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Delbello: a Trieste in museo i quadri contesi (Il Piccolo 15 set)

TRIESTE L’annosa vicenda delle tele istriane restaurate in Italia e che la Slovenia vorrebbe ritornassero nei confini dell’Istria sotto la sovranità di Lubiana sta creando non pochi problemi a livello diplomatico.

Sul tema è intervenuto con un documento Silvio Del Bello, presidente dell’Istituto regionale per la cultura istriano, fiumano, dalmata di Trieste.

Del Bello, in sintesi, lancia una proposta: perché le opere d’arte non vengono esposte nel futuro Museo della civiltà istriano, fiumano, dalmata?

«Potrà e dovrà essere il museo che più e meglio rappresenta la nostra civiltà strappata e dispersa. Sarà luogo idoneo perché idealmente giusto per ospitare anche quei capolavori del Medioevo italiano salvati, gelosamente custoditi e mirabilmente restaurati dall’Italia, che giuridicamente ne è la legittima proprietaria, e per i quali, non velleitariamente ma rispondendo anche al desiderio e al bisogno dei nostri esuli di non sentirsi ancora defraudati da altre storie e arroganze più recenti, già si sono predisposti gli spazi e le tecnologie di corretta conservazione in questo nuovo museo».

Del Bello sottolinea che si tratta di «opere d’arte italiana in cui si ritrova lo spirito dei fedeli, padri di noi esuli, che con le questue e le elemosine hanno raccolto i fondi per commissionarli ai migliori artisti cui potevano accedere».

«In un museo pubblico, civico, in una Trieste capitale di quell’Europa che si dovrebbe trovare esemplificata in questa terra, luogo dei confini spariti fra tanti stati, dove un austriaco, come uno sloveno, come un tedesco o un croato o un ungherese, si trova non più a passare ma ad esserci. Se vogliamo, chiamiamola euroregione, noi pensiamo che invece sia il luogo dove le culture possano guardarsi e apprendere: senza spostarle, perché ci sono già».

Del Bello sottolinea: «Il museo sarà il miglior luogo possibile per i figli e i nipoti degli esuli, perché, conoscendola, mantengono viva la nostra storia e sarà anche il luogo dove i figli e i nipoti di quelli che rimasero potranno comprendere ciò che è avvenuto e, quindi, conoscere e incontrare chi ha avuto obbligatoriamente un destino diverso. Anche per questo motivo non vediamo alcuna necessità di allontanare un patrimonio così significativo. Tutti così potranno liberamente vedere anche le importanti opere d’arte nell’ambiente che è oggi consono a esse: il Museo della nostra civiltà cioé della nostra vita interrotta dall’esodo».

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