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Cento anni a casa dei Luzzatto-Fegiz (Il Piccolo 29 nov)

di PIETRO SPIRITO

Nella grande casa di via Rossetti è evidente lo strato di memorie accumulato nel corso negli anni, in una costante sovrapposizione e variazione di oggetti e di strutture. Dalle cantine ai piani superiori, fino al giardino, il tempo non ha cancellato le impronte del passato, e delle persone che in questa casa hanno abitato. Succede nelle dimore delle famiglie di antica origine capaci di mantenere il filo e tracce, succede nella casa di via Rossetti che da cento anni esatti è abitata dalla famiglia Luzzatto-Fegitz (che dal secondo dopoguerra diventa Fegiz), una delle grandi famiglie della borghesia intellettuale triestina. Qui ha avuto i natali fra gli altri Pierpaolo Luzzatto-Fegitz, economista e fondatore, nel 1946, a Milano, della Doxa, lo storico Istituto per le ricerche statistiche e l'analisi dell'opinione pubblica, che dal dopoguerra ad oggi ha raccolto e analizzato pareri e pensieri degli italiani sui più importanti snodi sociali della repubblica, dal referendum istituzionale alla distribuzione del reddito nazionale, dalla riforma della scuola media all’emigrazione, dalla nazionalizzazione delle imprese elettriche al divorzio, dalla droga al controllo delle nascite.

Le prime notizie dei Luzzatto, di origine askhenazita, riportano alla Trieste del 1400. Ma è dall’Ottocento che prende le mosse questo capitolo della storia della famiglia, con il matrimonio, nel 1896, tra Giuseppe Luzzatto e Alice Fegitz. Lui è il primogenito di Gerolamo Luzzatto e Rachele Levi, e dall’età di 9 anni, quando muore prematuramente il padre, ha capito che la vita non sarà esattamente una passeggiata, sentendosi subito responsabile della famiglia, con la madre e quattro fratelli più piccoli. Quando Rachele si risposa e va a Vienna Giuseppe, chiamato da tutti Peppi, studia legge nella città del Danubio e dopo la laurea torna a Trieste per iniziare la carriera d’avvocato. In città ha molti parenti, alcuni dei quali ricoprono ruoli importanti, quali il cugino del padre, Moisè Luzzatto, vice podestà di Trieste, che assieme a Felice Venezian, Teodoro Mayer, Camillo Ara e altri non ebrei come Oscar Ravasini partecipa al movimento liberalnazionale. È in questo ambiente borghese, irredentista e colto che
Giuseppe Luzzatto conosce la giovane Alice Fegitz, figlia della sorella di Ravasini, Ida, e di Carlo Fegitz. Alice è una bella ragazza dagli occhi grigio-azzurri, ha carattere ed è una promettente pittrice del Circolo Artistico, allieva del maestro Giuseppe Garzolini. Il giovane Luzzatto se ne innamora perdutamente, ma lei tentenna perché Peppi ha fama di uomo duro e autoritario. E infatti lo è con tutti, tranne che con Alice, che amerà e vizierà prima e dopo il matrimonio. Dalla loro unione nasceranno cinque figli: Maria, Giusto, Pierpaolo, Emma e Laura. Nel 1909 la famiglia si trasferisce da Corsia Stadion (oggi via Battisti) alla villa di via Rossetti, un edificio costruito nel 1881 in quella che allora era la bucolica periferia della città. Giuseppe l’ha acquistata per tremila corone dai fratelli Oblasser, e la regala ad Alice per il suo compleanno. Alice ama fiori e piante, e ha sempre desiderato avere un giardino. Il giorno del compleanno Giuseppe indossa il frac e si presenta a sua moglie con un cuscino di velluto sul quale è posata la chiave della villa, che da allora sarà l’epicentro di tutte le vicende familiari.

La famiglia cresce all’ombra del benessere. Negli anni Venti, per risolvere un imbarazzante problema di omonimia con un altro Giuseppe Luzzatto, anche questi avvocato – tanto che per distinguerli la gente li chiamava uno ”Peppi paragrafo” e l’altro ”Peppi codicillo” -, Giuseppe aggiunge al suo cognome anche quello della moglie, Fegitz.

Negli anni dei telefoni bianchi casa Luzzatto-Fegitz sembra un centro culturale: Alice dipinge (lascerà fra l’altro memorabili e preziosi ritratti dei familiari), tutti si dedicano alla musica, ai libri, all’apprendimento di lingue straniere. La primogenita Maria Margherita frequenta le lezioni di inglese di un singolare insegnante di nome James Joyce. Lei lo ricorderà sempre, con un certo distacco, come un buontempone dagli occhi azzurri e dal grande cappello che invece di impartire vere e proprie lezioni sosteneva brillanti conversazioni un po’ in inglese e un po’ in dialetto triestino. Lui parlerà di lei come una ragazza «molto carina: bruna, occhi dolci e scuri, alta e sottile, elegantissima, un gran sorriso buono».

Avvocato di fama, consigliere d’ammnistrazione delle Assicurazioni Generali, appassionato alpinista e presidente della Società Alpina delle Giulie, Giuseppe Luzzatto-Fegitz è all’apice della vita e della carriera quando, nel 1938, le leggi razziali lo colpiscono con la forza di una mannaia. Deve lasciare tutte la cariche, subisce umiliazioni che tiene per sè cercando di non farle pesare sulla famiglia. Ma il colpo più duro arriva nel dicembre del 1940, quando la figlia più giovane, Laura, una ragazza bellissima dallo sguardo triste, muore a trent’anni per una diagnosi sbagliata. Lo stesso mese dell’anno successivo, distrutto dal dolore, se ne va anche Giuseppe. Sul letto di morte, accanto al figlio Pierpaolo che lo assiste, prima di chiudere gli occhi moromora alcune frasi, parte in italiano e parte in tedesco: «Tutti a posto, Piero a posto, Emma a posto, Giusto a posto, Maria a posto…».

Certo gli altri figli sono sistemati bene: Maria Margherita ha sposato un nobile bolognese, Arrigo Gradi, e andrà a vivere nella città delle due torri. Giusto è avviato alla carriera di medico, destinato a diventare tisiologo di fama. Emma sposerà uno dei figli di Antonio Cosulich. Pierpaolo è il più irrequieto e ribelle dei fratelli Luzzatto-Fegitz, ama scrivere ed è l’unico in famiglia a non avere alcuna predisposizione per la musica. Pratica ogni genere di sport, dal canottaggio (campione italiano singolo skiff nel 1925) alla boxe, alla scherma. Sarà protagonista di uno degli ultimi duelli al primo sangue del secolo, quando, a 18 anni, incrocierà la lama con un tizio che aveva importunato sua sorella Maria.

Pierpaolo andrà a studiare legge a Bologna, e qui incontrerà Giovan Battista Salvioni, storico dell’economia e umanista, che lo inizia ai misteri della statistica. Salvioni è cieco, Pierpaolo lo accompagna ogni giorno a casa e presto tra allievo e professore nasce una profonda amicizia intellettuale. Ascoltando il suo maestro, Pierpaolo è affascinato dall’idea di poter dare voce ai pensieri della gente. Analizzare scientificamente pareri e opinioni, quantificare e scomporre attitudini, preferenze, aspirazioni non è un arido esercizio contabile ma al contrario permette di osservare una popolazione allo stesso tempo da vicino e da lontano. Ma è soprattutto un esercizio di vera democrazia, un modo di capire i bisogni reali. E il calcolo delle probabilità è un sistema che permette di gettare uno sguardo su infiniti mondi possibili, con la certezza che – come Pierpaolo scriverà nelle sue memorie (”Lettere da Zabodaski”, Mgs Press 2002) – «tanto non si scopre nulla».

Nel 1934 Pierpaolo sposa Ivetta Tarabocchia di Lussinpiccolo, della dinastia degli armatori Martinoli, ottima skipper e tennista, conosciuta durante una vacanza. I due giovani si rivedono a Lussino, passeggiano in riva al mare e a un tratto Pierpaolo sente una voce dentro che gli dice «Oggi, o mai più» e di botto chiede a Ivetta: «Crede che potremmo vivere insieme il resto della vita?».

Dal matrimonio nasceranno quattro figli: Marina, Alice, Francesco e Mario. Marina oggi vive nella villa di famiglia, Alice e Mario sono noti giornalisti, la prima ha lavorato a lungo alla Rai, il secondo, considerato il padre della critica musicale, lavora al ”Corsera”. «Purtroppo Francesco – racconta Alice – un anno dopo la sua nascita ebbe una grave malattia che gli provocò una lesione irreparabile al cervello». Morirà nel 1969, a trent’anni, dopo una vita passata tra le cure della famiglia e dei medici, tra i quali Bruno Pincherle.

Il resto è storia di ieri. Pierpaolo Luzzatto-Fegiz continuerà la carriera accademica fino a diventare, fra l’altro, preside della Facoltà di Economia e commercio dell’Università di Trieste (dal 1951 al 1960). Accademico dei Lincei, presidente della Camera di commercio di Trieste dal 1956 al 1958, San Giusto d’oro nel 1976, il suo nome resta legato alla fondazione della Doxa, che guiderà fino alla sua morte, nel 1989.

Di tutto ciò, e di molto altro, resta memoria nella casa di via Rossetti. «Quest’anno – racconta Alice Luzzatto-Fegiz – abbiamo celebrato i cento anni da quando la famiglia la abita, con una festa nel giardino che a nonna Alice piaceva tanto e dove amava trovare un po’ di pace».

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