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19 set – Esuli e rimasti: strategie comuni e voci stonate

di Emanuela Masseria su La Voce del Popolo del 19 settembre 2009

Un lungo dibattito dal titolo “Chi ha interesse a contrapporre esuli e rimasti? Un unico popolo diviso da due destini ugualmente amari o due modi inconciliabili di essere italiani”?, si è tenuto ieri mattina in occasione della 56.esima edizione del Raduno nazionale dei Dalmati che si concluderà domani al Museo della civiltà istriana, fiumana e dalmata. A discutere sul tema alcuni dei principali rappresentanti dell’universo culturale e associazionistico rispettivamente di “esuli” e “rimasti”, che hanno cercato, nei limiti delle loro rispettive posizioni personali, di avviare una discussione costruttiva. Hanno relazionato, nel dibattito moderato da Renzo de’Vidovich, Lucio Toth, presidente nazionale dell’Anvgd, Paolo Sardos Albertini, presidente della Lega Nazionale, la giornalista Rosanna Turcinovich Giuricin e Piero Delbello, direttore dell’IRCI.

Ad aprire la questione è stato l’avvocato Sardos Albertini, con una tesi che ha posto l’accento su “un giro di volta della storia, che dovrebbe liberare gli uni e gli altri dai residui del passato”. Riconoscendo una comune capacità di “piangersi addosso” dei due gruppi, il presidente della Lega nazionale ha chiamato in causa due principali caratteristiche dei rimasti, una “buona” e una “cattiva”: la prima è identificata nell’attaccamento alla madrepatria, la seconda in una mancata, esplicita adesione all’anticomunismo. Aldilà di quanto e come le ideologie colorino alcuni tra gli interventi proposti, di base i presenti (meno Delbello) concordano sul fatto che dall'’89-’91 le dirigenze, sia degli esuli che nei rimasti, hanno cambiato il proprio atteggiamento, magari considerando la sempre maggiore distanza temporale dai fatti del Novecento che hanno sconvolto queste terre. In ultima analisi, l’avvocato riconosce il primato della cittadinanza italiana alla CNI, come baluardo di una resistenza umana ancora difendibile e vivente.

Si incentrano invece sulla necessità, oggi più che mai, di creare un progetto comune tra le due comunità, le argomentazioni proposte da Rosanna Turcinovich Giuricin, che ha parlato specificamente di “un progetto culturale d’eccellenza per raccogliere il meglio di entrambi e veicolarlo alle rispettive nazioni. Non siamo ancora andati oltre all’apporto dei singoli, ma il nostro patrimonio culturale, fatto delle stesse usanze, feste, abitudini, fondato sulla stessa lingua e sulle stesse tradizioni, non ha ancora approcciato ad un’unificazione d’intenti. Gli ebrei lo fanno, ad esempio, è il risultato è sotto gli occhi di tutti”.

Ha iniziato citando il fatto che secondo lui oggi “non esistono vere contrapposizioni tra esuli e rimasti” Lucio Toth, che ha addotto le possibili difficoltà di dialogo ad una serie di motivazioni: il rispettivo tornaconto elettorale, le origini negative dei problemi in oggetto, legati a una storia cruenta e al peso delle ideologie, l’interpretazione che viene data al “rimanere” o all’”esodare”. “Non possiamo comunque andare a dire alla comunità italiana cosa deve fare, anche se, attualmente, mantenere la loro attività in quelle terre è di vitale importanza, per tutti noi” ha concluso.

È toccato quindi a Silvio Forza, direttore dell’EDIT, rispondere alle sollecitazioni fino a qui espresse dai relatori. “Quanto sto per dire contiene ovviamente dei dissensi e degli assensi rispetto a quanto fin qui affermato, avendo alle spalle una comunità che per più di 50 anni ha vissuto sostanzialmente un’altra storia. Fin dall’inizio mi sono accorto, nella mia esperienza all’interno della CNI, che le istituzioni e il “sistema” contano più delle singole persone. Ci sono poi le ripercussioni “interne” – ha argomentato – ad esempio, dopo aver partecipato al Raduno di Belluria in Croazia sono stato tacciato di “fascismo”e questa è più la norma che l’eccezione. Non sono d’accordo sul fatto che, come ha detto Sardos Albertini, oggi ci siano nuovi “vincitori e vinti”. Io che comunista non sono e non lo sono mai stato, posso affermare che la “colpa” non è stata del comunismo, ma dell’irredentismo nazionalista, prima jugoslavo e poi croato, ed in più sono convinto che questa opinione possa essere ascrivibile ad una larga parte della CNI. Mi stupisce ancora che possa essere trovato qualcosa di negativo nella scelta del “rimasto” e riconosco, invece, che non siamo stati in grado di portare avanti ancora un progetto unico. In 60 anni – ha concluso – abbiamo espresso il peggio di noi stessi, ma bisogna ancora creare un “esodo d’eccellenza” e puntare magari su un rafforzamento economico produttivo della CNI, che ci permetta di sopravvivere e di lasciare un segno nel territorio. Inoltre, dobbiamo accogliere e comprendere il dolore degli altri, ma senza dimenticare il nostro”.

Per riassumere il successivo intervento di Piero Delbello possiamo usare poche parole. Lui infatti non è d’accordo con nessuno dei presenti e su nessun argomento e quindi, per economia di spazio e di tempo, basta ribaltare le precedenti affermazioni colorandole con un peculiare livore.

Dopo quasi tre ore si è quindi interrotto il lungo dibattito, facendo esprimere ancora qualche precisazione ai presenti, che non intacca il senso complessivo di quanto emerso. Per rispondere alle domande poste nel titolo ci sarà sicuramente ancora molto da condividere, da limare e da progettare nelle diverse anime del “popolo unico” che tanto ci sta a cuore.

 

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