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Al Museo dell’IRCI cartoline della Grande Guerra (Voce del Popolo 03 dic)

Patriottismo, Risorgimento, terre da redimere, Grande Guerra, vittorie mutilate: nella turbolenta stagione politica e militare che, sul finire dell’Ottocento e agli inizi del “secolo breve”, contraddistinse l’Italia e le regioni che aspiravano ancora a unirsi al neonato Stato unitario italiano, la satira politica e la propaganda storico-politica furono tra i mezzi più utilizzati per arrivare sia alla nazione intera sia all’opinione pubblica internazionale. Manifesti, locandine, copertine di riviste, vignette e immagini umoristiche, volantini… per i bassi costi, la facilità di riproduzione e l’immediatezza della visualizzazione, in un’epoca in cui il tasso d’istruzione era basso e alta era invece la percentuale di analfabetismo e in un mondo ancora senza radio e televisione, erano il veicolo più adatto per estendere l’impeto e il raggio d’azione di un determinato messaggio (pubblicitario). Erano il più potente mezzo per colloquiare con le masse e per convincerle, per cui non meraviglia che raggiunsero un flusso enorme, caricandosi di significati e funzioni ed evolvendosi in un impressionante crescendo.

 

Se i temi furono inizialmente ingenui, via via si affinarono, soprattutto nel corso del conflitto e, dalla genericità, passarono alla stretta aderenza con gli eventi politici e bellici, alimentando ad esempio le polemiche suscitate dalla pretesa sovranità e italianità di terre irredente non concesse alla conferenza di Pace di Parigi. Multiformi, editi nei formati più svariati, alcuni di vesti tipografiche povere altri di lusso, riccamente illustrati con disegni, fotografie e bozzetti, anonimi o di firme famose, furono sovvenzionati da enti pubblici e privati per “combattere” con l’arma della parola e dell’immagine. Taglienti ed efficaci, sono materiali che anche a distanza di quasi un secolo mantengo un certo fascino; contribuiscono a ricostruire, assieme alla narrazione storica, il clima, i sentimenti, le aspirazioni, le contraddizioni di un’epoca; ci fanno comprendere com’eravamo, con un approccio critico ma anche divertito.

 

E (anche) per questi motivi la mostra che si inaugura a mercoledì prossimo (ore 17.30) al Civico Museo della Civiltà istriana, fiumana e dalmata a Trieste (via Torino 8) è uno di quegli appuntamenti da non perdere. “Gli Unni… e gli altri. Propaganda per le terre irredente”, realizzata dall’Istituto Regionale per la Cultura istriano-fiumano-dalmata (IRCI) in collaborazione con la Famiglia di Grisignana (aderente all’Unione degli Istriani), quale apporto ai festeggiamenti per il 150.esimo dell’Unità d’Italia. L’iniziativa è stata ideata e curata dal direttore dell’IRCI, Piero Delbello, mentre l’allestimento è stato progettato da Athos Pericin. Attraverso uno sguardo sulla enorme produzione della grafica relativa alla propaganda irredenta e alla satira storico-politica, propone un repertorio fortemente rappresentativo della situazione di Trieste, dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia nonché dell’area goriziana, il cosiddetto Friuli austriaco e il Trentino. I materiali provengono da fondi pubblici e privati, come pure dall’Archivio di Stato di Trieste e dai Civici Musei di Storia ed Arte di Trieste.

 

Il percorso fornisce un quadro storico del primo ventennio del Novecento. Punto di partenza è la Belle Époque, periodo all’insegna della fiducia nel progresso scientifico, nel quale però l’Europa si è trasformata in una pentola a pressione pronta ad esplodere. Nella fattispecie, l’Impero austro-ungarico, che soffre di malcontenti intestini, quei micronazionalismi che poi lo porteranno alla rovina. L’Italia, d’altra parte (ma il discorso vale pure per gli Slavi del Sud), forma in questo periodo il vero nazionalismo. Avvia un’opera di propaganda che fa leva su tre punti: la ricerca di nuovi possedimenti coloniali, l’ambizione di affermarsi come potenza in un Europa dominata da Grandi e l’acquisizione delle terre irredenti. In questo contesto, manifesti e locandine, che tra fine dell’Ottocento e i primi del Novecento erano già abbastanza diffusi come mezzo di comunicazione pubblicitaria per il commercio e per gli spettacoli di arte varia, si trasformarono in strumenti di comunicazione ideologica e politica. Gli slogan servono soprattutto a incitare, sostenere, resistere, oppure a smentire, duellare a distanza con nemici interni ed esterni. L’esposizione rimarrà aperta fino al 5 febbraio 2012 (visitabile dal lunedì al sabato con orario 10.00-12.30 e 16.00-18.30, la domenica dalle 10.00 alle 13.00).

 

Ilaria Rocchi

“La Voce del Popolo” 3 dicembre 2011

 

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