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Capodistria e l’orgoglio di Trieste (Il Piccolo 30 mag)

L’esempio del crudele esperimento che ha dato il titolo a un suo fortunato libro, "La rana cinese", opera in cui nel 2007 indicava (invano) all'Italia già in crisi la via di un salutare choc in grado di farla reagire all'emergente strapotere economico di Pechino. Ma l'esempio è quanto di più calzante per spiegare il perché questo giornale due giorni fa ha scelto di "sbattere in prima pagina" l'intervista a Boris Popovic, vulcanico sindaco di Capodistria, nella quale l'"ospite" si permetteva una serie di giudizi non lusinghieri a carico di Trieste. "Amo questa città – spiegava Popovic in quelle righe – perché è bella come nessun'altra e ha potenzialità enormi". Ma poi, con la forza del realismo e di una indubbia faccia tosta, sollevava il velo su alcune delle più evidenti magagne che l'affliggono: il degrado agli ingressi Nord e Sud del centro abitato, l'incapacità di sfruttare ogni opportunità (o la volontà di non farlo?), l'immobilismo che permea la classe politica locale, uno spirito refrattario a ogni cambiamento, a ogni innovazione.

Non staremo qui certo a discutere del buon gusto di Popovic. Ognuno di noi è in grado di giudicare se le Rive risistemate dal Comune, orgoglio supremo del sindaco Roberto Dipiazza, assomigliano o meno a un'"autostrada a quattro corsie con aiuole che sembrano un cimitero" (corrosiva definizione di Popovic). Ma, secondo noi, è importante che i lettori del Piccolo sappiano che è così che ci vede un nostro titolato vicino, capo di una sia pur piccola comunità che però sta dando prova di eccezionale vitalità.

Capodistria, sono mesi che lo scriviamo su queste pagine, dà filo da torcere a Trieste. Il suo porto ha ritmi di crescita impressionanti, anche a scapito dei traffici del nostro Molo VII. Ha risolto o sta rapidamente risolvendo i suoi nodi infrastrutturali: nuove strade, banchine, linee ferroviarie, capannoni e piazzali spuntano sotto i nostri occhi nel breve intervallo tra una vacanza estiva sulla costa dalmata e la tradizionale gita pasquale in Istria, mentre il Friuli Venezia Giulia aspetta da decenni di vedere realizzati il Quinto Corridoio, la terza corsia sull'A4 e l'ampliamento dello scalo marittimo giuliano. Capodistria decide di realizzare una nuova zona artigianale? Ecco le ruspe al lavoro, mentre noi siamo da lustri impantanati nella grana delle bonifiche, col risultato che anche le imprese triestine valutano seriamente l'eventualità di spostarsi a Bertocchi piuttosto che rimanere alle Noghere.

L'elenco di esempi simili, tutti eclatanti, è lungo. Chi ci legge con un minimo di assiduità e attenzione ha certo notato sulle pagine del Piccolo le ricorrenti sottolineature su quanto accade oltreconfine e, in parallelo, su quanto invece "non" succede a Trieste. Era ed è nostro dovere alzare lo sguardo dalle mattonelle di piazza Unità e scuotere l'opinione pubblica che sonnecchia all'ombra di San Giusto.

L'erba del vicino è sempre più verde? Non è questo. Il nostro lavoro è imperniato sulla semplice e oggettiva osservazione della realtà. Non pensiamo che la "piccola" Capodistria, anch'essa alle prese con seri problemi, sia meglio della "grande" Trieste; o che Trieste debba prendere esempio tout court da Capodistria. I presupposti logistici, le condizioni ambientali, economiche, politiche, sociali tra le due città sono diverse. Però non ci si può dimenticare che Capodistria dista appena una decina di chilometri da Trieste. Che la concorrenza esiste. E che se il concorrente sulla carta più "debole" si dà freneticamente da fare, mentre quello che si sente più "forte" si limita a sbadigliare con sprezzante superiorità, alla fine è probabile che, al traguardo, arrivi davanti il primo, non il secondo. Dunque: sveglia, Trieste.

In città l'intervista a Popovic ha suscitato reazioni forti. Amministratori, politici di destra e di sinistra, imprenditori e categorie produttive per una volta hanno ritrovato compattezza, respingendo al mittente ogni appunto. Importante adesso sarebbe che a questo profluvio di parole sdegnate seguissero, altrettanto all'unisono e altrettanto pronti, anche i fatti.

Per quanto riguarda le scelte di questo giornale, un risultato l'abbiamo già raggiunto: lo "schiaffo" partito dalle nostre pagine è arrivato a segno, un fremito di orgoglio ha scosso la città. Bene. Avvertiamo tutti fin d'ora che di ceffoni del genere continueremo a tirarne. Sì, la pentola d'acqua rimane sul fuoco acceso, con la fervente speranza che alla fine la "rana triestina" si possa salvare.

Alberto Bollis

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