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15 set – Gli stretti rapporti tra Livorno e Ragusa di Dalmazia

di Patrizia Pezzini 

Leggendo la storia di Ragusa, ultramillenaria repubblica da alcuni definita la quinta Repubblica marinara italiana, ho scoperto che uno dei porti con i quali ha avuto stretti legami è stato quello di Livorno, mia città natale.
La curiosità mi ha portato all’Archivio di Stato di Livorno, dove ho trovato una discreta documentazione, grazie anche all’attività di ricerca svolta a Livorno nel 1987/88, periodo in cui sono stati realizzati un Convegno ed una Mostra sul tema dei rapporti tra le due città dal 1500 al 1700.
Perché proprio questo periodo?
La ‘terra di Livorno” era un piccolo e modesto villaggio di pescatori agli inizi del 1400, quando venne acquistata da Firenze: il porto di Pisa si era ormai interrato ed i Medici iniziarono a trasformare questo villaggio con una serie di costruzioni, mura comprese, per creare un nuovo porto, protetto e funzionale. Solo agli inizi del 1600, divenuta un importante scalo del Mediterraneo, assumerà il titolo di ‘città’.
Assai diversa la storia di Ragusa, fondata nel VII secolo d.C. dagli esuli di Epidauro Adriatica (l’odierna Cittavecchia pochi km a sud): nel 1500 era ormai una repubblica marinara affermata, i cui commerci erano sviluppati ben oltre il Mediterraneo: le sue navi si spingevano dall’Inghilterra al Mar Nero.
Nel 1808, purtroppo, la piccola Repubblica di Ragusa, che aveva resistito a secoli di incursioni dal mare e dalla terraferma – pirati, slavi, turchi, etc, – dopo oltre mille anni perse la propria indipendenza di fronte alle truppe napoleoniche e fu inglobata nelle province illiriche: la sua voce non sarà ascoltata nel successivo Congresso di Vienna che la costringerà a far parte dell’Impero Asburgico.
Ecco quindi spiegato il motivo del periodo preso in considerazione.

In realtà ancor prima dei legami con Livorno, Ragusa ha avuto rapporti con Pisa e Firenze.
Abbiamo notizia, infatti, di un accordo stipulato tra Ragusa e la città-porto di Pisa già nel 1169: un ‘trattato di amicizia’ con il quale Pisa si impegnava a proteggere i ragusei presenti nel proprio territorio.
La città toscana era interessata a sviluppare i propri commerci nel Mediterraneo orientale, in particolare con Costantinopoli, mentre Ragusa stava tessendo una intensa attività diplomatica- suo fiore all’occhiello nei secoli- per difendersi e competere con la emergente presenza di Venezia nell’Adriatico.
I commerci tra la repubblica fiorentina e quella dalmata dovevano essere già regolari nel XIV° sec. se nel 1332 Franco Sacchetti, il novelliere, nacque a Ragusa da famiglia di mercanti di origine fiorentina.
Nel corso del XV°sec in occasione del Concilio tenutosi a Firenze (1439) per superare lo scisma cattolici-ortodossi, l’Imperatore d’Oriente Giovanni VII Paleologo trasferì alla città i privilegi ed i diritti di cui aveva goduto Pisa: si intensificarono quindi i rapporti con Ragusa, che divenne porto di riferimento per i commerci tra la Firenze medicea e Costantinopoli.
Dal 1499 Firenze ebbe un console fisso in Ragusa ( tra gli altri, esponenti delle famiglie Albizi, Guicciardini e Ricasoli) e molti fiorentini vi aprirono i loro banchi ( Medici, Strozzi, Bardi).
Molti nobili fiorentini furono nominati consoli ragusei in Firenze ( dalla fine del 1500 agli inizi del 1700 la famiglia Capponi si trasmetterà il consolato di padre in figlio), Pisa ( che manteneva il ruolo di piazza mercantile) e anche presso porti spagnoli ( Ragusa, città di marinai, non sempre aveva a terra uomini sufficienti a rappresentarla)

Nel 1500, età d’oro della marineria ragusea, la repubblica dalmata aveva un commercio molto attivo sia sul mare che con l’interno, gareggiando in numero di navi e tonnellaggio con la stessa Venezia.
In quasi tutti i paesi del Mediterraneo erano presenti ‘colonie ragusee’, con consoli, chiese, ospedali e cimiteri, da Barletta a Sofia, da Costantinopoli ad Alessandria d’Egitto; a Venezia troviamo ancora nei pressi della stazione ferroviaria la ‘Calle dei Ragusei’ ma anche nella stessa Firenze esisteva la ‘Strada dei Ragusei’.
Il 30% circa dei bastimenti in arrivo alla metà del ‘500 nel porto di Livorno batteva bandiera ragusea: il ‘Patron’ era raguseo, le merci della provenienza più varia così come i mercanti e gli spedizionieri.
Grazie anche alla sua neutralità , il porto di Livorno diventò in breve tempo un grande emporio internazionale con un vertiginoso sviluppo degli scambi commerciali.
Questo contribuì a dare grande prosperità a quella che ormai stava diventando una città a tutti gli effetti, dove già dal 1400 erano presenti e residenti piloti, consiglieri, maestri d’ascia ragusei, utilizzati spesso anche negli equipaggi dei galeoni medicei: ci si avvaleva del patrimonio di esperienza plurisecolare di cui i marinai della repubblica dalmata erano portatori.
Verso la fine del 1500 abbiamo documentazione di ragusei inseriti in città non solo nel contesto artigianale.
Nel 1599, infatti, Capitano del porto era Giovanni di Bartolo Dandovich.
Tra la fine del 1500 e gli inizi del 1600 vi svolse la propria attività di cartografo Vincenzo di Demetrio Volcich: alcune carte nautiche recano la firma “Vincentius Demetrei Volcius Rachuseus fecit in terra Liburni”,forse fondatore di una vera e propria scuola di cartografia nella città liburnica.

La crescita economica e l’aumento demografico della città furono potenziati anche, o soprattutto, delle "Leggi Livornine" emanate tra il 1590 ed il 1603 dal Granduca di Toscana Ferdinando I° de’ Medici           .
Queste leggi prevedevano non solo la concessione di immunità e privilegi ai mercanti di qualsiasi provenienza, ma garantivano libertà di accesso alla Terra di Livorno a chiunque fosse colpevole di reati (con alcune eccezioni, tra le quali assassini, falsari, eretici ).
L'incipit della 'livornina' del 30 luglio 1591 così recitava:
"…A tutti voi, mercanti di qualsivoglia nazione, Levantini, Ponentini, Spagnoli, Portoghesi, Greci, Tedeschi, Italiani, Ebrei, Turchi, Mori, Armeni, Persiani ed altri … concediamo … reale, libero e amplissimo salvacondotto e libera facoltà e licenza che possiate venire, stare, trafficare, passare e abitare con le famiglie e, senza partire, tornare e negoziare nella città di Pisa e terra di Livorno…"

La stessa Repubblica di Ragusa rispettò sempre, orgogliosamente, il sacro principio del ‘Diritto d’asilo’,  detto  ‘Franchisia’
“…la terra nostra è franca ad ognuno et a grandi et a pizzoli…”
Diritto di asilo rigorosamente rispettato anche di fronte a minacce di guerra come quelle rivoltele dal re di Bosnia Ostoja per aver ospitato due suoi sudditi ribelli; oppure quando Venezia e Roma insistevano per avere Pier Soderini  là rifugiatosi nel 1512, rispondendo di ignorare la sua presenza in città.
Dette anche ospitalità, sul finire del XII° sec, ad un gruppo di croati cattolici che, temendo le ritorsioni degli ortodossi, supplicavano per essere accolti entro le mura: crearono un loro quartiere adiacente alla città per poi fondersi con la popolazione latina dello Stato. Provenienti dall’entroterra balcanico venivan detti Dubroni, da dubrava, che in slavo significa bosco-foresta: da qui deriva l’attuale nome della città.

A dimostrazione del legame dei ragusei alla città di Livorno troviamo un testamento, datato 1591, in cui il nobile raguseo Simone Menze, ordina che venga devoluto al Monastero di Santa Maria di Montenero (Santuario benedettino posto su una collina attigua alla città), una parte del ricavato per ogni viaggio della sua nave, chiamata appunto ‘Santa Maria di Montenero’: si trattava di una forma di ringraziamento e di omaggio ad una forza benefattrice che il ‘Patron’ della nave era solito effettuare al momento della propria morte.
Al battesimo della nave era invece consuetudine dare il nome del santo protettore preferito: questo è il motivo per cui tutte le navi ragusee, e non, avevano il nome di un santo/a.
Tale pratica si sviluppò in conseguenza della nascita delle assicurazioni: all’interno del clima religioso dei secoli precedenti, infatti, l’introduzione delle assicurazioni era considerata dalle sfere ecclesiastiche un gesto di sfiducia nella protezione soprannaturale. Affievolitasi molto questa remora, rimase comunque l’usanza di una offerta votiva ( non si sa mai…!).
Le assicurazioni, molto sviluppate nel corso del 1400 e 1500, garantivano in prevalenza le merci (raramente la vita degli uomini): alcune tratte erano considerate particolarmente pericolose, come quelle lungo le coste dell’Africa, mentre ad esempio la tratta Messina-Livorno era ritenuta abbastanza sicura, anche se abbiamo notizia di pirati che ‘esercitavano’ nel tratto Civitavecchia-Livorno.

Le navi ragusee che approdavano al porto di Livorno seguivano una rotta ‘orizzontale’ ed una ‘verticale’: dal Mar Nero, dove si trovavano mercati molto interessanti per le granaglie, attraverso i Balcani  , passavano da Ragusa al porto di Ancona e via terra sino a Firenze; l’Arno e canali adeguati le trasportavano a Livorno, da qui proseguivano per la Spagna e talora anche oltre.
La rotta ‘verticale’, che poteva avere sempre come suo mercato orientale i porti sul Mar Nero, attraversava Ragusa per arrivare al porto di Alessandria d’Egitto, proseguendo per Messina e Livorno; le merci continuavano talora per Genova e, via terra, sino alla Manica e Londra.
La Toscana era interessata a pellame, cera, cavalli, e argento rame, ferro, merci provenienti dall’entroterra balcanico, alle granaglie imbarcate nei porti sul Mar Nero, oppure alle lane spagnole.
Ragusa, con un entroterra quasi inesistente, non aveva materie prime ma aveva sviluppato una intensa attività di ‘import-export conto terzi’.

Abbiamo conferma della presenza di Consoli di Ragusa in Livorno solo nel corso del 1700, e, documentata, nella seconda metà del secolo; nei periodi precedenti vi sono stati viceconsoli.
Sarà console di Ragusa in Livorno dal 1754 al 1793 il commerciane Tommaso Batacchi di ‘famiglia ragguardevole’ (iscritta nei registri della nobiltà cittadina) di origine fiorentina; sposa una Paffetti, appartenente ad una famiglia un esponente della quale reggeva il consolato raguseo a Livorno nel 1753.
In questo periodo si riscontra un intenso afflusso di navi ragusee: i ragusei presenti in città mantenevano le proprie consuetudini come ad esempio festeggiare con grandi cerimonie il 3 febbraio, San Biagio, protettore di Ragusa.
Il console Giuseppe Branca, banchiere di origine milanese, svolse la sua attività tra la fine del 700 e gli inizi dell’800: momento molto delicato a causa della occupazione napoleonica anche dell’area balcanica con conseguente caduta della Repubblica dalmata.
L’ultimo episodio relativo a navi ragusee nel porto di Livorno si ebbe il 24 gennaio 1808 quando alcuni capitani di navi ormai ex ragusee si rifiutarono di issare la bandiera italica: furono arrestati e rinchiusi nella fortezza cittadina, rilasciati poi con l’impegno di esporre la nuova bandiera.

Naturalmente, molte sono state le famiglie ragusee vissute a Livorno, alcune solo per pochi anni ed altre stabilitesi definitivamente. Molti, di conseguenza, i matrimoni tra ragusei e donne livornesi. Tutt’oggi vi sono cognomi che testimoniano questa presenza, uno tra tutti Raugi.
Tra le vecchie ville padronali  presenti in città, troviamo Villa Mimbelli, iniziata a costruire nel 1865 dal raguseo Francesco Mimbelli, che vi andrà ad abitare con la moglie, Enrichetta Rodocanacchi, appartenente ad una delle più facoltose famiglie livornesi.
I Mimbelli, ricchi mercanti di grano, nativi della penisola di Sabbioncello nei pressi di Ragusa, avevano instaurato da qualche anno rapporti con la città labronica.
Alla metà circa del 1800 Antonio Mimbelli aveva inviato il figlio Luca a Marianopoli, sul Mar Nero, a curare l’attività della famiglia: Marianopoli era infatti un porto di rilevante interesse per l’approvvigionamento di granaglie che venivano poi  trasportate e vendute nei principali scali del Mediterraneo.
Diventati intensi gli scambi con il porto di Livorno,  Antonio Mimbelli ritenne necessaria anche  qui la presenza di un figlio, Francesco appunto, seguito dal fratello Giovanni.
Pochi anni dopo arrivarono anche gli altri due fratelli Stefano e Luca, con le rispettive famiglie. Stefano e Giovanni fondarono la ditta "Fratelli Mimbelli" che si occupò del settore assicurativo/armatoriale, mentre Luca ed il primogenito Francesco fondarono una loro attività commerciale.
Francesco ed Enrichetta ebbero un figlio, Luca, che sposò Fanny Scaramagnà, livornese appartenente  ad una famiglia d’origine greca.
Dalla loro unione nacque il 16 aprile 1903 Francesco, unico figlio, divenuto poi ufficiale della Regia Marina: nel 1935 si trasferì a Venezia, donando la villa alle Poste Italiane. Muore il 26 gennaio del 1978 e con lui si estingue la famiglia Mimbelli.
Attualmente la Villa è sede del Museo Civico ‘Giovanni Fattori’.

Non ho notizia se a Ragusa al presente vi siano  livornesi  o  loro discendenti.
Con certezza possiamo dire che a Livorno vi sono, dalla seconda metà del 1900, molti esuli istriani fiumani e dalmati: forse alcuni di loro sono figli, o nipoti, di coloro che nel 1918/1919, appena terminata la prima guerra mondiale, furono costretti ad abbandonare la città di Ragusa, rivendicata con protervia e aggressività dai croati, ancor prima della firma dei Trattati di pace.

PATRIZIA PEZZINI

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