La riesumazione dagli scaffali della storia del Territorio Libero di Trieste, che da mesi occupa le cronache locali, finisce, come era facilmente prevedibile, in contestazioni all’indirizzo delle autorità amministrative nazionali.
Autocircoscritti in un microscopico cortile, i sostenitori del Territorio Libero di Trieste postbellico rievocano gli scenari della guerra fredda, evocano il fantasma nobile dell’antico autonomismo triestino ma senza che ve ne siano più le condizioni e le ragioni, rianimano fatue illusioni di poter attivare una diversa resistenza al confronto con le grandi questioni ed i nuovi equilibri mondiali, semplicemente barricandosi ideologicamente.
L’evocazione di una entità archiviata da decenni e consegnata agli storici è una insensatezza, un sogno ingenuo e sconnesso, rivolto nella direzione opposta rispetto al lavoro di integrazione di popoli e nazioni faticosamente intrapreso nel grande contesto europeo, ma non a caso espresso in un momento di crisi economica, di profonda disaffezione verso la politica, banalmente inteso a consolare le persone alla ricerca di soluzioni semplici e vanamente rancorose.
Il cosiddetto Territorio Libero di Trieste, un micro-stato dimezzato, simile ad una colonia, previsto dal Trattato di pace del 1947 e mai realizzato, in realtà non è mai esistito e tanto più non può esistere ai nostri giorni. La previsione di quel Trattato di pace è stata abrogata dal Memorandum di Londra del 1954, dal Trattato di Helsinki del 1975 e dal Trattato di Osimo del 1975.
Ma al di là delle considerazioni giuridiche, mettere oggi in discussione i confini e l’integrità territoriale di tre Paesi dell’Unione Europea, quali Italia, Slovenia e Croazia, è anacronistico e non accorto. Porre nuove frontiere in un’Europa che si impegna a superarle è contrario alla volontà ed agli interessi di tutte le popolazioni di queste terre. Tanto più è incompatibile con gli sforzi che le comunità istriane, fiumane e dalmate, esuli ed autoctone, da anni compiono nella direzione di una ritrovata unitarietà di sentire e di azione nell’opera di tutela della cultura italiana nell’Adriatico orientale.
È evidente che chi propugna la ri-creazione di un’entità scomparsa, non ha visione organica di una grande, unica identità, l’istriana, fiumana e dalmata, finalmente ricompattata, grandemente impegnata nella tutela e nella vigorosa promozione dei propri valori, essendo pronta a fornire il suo esempio nella costruzione di una civile e condivisa convivenza, confortata, a sua volta, da una civiltà bimillenaria che ha ancora oggi tanto da produrre in termini di prospettiva futura ed accoglienza della diversità culturale, sociale, storica ed ideologica.
dr. Antonio Ballarin, presidente nazionale ANVGD
Roma, 13 settembre 2013