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25ago/14.17 – Daila, la rimozione della memoria

Al maremoto scatenatosi nelle scorse settimane intorno al caso del complesso abbaziale di Daila, rivendicato a norma di diritto canonico dai Padri benedettini italiani che ne furono cacciati nel 1947, nazionalizzato (e lasciato cadere in rovina) dal regime comunista di Tito, quindi “restituito” dallo Stato croato di Tudjman alla Diocesi di Parenzo-Pola che non aveva titolo per riceverlo, in ultimo smembrato da una serie di vendite a società private che ne hanno ricavato campi da golf, è succeduta una calma piatta che, ovviamente, non è difficile immaginare temporanea. Sedatasi per ora la tempesta, l’arcivescovo di Zagabria, cardinale Josip Bozanić, esplicitamente accusato dal clero croato di aver obbedito alle imposizioni della Santa Sede che ne ha preteso la restituzione ai frati di Praglia, dopo molti e lunghi giorni di silenzio è intervenuto da Trieste – dove si trova per la settimana liturgica italiana – per rassicurare l’opinione pubblica interna sulle relazioni con il Vaticano: «Non è cambiato nulla nei rapporti con la Santa Sede e non vedo perché una vicenda così marginale avrebbe dovuto inficiare i nostri rapporti», ha voluto minimizzare il prelato, violentemente imputato dagli ambienti nazionalisti croati di aver “ceduto” non soltanto alla volontà del pontefice (ma il voto dell’obbedienza?) ma, peggio ancora, di non essersi opposto ad un deliberato che riconosce il pieno diritto degli italiani, sia pure fratelli nella fede (ma evidentemente non tanto).

 

Ma la vicenda di Daila ha riportato alla luce antichi sintomi delle insofferenze da sempre manifestate da tanti ambienti croati, religiosi e non, nei confronti dell’elemento italiano. Un efficace articolo di Errol Superina su “La Voce del Popolo” del 19 agosto scorso ne evidenzia senza mezzi termini il riacutizzarsi e li inserisce correttamente in un quadro di fragilità intrinseche mai sanate: «[…] Alla luce dei rapporti tra l’Italia e questa parte dell’Adriatico – scrive tra l’altro Superina –, una consistente parte della società croata è ancor sempre ossessionata – lo si vede anche in queste settimane – da remote insicurezze sulla sua presenza storica in questi territori, per cui teme tutto quello che anche lontanamente possa col tempo rivelarsi una rivendicazione, una richiesta di risarcimento, un rimborso, una restituzione e cose analoghe […]». Ed ancora più chiaramente: «[…] non disturba cioè il fatto che si debbano restituire dei terreni ai benedettini, è un vero peccato, invece, che si tratti di “benedettini italiani”. Diciamolo una buona volta: ormai anche politici e giornali quando si riferiscono a Daila parlano quasi esclusivamente di “restituzione agli italiani”, con toni che denotano un’acritica esaltazione della propria identità e un malcelato disprezzo dell’altro, soprattutto se italiano».

 

Bisogna comprendere che le costanti pretese di tanta parte della società croata (e jugoslava prima) rispetto alla memoria e all’identità storiche dei territori connotati da una plurisecolare cultura italiana di derivazione latina e veneziana, si avvalgono di una strategia tanto elementare quanto efficace nel generale decadimento delle conoscenze: composta da quello che definiremmo il calco (tradurre un nome non croato in croato, come Niccolò Fiorentino, artefice del Duomo di Sebenico, “tradotto” in Nikola Firentinac, stessa sorte toccando all’architetto Giorgio Orsini ribatezzato Juraj Dalmatinac); quindi dall’appropriazione indebita con annesso corto circuito del tempo (Marco Polo croato perché dato per nato a Curzola – stante che nessuna fonte lo attesti –, oggi Korcula in Croazia) ed infine dall’asseverazione postuma (tutto ciò che si trova nel territorio oggi nazionale è croato ab antiquo), come ha sanzionato nel caso di Daila il ministro della Giustizia Bosnjakovic che in un disinvolto rimescolamento di carte da gioco ha dichiarato «nulla la restituzione dei beni del monastero di Daila» dallo Stato alla Chiesa cattolica croata, aprendo così la via della re-restituzione dell`immobile allo Stato croato, invece che all`Abbazia di Praglia.

 

Se per tutto ciò si volesse usare un termine della psicanalisi freudiana, il più adeguato è senz’altro «rimozione». Una rimozione collettiva, se si deve prestare fede ad un recentissimo sondaggio secondo il quale il 47% dei cittadini croati ritiene che le minoranze nazionali non debbano avere gli stessi diritti della maggioranza. L’Europa, nel canocchiale così rovesciato, è un punto lontanissimo.

 

© Anvgd nazionale

 

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