Al quotidiano “Messaggero Veneto”, che il 15 maggio ha pubblicato una cronaca a firma di Anna Dazzan dal titolo “Kersevan: sulle foibe manca una verità”, ha replicato il presidente nazionale ANVGD Antonio Ballarin indirizzando il 20 maggio la lettera che segue al direttore responsabile della testata, Omar Monestier.
Leggo con sconcerto la nota di Anna Dazzan Kersevan: sulle foibe manca una verità, pubblicata il 15 maggio sul quotidiano da Lei diretto, nella quale si rinnovano le tesi dell’inconsistenza degli eccidi delle Foibe e si ripropone in sostanza la tesi ideologicamente viziata della loro “giustificazione”, nel quadro della difesa ad oltranza del regime totalitario di Tito del quale si sottace naturalmente il carattere spietatamente repressivo e l’apparato ferocemente persecutorio, manifestato in Istria sin dal 1943 con la prima ondata di eccidi, proseguita nel 1945 e ben oltre la fine del conflitto, prima a danno della popolazione italiana autoctona e successivamente dei dissidenti politici interni.
Soltanto il collasso dei regimi comunisti nell’Est europeo e quindi dell’intera impalcatura ideologica novecentesca, ha lentamente permesso di avviare un complesso percorso di analisi della storia e non limitatamente al Novecento, benché questo secolo sia stato, per la popolazione italiana giuliana e dalmata di antico insediamento, drammaticamente decisivo. La sorte degli italiani della costa orientale adriatica può ben assumersi a paradigma della barbarie ideologica del secolo scorso, avendo essi pagato sul loro territorio, con le loro vite e i loro beni, lo scontro tra le opposte ideologie totalitarie: una delle quali, la jugoslava comunista, ha irrimediabilmente modificato un antico equilibrio etnico, come riconobbe il grande storico liberale, l’istriano Ernesto Sestan.
In realtà, sempre più relegati all’angolo buio della propaganda ideologica, ininfluenti sulla pubblica opinione ed estranei alla seria ricerca storica, i pochi e incattiviti superstiti del riduzionismo riemergono di tanto in tanto a rilanciare, da anguste salette di sconosciuti circoli simil-antagonisti, o rare volte ospiti di inconsapevoli sedi istituzionali, quelle “tesi” che la migliore storiografia contemporanea ha ampiamente e definitivamente smentito.
Da Roberto Spazzali a Giuseppe Parlato, da Marina Cattaruzza a Gianni Oliva, da Stelio Spadaro a William Klinger, dal compianto Elio Apih a Giuseppe de Vergottini a Luciano Monzali a Raoul Pupo, studiosi di formazione diversa ma liberi dai vecchi condizionamenti ideologici, hanno inserito i tragici accadimenti del «confine orientale» nel quadro incontestabile di un progetto annessionistico, perseguito mediante i caratteristici sistemi del totalitarismo comunista (deportazioni, sparizioni, esecuzioni, «tribunali del popolo», liste di proscrizione, violenze generalizzate e soppressione dei minimi diritti civili e umani).
Il Giorno del Ricordo, come Lei ricorderà, è stato istituito nel 2004 con la Legge n. 92 dal Parlamento pressoché all’unanimità, per restituire alla Nazione intera la memoria delle sofferenze e del coraggio degli italiani di quella regione che tutto persero pur di avere salva la vita e la libertà, esuli nella Madrepatria restituita alla democrazia delle Nazioni occidentali.
Quelle parole offendono dunque anche i caduti della Resistenza giuliana liberale, cattolica, repubblicana, come i goriziani Licurgo Olivi (socialista) e Augusto Sverzutti (azionista), i fiumani autonomisti Mario Blasich e Giuseppe Sincich, il repubblicano Angelo Adam, prima deportato dai nazisti poi eliminato dalle milizie titoiste, tutti deportati e scomparsi; della giovane Norma Cossetto, alla cui memoria il Presidente Ciampi ha dedicato l’onorificenza prevista dalla legge istitutiva del Giorno del Ricordo, e di tutte le vittime civili degli eccidi alla cui memoria in questi anni è stato consegnato al Quirinale il riconoscimento della Repubblica Italiana.
Gli esuli italiani dalla Venezia Giulia e la Dalmazia e tutto il Popolo di lingua italiana di Istria Fiume e Dalmazia, respingono con forza l’uso strumentale della loro storia, che taluni vogliono ancora ridurre a oggetto di contesa tra fronti ideologici opposti per garantire una sopravvivenza a teoremi ampiamente smentiti dalla storia.
La vera e propria pulizia etnica subita dagli italiani della Venezia Giulia e della Dalmazia – perpetrata mediante espropriazioni, eccidi, intimidazioni, e quanti altri strumenti codificati della repressione– scaturì dall’incontro perverso tra nazionalismo esasperato e odio di classe, essendo identificato il cittadino italiano, a qualunque ceto e orientamento politico appartenesse, come «nemico del popolo». Si volle pervenire alla soluzione dei problemi delle aree mistilingui mediante l’eliminazione fisica del «nemico totale» (del popolo, della razza) e l’espulsione delle popolazioni non desiderate dal territorio dello Stato totalitario. In questo quadro, la stessa Resistenza non comunista, presente nel drammatico scenario degli anni 1943-’45, venne marchiata d’infamia dal PCI e dal movimento comunista «titino» perché non succube e contraria agli ordini di cedere sovranità e comandi ai reparti jugoslavi. A quella Resistenza patriottica si può finalmente rendere oggi onore e menzione.
Le “tesi” resuscitate qua e là da sedicenti storici dei quali non è noto il curriculum accademico e scientifico, né in nome di chi o cosa proferiscono le loro congetture fuori da ogni scientificità storica, ledono in tutta evidenza quei principi universali di rispetto della memoria e delle vittime civili delle barbarie e delle spoliazioni, queste ultime commesse con il metodo delle liste di proscrizione tipico di tutte le dittature rivoluzionarie comuniste, applicato in Venezia Giulia e a Zara con barbarica ferocia.
Nell’ovvio rispetto della libertà di stampa e opinione, mi chiedo, egregio Direttore, cosa sarebbe accaduto se analogo servizio fosse stato dedicato ad opinioni negazioniste della Shoah. Le chiedo, egregio Direttore, la pubblicazione della presente lettera.
Antonio Ballarin, presidente nazionale ANVGD