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Concerto Muti: ho pregato alla Foiba (Il Piccolo 20 lug)

LETTERE

Ho promesso che il mio raccoglimento in preghiera alla Foiba non durerà più di qualche minuto… ma è qui, in questo luogo altamente simbolico, che deve compiersi il mio momento di pacificazione, davanti alla croce che sovrasta l’impalcatura di recupero. Con i morti del vecchio pozzo di miniera, ma anche con tutti gli altri: quelli di Vines e di Surani, di Checchi e di Castelnuovo d’Arsa, di Pisinvecchio e Bertarelli, di Sossi e Terli, di Santa Domenica di Albona e di Antignana, di Corgnale e di Santa Lucia, e Monrupino, Abisso Plutone, Gradaro, Jelenka Jama, e di tutte le altre centinaia e centinaia di voragini sparse un po’ ovunque in questo nostro disgraziato territorio.

Ho scelto di starmene qui in solitudine per dirmi in silenzio tutto quello che ho nel cuore. Estraniarmi dal rumore assordante delle trombe e dei tamburi e dagli scrosci degli applausi, mi aiuta a ritrovare me stessa e a recuperare le mie certezze, sempre più convinta che proprio la delicatezza di un evento così significativo imponeva di seguire il programma iniziale del concerto dell’amicizia e basta, senza concessioni a manifestazioni di contorno. Invece non si è stati capaci di trovare un giusto equilibrio tra esigenze di pari diritto alla memoria. Cedere alle pretese slovene di deporre una corona sulla facciata dell’ex Balkan, senza un gesto equivalente alla Foiba di Basovizza (madre di tutte le foibe), è stato più che un errore di valutazione, una sottovalutazione della tragedia di cui istriani, fiumani e dalmati sono stati vittime…

Nel rifiutarsi di salire quassù i due presidenti sloveno e croato, specie uno di essi, hanno dimostrato la loro debolezza. Non ci può essere pace senza pentimento e senza ammissione delle colpe del passato. O forse si temeva di fare un torto alla memoria oggi tanto rivalutata del maresciallo Tito? Essi diverranno sicuramente degli ottimi capi di Stato, certamente amati dai loro rispettivi popoli, ma non raggiungeranno mai la statura del Cancelliere Brandt che nel ’70, a Varsavia, nella piazza in cui tra le grigie case popolari sorge il monumento agli eroi del ghetto ebreo, ebbe il coraggio di inginocchiarsi chinando il capo.

Annamaria Muiesan Gaspàri

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