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27 mag – Una testimonianza da Corgnale

Sono nato nel 1943 a Corgnale (dove mio padre faceva il segretario comunale), e da dove sono andato via con la famiglia nel 1945,

Il 23 maggio scorso ho partecipato al pellegrinaggio alla foiba Golobivnica di Corgnale organizzato dall'Unione degli Istriani.

Quasi una rimpatriata per me, soprattutto in questa occasione in cui sono tornato non da solo, ma con italiani che hanno avuto con me comunanza di esperienze.

Abbiamo raggiunto la foiba con il pullman solo perchè siamo stati scortati dalla polizia slovena. Anche questa volta, come a gennaio,  c'erano dimostranti sloveni che ci gridavano "fascisti" e che erano pronti a bloccarci. 

Una sensazione di tristezza (ma anche di sgomento) alla vista di quel fosso, completamente anonimo, largo due o tre metri, immerso nel bosco, distante  pochissimi passi dalla stadina attraverso cui siamo arrivati, e recintato alla meglio con del filo spinato solo pochi giorni prima del nostro arrivo. Quello era il fosso che distava trecento metri dalla casa in cui abitavo sessantacinque anni fa, e che metteva tanta paura nel paese. Se non lo si conosce, ancora oggi ci si potrebbe cadere dentro.

In sessantancique anni quel fosso non è cambiato. Fa vedere in modo tangibile e brutale come tutto  è stato dimenticato, tutto cancellato.

Io so che tante persone all'epoca sparivano in quel paese, in prevalenza sloveni, ma anche italiani (dipendenti comunali o militari)  ed i parenti disperati si rivolgevano a mio padre per avere notizie.

Anche se non ricordo nulla di quel periodo, se non attraverso i frequenti discorsi dei miei genitori, quando mi sono trovato davanti alla foiba ho avuto la esatta percezione di quello che si provava nei momenti in cui la morte incombeva con efferatezza.  

Ho constatato che non sono cambiati neppure gli sloveni (e questo lo sapevamo). Ma l'esperienza sul campo mi ha fatto rivivere dal vero anche quest'altra sensazione di sgomento.

Penso che le visite alle foibe siano  molto importanti. Anche se oltre confine sono contrari, nessuno ci può impedire di andare a visitare i luoghi del martirio. Spero perciò che altri pellegrinaggi siano effettuati presso le foibe della Venezia Giulia, perchè è lì che si tocca con mano il passato, è lì che si possono onorare morti a lungo dimenticati. 

Indubbiamente a Trieste si è in prima linea nello scontro con le minoranza slave, perchè queste sono molto decise.

Purtroppo alle spalle abbiamo oggi un'Italia che è rimasta uguale a quando è uscita sconfitta e umiliata dalla guerra. Debole e bistrattata da tutti i paesi stranieri, anche da quelli più insignificanti, e ciò aumenta le nostre preoccupazioni.

Perciò i profughi e gli italiani della Venezia Giulia i loro problemi li devono risolvere da soli, perchè nè la classe politica italiana, nè l'Europa renderanno mai loro giustizia.

E' importante unire le forze di tutte le nostre associazioni perchè la nostra civiltà possa rimanere nel futuro, come patrimonio irrinunciabile.

Enrico De Cristofaro

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Due sole precisazioni alla testimonianza, che volentieri pubblichiamo, del signor De Cristofaro, il cui senso di pietas nei confronti delle vittime delle Foibe condividiamo, come ovvio, pienamente.

Visite ed omaggi sui luoghi degli eccidi e nei cimiteri in Istria e a Fiume si sono succeduti in questi anni a cura di diversi Comitati dell’ANVGD (ma anche, ci sembra doveroso ricordarlo, a cura della Società di Studi Fiumani e di altre Associazioni) e senza che mai abbiano sollevato proteste indegne come quelle verificatesi a Corgnale. 

Circa invece la possibilità che gli esuli possano «risolvere da soli» i loro problemi, non possiamo non ricordare al nostro gentile Lettore che nessun problema si risolve da sé, fin tanto che si vive e si opera in un contesto sociale, politico, economico, di relazioni. Non esistono soluzioni “fai da te”, e l’impegno da sempre perseguito dall’ANVGD va nella direzione di far maturare in ogni interlocutore, in ogni istituzione, politica e culturale che sia, la consapevolezza di quanto accaduto nei territori orientali. Solo il più ampio coinvolgimento – come è stato per l’approvazione della legge sul Giorno del Ricordo – riscatta i decenni di silenzio. Al silenzio non si pone rimedio chiudendosi nel breve recinto dei ricordi e delle invettive, che resta inevitabilmente senza prospettive.

 

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