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75 anni dell’Acquedotto del Risano (Voce del Popolo 26 mag)

La carenza d’acqua e le difficoltà legate al suo approvvigionamento rappresentarono una sorta di filo rosso nella storia dell’Istria, ed interessarono tutte le sue località, sia di mare sia dell’interno, sia le cittadine sia i villaggi del contado. Per far fronte a un problema di vitale importanza, le comunità della penisola optarono per diverse soluzioni. Nei centri urbani tuttora si possono vedere le cisterne comunali – molte delle quali costruite ai tempi della Repubblica di Venezia – oppure i pozzi, quest’ultimi situati non di rado anche all’interno degli edifici ecclesiastici e privati, specie nella fascia flyschoide del Capodistriano. Le cisterne ed i depositi presenti sul territorio sono degli ottimi esempi di ingegneria idraulica, sono preziose testimonianze degli interventi a favore delle comunità e ci indicano la difficoltà con cui le collettività provvedevano al rifornimento del prezioso liquido.

POZZI E CISTERNE Lungo le nostre contrade non poche sono le cisterne ancora visibili, alcune delle quali furono realizzate al tramonto della Serenissima, come quella di Pirano in piazza Portadomo (oggi Primo maggio) del 1776, recentemente restaurata, o quella di Visinada, nel 1782, dell’architetto Simone Battistella. Nelle campagne la popolazione viveva situazioni differenti: nei settori dominati dalle argille e dalle marne l’acqua non mancava in quanto veniva ricavata dai pozzi scavati nel “tasel”, termine dialettale per definire il flysch. La situazione peggiorava nei contesti carsici ove l’acqua scompare nel sottosuolo, e, poiché le precipitazioni non sono omogenee nel corso dell’anno solare, la popolazione era costretta a lottare con la siccità e per lunghi periodi era costretta a vivere con quantità minime d’acqua, che dovevano essere sufficienti sia ai bisogni domestici sia per abbeverare gli animali.

I «LACHI» Per ovviare a quel problema in molti punti furono scavati i cosiddetti “lachi”, cioè degli avvallamenti più o meno profondi in cui si raccoglievano le acque meteoriche per poi attingerle. Dal punto di vista igienico-sanitario essi erano assolutamente poco indicati in quanto la qualità dell’acqua stessa non era delle migliori, in più rappresentavano una fonte di malattie infettive e offrivano tutte le condizioni per la diffusione della malaria. Agli albori del XIX secolo il funzionario napoleonico Giulio Cesare Bargnani, ad esempio, nel suo rapporto annotò che in quelle “cave” l’acqua troppo facilmente si corrompeva mentre al loro interno dominavano degli “schifosi animali”.

FINO AGLI ANNI TRENTA Tale costante perdurò per secoli sino agli anni Trenta del secolo scorso, cioè finché la realizzazione dell’Acquedotto Istriano non avrebbe risolto una piaga della regione, quello stesso che si riteneva avrebbe contribuito ad uno sviluppo dell’economia dell’intero territorio. Alla fine degli anni Venti del secolo scorso si iniziò a discutere in merito alla realizzazione di un acquedotto che risolvesse il problema della penuria d’acqua. Da subito si scartò l’ipotesi dei laghi artificiali, perché un intervento di quel genere risultava troppo costoso ed altrettanto onerosi sarebbero stati i lavori di manutenzione. Si riteneva che le valli fossero troppo poche per sbarrarle e poi era giudicato alquanto rischioso riporre tutte le speranze esclusivamente sull’acqua piovana.

RISOLVERE IL PROBLEMA ALLA RADICE Per risolvere alla radice il problema dell’approvvigionamento idrico e quindi rispondere adeguatamente alle esigenze del territorio – vi erano pressioni soprattutto da parte del settore turistico, in primo luogo dalle località di Abbazia e di Portorose –, si doveva progettare un acquedotto che coprisse il fabbisogno dell’intera penisola. Grazie all’ingaggio di Leone Leone, prefetto della provincia dell’Istria, che ai ministri a Roma presentò (ottobre 1928) il progetto di massima dell’ingegner Gino Veronese, il medesimo fu accolto e l’Istria fu inserita tra i comprensori di trasformazione fondiaria.

NASCE IL CONSORZIO Con il Regio Decreto del 13 marzo 1929 fu costituito il Consorzio per l’Acquedotto Istriano; lo componevano 39 comuni della Provincia sotto l’egida del prefetto Leone. Il 28 ottobre 1933, in occasione dell’anniversario della Marcia su Roma, si celebrò la conclusione di un importante progetto, mentre il successivo 5 novembre le massime autorità regionali alla presenza del ministro dell’Agricoltura e delle Foreste, Giacomo Acerbo, e del sottosegretario Arrigo Serpieri, fu benedetta la polla di San Giovanni, nonché furono inaugurate le fontane di Pinguente e di Buie.

LAVORI STRAORDINARI L’attuazione dell’opera nel suo complesso proseguiva senza contrattempi e con un ritmo che sorprese non poco gli osservatori del tempo. Gli straordinari lavori pubblici, che interessarono la penisola in molti settori, stavano alterando il paesaggio, e a proposito dell’acquedotto “[…] è noto che tutta l’ampia zona dell’Istria compresa fra la valle del Quieto e quella del Dragogna è ormai solcata dalle sue diramazioni che hanno raggiunto il mare ad Umago ed a Cittanova. Intanto procedono intensamente anche i lavori dell’acquedotto del Risano che nel maggio venturo raggiungerà Pirano, alimentando nel suo percorso Capodistria, Isola e Portorose. Ne deriva che fra alcuni mesi il problema dell’acqua per tutta l’Istria a nord del Quieto sarà risolto” (Le supreme realizzazioni del regime in Istria nell’anno XII, in “L’Istria agricola”, n. 20, Parenzo 31 ottobre 1934, pp. 489-490).

LA FASCIA COSTIERA Per approvvigionare d’acqua l’Istria settentrionale si ideò il “Sistema del Risano”, vale a dire due reti di condutture (una bassa ed una alta), che dovevano alimentare una popolazione di circa 50mila abitanti. Il progetto esecutivo fu terminato il 13 novembre 1933 e fu approvato con il decreto ministeriale del 29 dicembre. I cantieri furono aperti nel giugno dell’anno seguente, e, in base alle valutazioni degli ingegneri, i lavori sarebbero durati circa due anni. E invece, a meno di un anno dall’inizio dei lavori, l’acquedotto in questione era ormai in buona parte completato. Esso copriva la fascia costiera con le diramazioni per Villa Decani, l’area sanatoriale di Ancarano, Capodistria, Isola, Strugnano, Portorose e Pirano. Per l’esecuzione di tale opera furono occupati contemporaneamente sino a 1800 operai per un totale di 350mila giornate lavorative. L’acquedotto attraversava la parte settentrionale della penisola, ossia le aree più densamente popolate e per approvvigionarla si progettarono due reti di distribuzione.

DALLE CAVITÀ UNA NUOVA POTENZA Quella bassa toccava la fascia costiera e non esigeva alcun sollevamento meccanico delle acque: si trattava, infatti, di un acquedotto a caduta naturale; era necessario, invece, per la parte alta che interessava le zone meno popolate. “Dalla quiete silvestre delle sorgenti del Risano, propiziatrice l’umile chiesetta di S. Maria, le acque fluenti, spesso dirompenti, che l’aspra terra dell’Istria effonde dalle sue misteriose cavità, per riassorbire attraverso gli infiniti meati della sua struttura carsica, un genio, una nuova potenza, ha rapidamente raccolte per distribuirle, purificate e sane, attraverso a mille nuove e benefiche fonti, ove l’arsura del suolo e la sete dell’uomo da secoli soffriva la mancanza del primissimo elemento” (L’acquedotto del Risano, in “L’Istria agricola”, n. 10, Parenzo 31 maggio 1935, p. 221). Con queste parole fu salutato un progetto che testimoniava la volontà del regime fascista a risollevare l’Istria. Domenica 26 maggio 1935, alla presenza delle alte autorità dello Stato italiano, fu inaugurato l’Acquedotto del Risano, che all’epoca era definito un grande passo verso il compimento di un’opera di vasto respiro, che avrebbe contribuito a rimembrare l’operato del regime, come riporta “Il Piccolo” di Trieste. Il programma prevedeva, al mattino, l’inaugurazione dell’opera di presa del Risano, dell’impianto di potabilizzazione a Villa Manzini, delle fontane di distribuzione di Villa Decani, della zona sanatoriale di Ancarano, di Capodistria, di Isola, di Pirano e di Portorose, e al pomeriggio dell’acquedotto rurale di Daila.

LE FONTANE Dalla stampa dell’epoca veniamo a conoscenza che la giornata in cui l’acqua iniziò a sgorgare nelle fontane dell’Istria settentrionale fu un avvenimento accolto con grande entusiasmo da parte della popolazione. Per inaugurare il tronco della possente opera giunsero sia il Duca d’Aosta sia Giuseppe Tassinari, sottosegretario alla bonifica integrale. A Capodistria, alla porta della Muda, la piazza era gremita di popolo in attesa, le case erano adornate da bandiere e da arazzi, mentre le ragazze in costume offrivano fiori e prodotti della terra provenienti dagli orti circostanti, in particolare fragole ed asparagi, che gli ospiti gradirono in modo palese. In quell’occasione sulle mura della detta porta fu scoperta una lapide a perenne ricordo dell’evento. A Isola don Muiesan benedì la fontana, dopodiché “dalla piazza, fin fuori dalla città verso Strugnano, le operaie delle fabbriche ed il popolo della graziosa cittadina saluteranno e copriranno di fiori il Duca”. Nel prosieguo il corteo sostò a Strugnano per inaugurare una fontanella rurale quindi si diresse in direzione di Pirano. La città era “tutta in festa fin dalle prime case aveva adornata la vastissima piazza Tartini, sempre bella e ieri come mai, con arazzi, festoni, bandiere, popolandola di folla di popolo”. Il parroco benedì la fontana, mentre il Duca aperse lo zampillo dell’acqua tra gli applausi dei presenti.

PORTOROSE Nella vicina Portorose gli ospiti furono accolti nel salone dell’albergo “Palace”; sul piazzale e alla radice del molo, in cui sorgeva la fontana (a tre archi su una colonna di marmo che formava tre fasci littori), si raccolse un notevole numero di persone in attesa dell’inaugurazione. Dopo la benedizione, Cesare Primo Mori prese la parola per illustrare lo svolgimento dei lavori, seguì l’intervento di Tassinari. A quel punto il Duca d’Aosta si congedò dalle autorità e dai dirigenti del Consorzio e partì alla volta di Trieste.

LA FONTANA DI DAILA Nel pomeriggio l’ultima fontana ed essere inaugurata fu quella di Daila. Nella località non lungi da San Lorenzo le autorità furono ricevute dall’abate mons. Fornaroli, giunto appositamente in Istria da Praglia, nonché dal priore Teodoro Amati. Le autorità e le gerarchie maggiori furono “ospitati signorilmente dai padri benedettini”, dopodiché furono “inaugurati uno zampillo nel piazzale del convento, altri getti intorno ai fabbricati centrali e una bella fontana rustica al crocevia della strada per Cittanova” (le citazioni e le informazioni sono tratte da Il Duca d’Aosta inaugura l’Acquedotto del Risano, in “Il Piccolo della Sera”, Trieste 27 maggio 1935, p. 7).

STASI TRA LE DUE GUERRE Negli anni tra le due guerre mondiali, grazie all’intervento dello Stato italiano, che nel 1928 aveva concepito la legge sulla bonifica integrale, l’acqua corrente giunse finalmente nelle cittadine e in una parte dei villaggi della penisola. Il mastodontico progetto dell’Acquedotto Istriano non poté essere completamente realizzato in tutti i suoi segmenti a causa delle imprese militari sostenute da Mussolini, che comportarono spese enormi, che di conseguenza rallentarono le opere pubbliche, e del successivo scoppio del secondo conflitto mondiale. Quell’opera rispecchiava la tenace volontà di porre fine ad un problema che da troppo tempo affliggeva l’Istria, la quale, per usare i toni coevi, attendeva ormai anche la sua seconda “redenzione”.

Kristjan Knez

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