Non teme che la crisi del Pd metta a rischio bipolarismo e democrazia dell’alternanza. Ritiene che l’affaire ronde sconti un eccesso di propaganda. Ribadisce che il Parlamento deve legiferare, in fretta, sul testamento biologico. Ma, alla vigilia del suo arrivo a Trieste dove oggi partecipa all’inaugurazione della stele in memoria di Norma Cossetto, Gianfranco Fini si sofferma soprattutto sulla tragedia delle foibe «troppo a lungo ignorata». Stoppando un gesto di riconciliazione sull’ex confine nordorientale tra Italia, Slovenia e Croazia perché «i tempi non sono ancora maturi».
Presidente Fini, che significato ha la sua presenza all’inaugurazione del monumento a Norma Cossetto, emblema delle vittime delle foibe?
Un alto valore simbolico. A Trieste ci sono stato innumerevoli volte, ma è la prima volta che ci vengo da presidente della Camera, accogliendo di cuore l’invito del sindaco Roberto Dipiazza e della sorella di Norma.
La «congiura del silenzio» su foibe ed esodo è finita?
La «congiura del silenzio» è durata molto più di quello che era giusto: sarebbe stato doveroso, a fronte di tanta barbarie, far emergere subito la verità. Sappiamo perché non è stato così.
Ma oggi ci sono conti in sospeso?
Non userei quest’espressione. Oggi molto è stato fatto, non tutto: sussistono sacche di ignoranza, seppur ridotte, e piccoli ma rumorosi gruppi di negazionisti.
Quattro senatori di Pdl e Lega chiedono, con una proposta di legge, una commissione parlamentare d’inchiesta sulle foibe. È favorevole?
Non conosco la proposta e quindi mi astengo dal commentarla. Non si può dire sì o no a priori a una commissione d’inchiesta, senza sapere qual è il perimetro, qual è il mandato, quali sono i tempi.
Non crede che ci siano già state tante inchieste?
C’è stato senz’altro un revisionismo positivo negli ultimi dieci anni. Ma non si può mai dire che gli strumenti per acclarare la verità siano troppi: va illuminato, se permane, anche il più piccolo angolo buio.
Equo indennizzo degli esuli. Serve una nuova legge? O basta trovare le risorse adeguate?
È doveroso che il Parlamento trovi il modo per rendere giustizia agli esuli anche sotto questo punto di vista. Le difficoltà, nell’attuale situazione di crisi, sono legate unicamente all’ammontare finanziario. Ma, lo ripeto, il diritto a un indennizzo – anche se il termine non mi piace – è sacrosanto.
In occasione della «Giornata del ricordo», lei ha chiesto al governo di far sì che la carta d’identità degli esuli riporti la nazionalità italiana, anziché ex jugoslava. Perché?
Ho parlato molte volte con gli esuli e le loro associazioni e ho notato come a loro bruciasse non solo la tragedia di aver dovuto lasciare terre e case, ma anche l’incomprensione di molti connazionali. E per questo il 10 febbraio – in occasione della «Giornata del Ricordo» che è stata celebrata per la prima volta, sotto la mia presidenza, anche alla Camera – ho chiesto alle autorità governative di risparmiare a chi è nato a Zara, Spalato o Fiume l’ulteriore, piccola ma simbolica, umiliazione di un documento d’identità con la dicitura «nazionalità ex jugoslava».
Ha avuto risposte?
Il ministro Roberto Maroni si è riservato di approfondire la questione. Ma, per le vie brevi, mi ha detto che non dovrebbe essere difficile risolverla: potrebbero bastare delle disposizioni delle prefetture agli uffici anagrafici dei Comuni. In ogni caso, servisse una leggina, chi potrebbe opporsi?
Da anni si parla di un gesto di riconciliazione sull’ex confine orientale tra i presidenti di Italia, Slovenia e Croazia. È favorevole?
Sì, ma quando i tempi saranno maturi e vi sarà da parte di tutti la coscienza che un gesto può sancire la riconciliazione solo se sottintende una politica sincera e una volontà altrettanto sincera di far luce su una vicenda tragica, ammettendo le proprie colpe e riconoscendo la verità storica.
Non è ancora il momento, insomma?
Sono passati tanti anni, nell’ex Jugoslavia è cambiato tutto, ma permangono alcune pulsioni nazionaliste.
Un rimprovero al premier sloveno Danilo Türk che ha accusato l’Italia di deficit etico sul fascismo?
Credo che i lettori del «Piccolo» abbiano capito chiaramente a chi mi riferisco.
(di Roberta Giani su Il Piccolo del 21 febbraio)