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Adriana Fabris: targa vergognosa e i ricordi di profuga (Il Piccolo 18 nov)

di DOMENICO DIACO

MONFALCONE (GO). «Per il mio carattere avrei pure fatto a meno della targa in memoria dell’esodo e delle vittime delle foibe, la cui nascita è stata controversa e contestata. Vederla oggi lì, voluta dall’amministrazione comunale e scoperta lunedì nel corso di una cerimonia, è una presa in giro. Averla inaugurata, dopo tante polemiche e rinvii, quasi per mettersi la coscienza in pace, è una vergogna. Così misera, con quella scritta (una frase dell’ex Capo dello Stato Ciampi, ndr) coperta con nastro adesivo nero, come se fosse listata a lutto, sembra più uno sfogo di qualcuno che non un vero e proprio ricordo». A parlare così è Adriana Fabris, esule istriana ora residente a Monfalcone che all’età di 4 anni e mezzo lasciò la sua Pola assieme ai genitori e al fratellino di appena 40 giorni. Era il febbraio del 1947. Destinazione Roma. I ricordi dell’esodo sono quelli di una bambina. «Ricordo quella nave, il ”Toscana”, stracolma di gente e masserizie, ma anche la grande casa che avevamo a Pola e che dividevamo con i nonni». «Ci sono tornata molto tempo dopo, negli anni 70 – ricorda Adriana Fabris -. Era abitata da croati, non mi hanno neppure fatto entrare nel cortile, mi hanno cacciato via». «Mio papà faceva il palombaro, liberava le navi affondate nel porto di Pola e proprio per questo suo lavoro anziché a Roma la nostra meta fu dapprima Ancona e quindi Pesaro. A Monfalcone c’erano due miei zii. Li raggiungemmo e mio padre trovò lavoro al cantiere».

I primi anni furono durissimi, ricorda ancora Adriana. «Ero solo una bambina, ma sentivo che qui la gente non ci voleva, venivo maltrattata. Come se fossimo venuti a portare via il lavoro ad altri. I primi anni li abbiamo vissuti in una cantina con il pavimento in terra battuta. Poi finalmente ci assegnarono una casa in borgo San Michele, ma solo dopo che altri profughi occuparono con la forza degli alloggi sfitti in via Romana». «Finalmente avevamo anche noi una vera casa – ricorda ancora con gli occhi lucidi Adriana Fabris – Ogni domenica si ripeteva il medesimo rito: la mattina nel lettone dei genitori e poi, a pranzo, gli gnocchi fatti dalla mamma. Eravamo come tutti gli altri». Superata la commozione Adriana Fabris ci tiene a sottolineare come la decisione della sua famiglia di lasciare Pola fu una scelta ideologica: «Eravano sì esuli in Italia, ma non in una terra straniera. Ce ne andammo per raggiungere la nostra patria. Un percorso dettata da un ideale, non politico, a differenza di quello inverso che molti fecero per mettersi invece nelle mani di Tito».

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