello di Pec, sede del Patriarcato, ricordano come la Serbia qui abbia la sua ”culla” storico-religiosa, in quella ”Piana dei merli”, Kosovo Polje, dove la grande sconfitta contro i turchi nel 1389 fondò l’identità statale di un popolo fiero e leale. Ma anche la Vallata di Presevo ha avuto la sua fiammata di guerriglia. Due moschee, a pochi metri una dall’altra, vengono incontro all’automobilista, le prime di tutto il viaggio. Ve ne saranno altre, almeno una per ognuno dei paesetti che s’incontrano fino alla Macedonia. La maggioranza della popolazione locale è di etnia albanese e musulmana. Sulla scia della guerra d’indipendenza kosovara aveva per un breve periodo e senza esiti rilevanti imbracciato le armi, anelando all’annessione con il confinante territorio, sebbene il territorio sia sempre stato parte integrante della Repubblica di Serbia. Ancora pochi giorni fa, la polizia di Belgrado ha scoperto a Ravna Glava un grande quantitativo di armi e munizioni.

Bujanovac e lo stesso Presevo, i paesi più grossi, avevano assurto per qualche mese gli onori della cronaca, covi dell’insurrezione. Oltre la dorsale vi è Gnjilane, nel settore orientale della Kfor, la Kosovo Force internazionale di peace-keeping a guida Nato, per anni occupato dai reparti statunitensi. Anche in questa valle l’agricoltura non è al passo con l’Occidente: un vecchio trattore procede lento, con un vitello ”accomodato” nello stretto cassone di fortuna.

Alcuni blocchi di cemento piramidali anti-carro lasciati ai bordi della strada, qualche vecchio camion della Vojska Jugoslavie, l’Esercito di Jugoslavia come si chiamava negli ultimi tempi l’ex Armata federale che via via aveva perso le sue repubbliche federate, riconvertito a uso civile ma ancora di più la caserma di un reparto corazzato ricordano tempi più duri e non allietano il paesaggio velato dal grigiore della povertà. Ma anche qui si guarda al futuro. Imponenti lavori stradali, co-finanziati dall’Unione europea, stanno ammodernando e ampliando l’E75, l’arteria che conduce alla capitale macedone e poi verso la Grecia. Qui è stretta ma poi riprende le vesti di una superstrada a quattro corsie.

Numero verde anticorruzione

A esattamente un’ora dalla partenza dal motel e al chilometro 1.000 da Trieste la frontiera serbo-macedone sbarra il passo. Nel cielo plumbeo si staglia l’enorme vessillo con il sole rosso in campo giallo dell’ex repubblica jugoslava che dallo smembramento della ”Federativa” non è riuscita a salvare neppure il nome, dovendosi accontentare per ora appunto dell’acronimo in inglese della sua condizione: Fyrom, cioè Ex repubblica jugoslava di Macedonia. La Grecia si oppone fieramente a qualsiasi ipotesi di condividere il nome della sua regione storica con quelli che ai loro occhi sono solo dei ”parvenu” in cerca d’identità e che rinnegano la loro essenza di ”sud serbi”. Forse si spiegano così le dimensioni extra large della bandiera di guardia alla frontiera.

Dalla parte macedone un cartello posto in bella evidenza invita a denunciare al numero d’emergenza ”197” i casi di comportamento illegale da parte di poliziotti corrotti, viatico minaccioso e consolatorio insieme. Subito tornano alla mente i racconti di qualche altro turista italiano, colto in flagrante eccesso di velocità con i tele-laser e costretto a patteggiare ”in nero” una contravvenzione altrimenti spropositata alla colpa.

Con un decina di vetture che precedono, la frontiera si attraversa in 15 minuti: anche qui scannerizzazione dei passaporti e della ”carta verde” della polizza assicurativa ma nessun controllo del bagaglio o dell’auto. Alcuni mansueti gruppetti di randagi dagli occhi malinconici pregano i viaggiatori per un po’ di cibo. Sempre meglio delle campagne di sterminio portate avanti in Kosovo dagli albanesi a colpi di fucile, insieme a qualche pseudo ”Rambo” dei contingenti internazionali.

Si lavora anche in questo tratto al raddoppio delle corsie che, diventando poi autostrada, conducono a Kumanovo, dove è stato firmato l'Accordo omonimo tra le Forze federali serbe e la Nato: sancì il ritiro delle prime dal Kosovo, la cessazione dei raid dell'Alleanza atlantica e l'occupazione della regione da parte della Coalizione internazionale, e alla sua zona doganale.

Al casello basta tirare fuori una moneta da un euro: sarà così ogni volta, indipendentemente dalla tariffa in valuta locale, in questo Paese per lunghi tratti ”vuoto”, senza alcun segno della presenza umana. Né case, né campi, né elettrodotti, nulla: varrebbe la pena un viaggio solo per questa sensazione di piacevole isolamento che le dolci e nude colline non fanno tramutare in desolazione.

(2 – continua)

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