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2013, l’anno di Padre Flaminio Rocchi (13) – 13mag13

In questa 13esima puntata della vita e delle opere di padre Flaminio Rocchi, l’Apostolo degli Esuli giuliano-dalmati di cui ricorre il decennale della morte e il centenario della nascita, parliamo del suo “L’Esodo dei 350mila giuliani, fiumani e dalmati”, il volume di oltre settecento pagine considerato la “bibbia” dell’Esodo ed in particolare della sua prima edizione che viene stampata alla fine degli anni ’60, quando in Italia parlare di Foibe era praticamente impossibile.

 

I link alle puntate precedenti sono dopo la fotografia.

 

Padre Flaminio ha sempre avuto un ottimo rapporto con la carta stampata. Iniziò col divorare libri al lume di candela nelle umide celle convenutali, quando l’interesse per la cultura colpì come una sferzata la sua adolescenza. Con il lavoro di assistenza cominciò quel dialogo diretto con i suoi Esuli (che mai s’interruppe) attraverso le pagine di Difesa Adriatica, dove amava erudire la sua comunità su tutto il lavoro che si stava facendo per loro.

 

Negli anni ’60, introdotto nell’A.W.R., scrisse una serie di relazioni che furono poi la base di partenza del suo libro L’Esodo dei 350.000 istriani, fiumani e dalmati, riscritto e ampliato più volte fino alla sua versione definitiva (ma lui ne voleva un’altra…) del 1998. Pensò poi di raccogliere ne L’Istria dell’Esodo tutto il materiale giuridico riguardante gli Esuli giulianodalmati, ma non poté fare a meno di inserirvi tutta una serie di riferimenti storici aggiornati, andando così ben oltre i limiti di un freddo manuale giuridico.

 

La prima edizione del suo primo libro, alla fine degli anni ’60, provocò grandi reazioni e apprezzamenti. Ciò non servì a spezzare il muro di silenzio che sbarrava la strada a un giusto riconoscimento storico, ma aprì le prime porte verso un lento cammino di conversione morale dell’opinione pubblica che durerà dal 1969 per 35 anni fino al 2004, quando una legge dello Stato (istituzione del Giorno del Ricordo) riconoscerà l’immane tragedia giuliano-dalmata. E questo, ironia della sorte, dopo decenni di battaglie combattute da Padre Flaminio, accadrà solo pochi mesi dopo dalla sua scomparsa.

 

Come avrebbe gioito se tale notizia l’avesse colto in vita. Ma da lassù ne avrà appreso comunque, chissà, sorridendo dolcemente con l’aria di chi la sa lunga e ammicca: “dovevo salire quassù per trovare chi appoggiasse le mie richieste di giustizia”.

 

Riporto nelle prossime pagine le reazioni alla prima edizione del suo libro. Ovviamente gli incarichi ricoperti dai firmatari sono quelli a cavallo della fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’70. La disposizione dei testi non è cronologica, ma è la stessa con cui Padre Flaminio li ha lasciati ben conservati in una cartellina.

 

21 ottobre 1969
«Caro Padre Rocchi, ho ricevuto e letto (avidamente!) il tuo lavoro, dal titolo “I profughi dalla Venezia Giulia e da Zara”: è un lavoro del quale tutti dovranno esserti grati! Bravo! E’ un’attenta raccolta di documenti e di informazioni, disposta per una facile consultazione; è una documentata risposta a tutte le domande, a tutti i dubbi, a tutte le insinuazioni. Bravo, Padre Rocchi: cento volte bravo! So che cosa vuol dire stampare un affare del genere, ma dev’essere fatto qualsiasi sforzo per dare alla pubblicazione la massima diffusione. Non dovrebbe mancare in nessuna casa dei nostri profughi, e così fra i simpatizzanti, le associazioni amiche ecc.»
Prof. Sergio Cella

La risposta di Padre Flaminio.
«Caro Professore, la ringrazio per le Sue lusinghiere espressioni di consenso al mio studio sul nostro esodo. Il mio scopo non è stato né di narrare il comportamento dell’esercito italiano in Jugoslavia, né di esaminare i rapporti politici tra i due Stati e tanto meno quello di rinfocolare odi o di turbare il progressivo riappacificamento tra l’Italia e la Jugoslavia. Ho tentato di porre in una luce di legittimità storica e morale il nostro esodo.
Tale scopo mi ha obbligato a parlare anche delle foibe. Argomento triste, ma così poco conosciuto da apparire inverosimile a molti italiani. Accettato quindi il diritto di indicare, sotto il profilo storico e non per opportunità contingente politica, nelle foibe una delle cause dell’esodo, resta da provare se era conveniente illustrare le foibe con quelle fotografie.
Il giorno 23 marzo mi trovavo in visita da Mons. Santin. Mi ha detto testualmente: “Ha fatto bene a pubblicare quelle fotografie. E’ un libro magnifico”. Ho fatto tutto questo in nome di quella pietà cristiana verso il dolore e verso la morte che mi spinse nel 1959 a chiedere al Governo italiano la chiusura delle foibe di Basovizza e di Monrupino e di erigere su quella di Basovizza un cippo commemorativo. E’ vero che alcune fotografie sorprendono. Ma è quello che io volevo: colpire l’attenzione del lettore distratto ed obbligarlo a leggere la storia dell’esodo. Nelle centinaia di lettere che ho ricevuto non c’è una sola parola di biasimo. Alcuni parenti di infoibati hanno pianto su quelle fotografie e mi hanno ringraziato. L’unica nota di critica è quella di De Simone (allora direttore de L’Arena di Pola n.d.r.).
Il mio scopo principale è stato quello di far conoscere un po’ di più il nostro esodo e di offrire un ricordo alla biblioteca familiare dei nostri profughi nel rispetto della verità storica. Non ho avuto la pretesa di pubblicare la storia completa. E’ stato un semplice tentativo, che certamente sta ottenendo troppo successo.»

 

15 marzo 1971
«…una documentazione così schiacciante e terrificante di efferatezze commesse barbaramente, sotto la cieca spinta dell’odio, a scopo genocida, e protette da un’inesplicabile congiura del silenzio, deve aprire gli occhi degli Italiani onesti e ignari della triste verità. Il paziente, meticoloso e meritorio contributo che Lei, caro padre Rocchi, ha dato alla affermazione luminosa di tale verità merita non solo il nostro più vivo plauso ma altresì la nostra sentita gratitudine.»
Lodovico Bressan, Presidente ANVGD Siena

 

17 dicembre 1970
«Per quanto io abbia della Tua quadratura mentale in campo storico la più grande considerazione, debbo dire che la chiarezza, la precisione e il fascino di una esposizione globale di una vicenda storica pur così frammentaria nelle sue componenti contrastanti, mi ha sorpreso e penso che la prove del successo del Tuo lavoro sia dato proprio dalla commozione e, lasciamelo dire, dal dolore con cui ho letto i capitoli umanamente più toccanti. Ti dò atto e approvo pienamente la misura con cui Tu hai lasciato parlare i fatti senza caricarli della passione che essi suscitano.
A mio giudizio è un’opera fondamentale, storicamente preziosa che non potrà mancare a chiunque voglia in qualsiasi modo occuparsi delle cose nostre.»
Avv. Bruno Bissaldi

 

10 luglio 1971
«Ho letto il volume con grande attenzione e avidità di conoscere tante cose che ignoravo. Mi ha lasciato col cuore in subbuglio e tanto addolorato per i fratelli infoibati, una decina dei quali conoscevo personalmente ed ero loro amico. Per me sono dei martiri. Il suo libro è una fiamma ardente che esplode negli animi di tutti noi sopravvissuti e sono sicuro che prenderà il primo posto nelle menti e nei cuori di tutti.
L’odissea dei nostri esuli è una pagina sublime e incancellabile per tutti, nella quale molti dovrebbero specchiarsi per trovare virtù ed amore scacciando dal loro io l’egoismo, la cattiveria, l’odio.»
L. Guerra

 

3 novembre 1969
«Il suo studio non indulge ai voli della letteratura e tuttavia raggiunge e travalica le dimensioni di un dramma che suscita commozione e fierezza, per l’incalzante cavalcata dei fatti dolorosi in quella cronologia così semplicemente e così sapientemente presentata fino al vertice della tragedia, conclusa con l’inesorabile ed eloquente valore delle cifre, di quelle cifre in ciascuna delle quali vi è una goccia delle nostre lacrime, del nostro sudore, del nostro sangue.
Lei ha trovato il modo di trasformare in autentica poesia e di elevare al suo giusto valore di tragedia di un popolo una vicenda le cui dimensioni erano note fino ad ora solo a coloro che l’avevano vissuta. Ed ha messo a disposizione dei tecnici, insensibili forse ai soli richiami dei sentimenti, una documentazione che tuttavia si avvalora e si nobilita dal sentimento e dall’amore, che sono alla base della nostra vicenda.»
Aldo Depoli

 

30 dicembre 1970
«Termino de leer su libro que usted con tanto cariño u lujo de detalles ha escrito y que, gracias a su gentileza, ha llegado a mis manos. ¡Qué bonito canto, qué defensa tan buena y qué monumento tan formidable ha dedicado usted a sus valientes, martirizados, muertos… e italiani simos compatriotas! Claro que Jugoslavia, ni el comunismo en general, se lo van a perdonar y hasta puede que el “porco de Tito”, si lee las bestialidades salvajes de sus gentes, aulle como un perro enjaulado o le dé un turrutaco de padre y muy señor mío.
Su libro hará pupa a muchos… El mismo De Gasperi, si Dios le pone la penitencia de leerle, abrirá ojos de besugo y sentirá la verguenza de haber ignorado –real o interesadamente, Dios lo sabe- la angustia mortal de una parte entrañable de Italia. Un Jefe, consciente de las “Foiba” y del “Infoibamento” de tantos italianos, hombres, mujeres y niños, jamás habría aconsejado aguante y permanencia en Istria como “indiscutibile garanzia dell’italianità…”. Para mí tengo que las últimas palabras de De Gasperi al Ing. Bartoli: “Se le cose stanno così, venite con noi” indican ignorancia suprema del drama y una indiferencia hacia el sufrimiento de los demás, que muy dificilmente puede perdonársele a un Jefe de Estado, digno de tal nombre.
Si vive aún el motorista D’Ambrosio Angelo y lee su libro, quizá le felicite a usted, porque con pluma ágil y firme ha presentado al mundo civilizado, en una síntesis completísima, “tutti gli orrori ed i delitti di cui si macchiarono senza giustificato motivo i partigiani jugoslavi”.
Saben todo ese mundo de barbarie salvaje del comunismo los italianos? Mande usted su libro al Partido que tal vez le hagan la propaganda ed “L’Unità”. Mándeles una nota de racomendación, diciéndoles que en el mundo civilizado todavía quedan hombres con “pelotas” como el “farmacista Pietro Ticina di Zara”.»
Fr. Clodulfo Escobar,  Provincia Franciscana San Gregorio, Curia Provincial, Madrid

 

13 gennaio 1971
«Ho trovato il Suo lavoro, redatto con stile veramente eletto, spigliato e talvolta anche arguto, molto convincente e tale da potersi considerare, anche per l’impressionante documentazione di cui è ricco, veicolo della più efficace propaganda in pro della nostra causa.
Esso darà un largo contributo alla conoscenza delle dure vicende subite dalle nostre terre e del nostro problema, che purtroppo manca e che mancando rende più ardua la realizzazione delle nostre legittime aspirazioni.»
M. Timeus, Presidente Ass. Nazionale Autieri d’Italia

 

19 novembre 1970
«Nessuno più e meglio di Padre Rocchi può descrivere e documentare la tragedia che ci ha travolti e commentare le vicissitudini e tutto quanto si poteva fare e che, purtroppo per tutta la nostra Gente, non s’è fatto. Esaltare i sacrifici di tutti Coloro che, per rimanere italiani, pur nella loro miseria, non hanno esitato nella scelta sublime.»
Giuseppe Doldo, Presidente della Consulta interregionale ANVGD di Puglia e Lucania

 

25 gennaio 1971
«Ritengo che l’opera contenente il travaglio che Ella ha impreso a descrivere, ad esaminare nelle sue cause ed a documentare con atti finora inediti, oltre che nell’ambito di coloro che lo hanno sofferto e vissuto, meriti di essere destinata a quello più ampio del pubblico italiano, affinché molte cose ignorate siano per la Sua autorevole e documentata esposizione messe per tutti nella giusta luce.»
Romano Cerlenizza

 

11 marzo 1971
«L’opuscolo è una preziosa opera ed un contributo per rendere di pubblica ragione il dramma del quale noi profughi giuliani e i nostri fratelli infoibati eravamo protagonisti. Se il Signore sulla croce ha perdonato, anche noi vittime di tanta malvagità invochiamo misericordia e perdono per i nostri carnefici; ma il perdono è subordinato a pentimento e riparazione.»
Giuseppe Uscatu

 

10 gennaio 1971
«I dati e le notizie raccolte, generalmente ignorate e poco conosciute, sono di una realtà indiscutibile e così impressionante, che dovrebbe richiamare l’attenzione non solo, ma scuotere e dissolvere del tutto lo scetticismo (per non dire voluta ignoranza) dei nostri reggitori politici.
Un plauso sincero e l’ammirazione più viva a Lei per aver dato alle stampe un’opera di alto valore storico, corredata da una preziosa ineccepibile documentazione, che attestano mirabilmente le sue doti di studioso, infaticabile ricercatore e rievocatore, animato da pura sete di giustizia e da nobile aspirazione patriottica, mai disgiunta da sereno ed equilibrato giudizio. Opera che si aggiunge alle tante Sue benemerenze nell’assistenza ai profughi giuliano-dalmati, sacrificati da un ingiusto destino.»
Prof. Jacopo Cella

 

19 gennaio 1971
«Conoscevo la tragedia dell’esodo dei nostri fratelli giuliani, istriani e dalmati, tragedia che mi ha sempre profondamente commosse ma di cui solo Lei ha saputo farmi veramente comprendere tutte le inconcepibili crudeltà. Tutti gli Italiani, e non solo gli Italiani, dovrebbero leggere questo Suo documentario, scritto senza ombre di retorica con la semplicità delle cose veramente grandi che non hanno bisogno di cartelli pubblicitari per imporsi alla nostra attenzione, ed è appunto per questo che il Suo libro fa balzare vivo nel nostro pensiero, stavo per dire davanti ai nostri occhi, in tutta la sua cruda realtà quanto quelle terre fieramente e appassionatamente italiane, che hanno saputo conservare intatte nei secoli la dignità di Roma e la dolce grazia veneta, quanto dico, hanno saputo e voluto dare alla Patria; terre tormentate nella materia e nello spirito, ferite nella bellezza di cui fu prodiga la natura e in quella costruita dalla mano dell’ingegno dell’uomo ma, soprattutto, straziate nella loro gente, torturata con diabolico livore cercando di annientare con il corpo, il ricordo di tanta fede, di tanto amore, della più assoluta dedizione alla Patria mai rinnegata.
Quanti esseri umani giacciono oggi nelle orrende foibe ove vi furono gettati, spesso ancora vivi, perché bisognava affrettarsi a distruggere anche la memoria della loro esistenza, ma per l’insopprimibile legge di compensazione, più alto, più sacro e più vivo si leva da quelle foibe lo spirito immortale di quei martiri, non vendicatore ma ammonitore per ricordare agli immemori che si può distruggere ciò che è terreno ma mai i valori immortali dell’anima umana che sono eterni perché divini, e nessuna foiba sarà mai tanto profonda da poterli annientare.
Tutto questo, Padre, ci dice il Suo libro; in esso vi è solo amore per la Sua terra straziata e per il tormento della Sua gente ma non odio per chi tale delitto ha commesso. Il Suo cuore di sacerdote, di italiano, di soldato ha sempre saputo trovare le parole adatte per esprimere i suoi nobilissimi sentimenti che si trasfondono in chi legge i suoi scritti e li fa propri. E’ per questo che mentre scrivo sento una gran pena stringermi il cuore mentre gli occhi si riempiono di lacrime. Penso a quei santi Morti ed ai tanti vivi che furono tragicamente costretti a lasciare persone e cose care: case, averi, amici, un cimitero spesso profanato o peggio una foiba che conteneva esseri immensamente cari per andare, non verso il benessere, la serena sicurezza del domani, senza preoccupazioni, ma verso l’ignoto senza certezza del lavoro, senza una casa, in un paese ove la guerra era passata spietata e terribile seminando miseria e morte, ma la terra che li avrebbe ospitati era l’Italia, quell’Italia mutilata della sua parte più cara perché la più infelice, che essi rappresentavano e portavano viva nel cuore, era la loro Patria, la Patria dei loro Morti e ad essi bastava, non chiedevano di più.
Grazie, Padre, per averci fatto comprendere queste cose tanto semplici e tanto sublimi. Che Iddio benedica la Sua santa fatica.»
Contessa Elisa Pocaterra, Comitato provinciale di Roma Associazione Nazionale Famiglie dei Caduti e Dispersi in guerra

 

9 febbraio 1971
«Sono rimasto profondamente commosso nel leggere pagine così dolorose che ricordano a noi tutti il martirio dei nostri Fratelli Giuliani e Dalmati e che testimoniano, attraverso documenti fotografici assolutamente inconfutabili, la ferocia e l’odio di chi avrebbe dovuto avere solo la gratitudine per l’Italia. Non c’è che da sperare che la verità venga finalmente riconosciuta e che il martirio di tanti poveri innocenti venga onorato e rispettato da tutti indistintamente gli Italiani.»
Ammiraglio Filippo Ferrari Aggradi, Dir. dell’Istituto di Guerra Marittima dell’Accademia Navale di Livorno

 

21 ottobre 1969
«Ho rimeditato tutti quegli avvenimenti narrati nelle sue limpide parole con rinnovata commozione profonda. Essi suscitano amari confronti e penose deplorazioni per tutti quei profughi e cittadini che, ingrati, in politica, nel partitismo e col turismo vogliono seppellire la “storia” che Lei ha rifatto viva, tragica, ammonitrice per tutti gli italiani e gli slavi onesti.
La cronaca degli avvenimenti fotografati dalla Sua penna è un’elegia struggente simile ai canti più tragici di Dante che fa dire alle vittime: “Caino attende chi vita ci spense”!
Passano gli anni, la memoria si affievolisce, i nostri discendenti italiani e slavi troveranno in quelle pagine quello che noi profughi abbiamo patito nelle nostre carni e nei nostri cuori.»
Monsignor Mario Novak

 

14 gennaio 1970
«So che molte persone ti hanno scritto e quindi desidero che tu conservi anche un segno tangibile del mio apprezzamento e della mia adesione a quanto tu sostieni, con tanta dignitosa semplicità e orgogliosa fierezza, perché un giorno, quando che sia, la giustizia umana riconosca i torti che ci sono stati fatti.
Il tragico, crudo realismo documentativo della tua esposizione dei fatti, dovrà far meditare molta gente e noi ci dobbiamo augurare che specie gli uomini responsabili della politica nazionale sappiano leggere le tue chiare ed esplicite note informative.
Per ora accontentati della soddisfazione e del ringraziamento degli esuli, di coloro che nel tuo libro leggono molto della loro tragedia; di chi, come me, ha vissuto e sofferto l’esodo in tutte le sue vicissitudini.»
Col. Giorgio Cobolli, Medaglia d’Oro al Valor Militare

 

28 dicembre 1970
«Ho rivissuto con profondo sentimento di pena e di raccapriccio le terribile vicende della Venezia Giulia e della Dalmazia durante e dopo l’infausta ultima guerra; sono rimasto ammirato davanti alle ardue ineguagliabili prove di attaccamento alla propria terra e di amore alla Patria italiana offerte dalla martoriata popolazione istriana e dalmata; ho esaminato attentamente la documentazione, le fotografie, le tavole ed i grafici che illustrano la tragica situazione.
Ella ha compiuto un lavoro di grande valore storico, statistico e soprattutto patriottico, che non potrà non richiamare l’attenzione dei competenti Organismi internazionali e delle Autorità del nostro Governo. Mi auguro che esso porti i suoi frutti benefici al servizio dell’Italia e della pace.»
Gen. Plinio Pradetto, Presidente Ass. Finanzieri d’Italia

 

15 dicembre 1970
«Questo libro costituisce il documento impressionante di una tragedia senza nome, e bisognerebbe farlo leggere a tanta gente che ha la tendenza a dimenticare troppo in fretta o trova più comodo non ricordare affatto.»
Lino Cappellini, Prefetto di Trieste

 

1° gennaio 1971
«Il tuo libro l’ho addirittura divorato e non ne ho fatto indigestione, segno evidente che è un cibo sano. Mi ha riportato ai tristi momenti di un tempo, perché anch’io, tramite i miei nipoti, ho conosciuto momenti tristissimi di quell’epoca infelicissima della storia delle nostre terre italianissime. Non ti so spiegare quanta pena mi ha procurato quella lettura, pena per gli esuli che ne hanno subito per intero la sofferenza; pena per i nostri “grandi” condottieri di politica; pena per i nostri industriali dei partiti; pena per l’indifferenza di tutti, meno che per coloro (come te) che hanno dedicato la loro vita a sollievo di tanta povera gente e a difesa dell’italianità di quelle terre che hanno sempre avuto il senso più profondo della loro civiltà latina.
Lode a te e grazie del dono. La sua lettura e la sua visione delle cose mi ha almeno riportato col pensiero alla preghiera al Signore per tanta povera gente e mi ha anche insegnato che non c’è al mondo nessuna sventura nostra che non ne abbia una peggiore in qualcun altro.»
Padre Remigio Penello, Vicario Provinciale di Venezia dei Frati Minori

 

15 maggio 1971
«Desidero rallegrarmi con Lei per la realizzazione di quest’opera che, in tempi di deformazione della storia, di travisamento della realtà, di adagiamento nelle soluzioni di comodo, è un essenziale contributo alla conoscenza della verità, almeno per chi la voglia apprendere. Verità, non per mantenere divisioni, inimicizie, abissi, ma perché si possa costruire su fondamenta più solide e soprattutto per rendere giustizia a coloro che sono rimasti vittime di incivile violenza e a coloro che ne serbano nel cuore fedele il ricordo perenne.
E’ con profonda, sconvolgente commozione che gli appartenenti alla nostra generazione leggono le pagine del Suo libro; è con doverosa reverenza che le fanno scorrere ai figli, ai quali la scuola d’oggi nasconde queste cose.»
Gian Franco Calabresi, Direttore dell’Associazione Bancaria Italiana

 

7 marzo 1971
«Il libro è scritto con mano maestra e tocca il cuore di noi esuli che riviviamo in quelle pagine i fatti terribili toccati ai nostri concittadini nelle foibe. E’ stato duro per noi abbandonare quelle terre dove siamo nati e cresciuti. Ci voleva proprio qualcuno, come lei, che fosse capace di documentare quella triste parentesi del dopoguerra.
Ricordo che, mentre tutti in Italia esultavano per la fine delle ostilità, per noi invece si apriva il periodo più brutto, quello dell’esilio. Per noi giovani fu abbastanza facile, ma per i vecchi… che tristezza! Mi permetta di congratularmi con lei per il suo libro scritto con animo di vero istriano.»
Maria Luisa Fabretto Aceti

 

9 febbraio 1971
«Sentivo molto la necessità di una pubblicazione del genere, La Sua opera poi dà un’idea viva, palpitante, della tragedia delle nostre genti. Mi congratulo sinceramente con Lei.»
Avv. Ugo Andreicich

 

 

 

 

1. puntata: biografia sintetica https://www.anvgd.it/notizie/14901-2013-lanno-di-padre-flaminio-rocchi-1-12mar13.html

 

2. puntata: vita da cappellano militare https://www.anvgd.it/notizie/14913-2013-lanno-di-padre-flaminio-rocchi-2-14mar13.html

 

3. puntata: l’esperienza di cappellano militare in Corsica https://www.anvgd.it/notizie/14945-2013-lanno-di-padre-flaminio-rocchi-3-19mar13.html

 

4. puntata: i ricordi della sua Neresine https://www.anvgd.it/notizie/14961-2013-lanno-di-padre-flaminio-rocchi-4-22mar13.html

 

5. puntata: l’impegno nell’ANVGD https://www.anvgd.it/notizie/14987-2013-lanno-di-padre-flaminio-rocchi-5-26mar13.html

 

6. puntanta: le Foibe https://www.anvgd.it/notizie/15014-2013-lanno-di-padre-flaminio-rocchi-6-02apr13.html

 

7. puntana: l’Esodo giuliano-dalmata https://www.anvgd.it/notizie/15034-2013-lanno-di-padre-flaminio-rocchi-7-04apr13.html

 

8. puntata: Trattato di Osimo e rapporti con la ex Jugoslavia https://www.anvgd.it/notizie/15055-2013-lanno-di-padre-flaminio-rocchi-8-09apr13.html

 

9. puntata: l’assistenza agli Esuli https://www.anvgd.it/notizie/15080-2013-lanno-di-padre-flaminio-rocchi-9-11apr13.html

 

10. puntata: la cruda realtà della profuganza https://www.anvgd.it/notizie/15081-2013-lanno-di-padre-flaminio-rocchi-10-06mag13.html

 

11. puntata: le critiche https://www.anvgd.it/notizie/15100-2013-lanno-di-padre-flaminio-rocchi-11-08mag13.html

 

12. puntata: la riconoscenza degli Esuli https://www.anvgd.it/notizie/15128-2013-lanno-di-padre-flaminio-rocchi-12-10mag13.html

 

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