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17 mar – Esuli e rimasti: emerge la voglia di ”fare”

L’Europa dentro i pensieri: anche se spesso non ne abbiamo una precisa percezione, qualcosa è già scattato, il mutare delle cose ha evoluto le situazioni, così, con una spontaneità per certi versi disarmante per cui positiva, l’altra sera all’Associazione delle Comunità istriane di Trieste, tre rappresentanti dei “rimasti” hanno raccontato ad un pubblico di esuli, esperienze e delusioni, speranze e disincanto di un mondo in estinzione: quello di cultura e lingua italiana dell’Adriatico orientale. Non oggi, non domani ma i tempi di mutazione, a questo punto, sono comunque brevi. Che fare? Nel dibattito – con Amalia Petronio, Lorella Limoncin Toth e Ezio Giuricin – si è cercato di proporre una chiave di lettura delle possibilità che l’attualità offre.

Si decide di operare insieme, superando i luoghi comuni ed i pregiudizi che non moriranno. Possono però rimanere in disparte, ad uso e consumo di chi non riesce ad evolvere.

A questo punto diventa importante la cronaca della serata con il saluto del Presidente Lorenzo Rovis e di Carmen Palazzolo Debianchi, coraggiosa chersina che da due anni sta sfidando tutte le diffidenze proponendo una riflessione su “Essere Esuli oggi”. Ha coinvolto politici ed intellettuali, il mondo della scuola e la gente comune, esuli e rimasti, in una interazione che sta dando i suoi frutti: la gente finisce per riconoscersi in un sentire comune che aiuta a far crescere, qualitativamente, l’impegno di un popolo. La strada è impervia ma merita tentare: questo il messaggio che se ne deduce.

Amalia Petronio di Pirano, impegnata nella scuola, bibliotecaria, ha raccontato la sua vicenda di donna cresciuta in una famiglia operaia con la vocazione alla giustizia, in un mondo ed in un’epoca in cui l’indottrinamento era pane quotidiano. Ma raggiunta l’età della ragione ha dovuto fare i conti con i propri ideali ed operare delle scelte. “Io sono sempre stata di sinistra”, afferma. “E per me essere di sinistra significa essere una persona di buona volontà, impegnata nel sociale, che persegue modelli di giustizia”.

E racconta che negli anni Settanta, volendo invitare a Pirano, Paolo Sema, figura storica del territorio, venne contrastata dal Partito che non voleva dare voce ad un esule eccellente. “Ho capito che eravamo controllati. Allora ero politicamente impegnata anche ad alti livelli ma mi mancava l’aria, mi mancava la mia cultura. Noi viviamo nelle nostre città in grande solitudine”.

Per Amalia, come per la maggior parte degli esuli, si pone il problema di tramandare una certa cultura ai figli che sono immersi in ambienti omologanti che annacquano ogni cosa e impongono altri codici identitari.

L’apertura dei confini ed un nuovo spirito libertario – afferma Lorella Limoncin Toth, già sindaco di Buie – “ha capovolto le situazioni. Gli italiani che oggi vogliono fare affari nella nostra terra, chiamano Parenzo, Porec, e non sono interessati alla storia della nostra presenza. Affari, denaro, lavoro, sono questi i concetti ai quali si rivolgono”.

Il rapporto romantico della nostra gente con la cultura, la storia, le pietre si sgretola di fronte a necessità di altro tipo che non ci assomigliano e che non fanno parte di un’ecologia territoriale che ci vorrebbe attivi ed attivati in loco. “Dobbiamo essere pragmatici – rileva la Limoncin Toth – e capire che abbiamo l’obbligo delle leggi dentro le quali però credo sia possibile ritagliarci i nostri spazi, bisogna farlo con intelligenza. Quanta gente è tornata a vivere laddove è nata: nel Buiese gli esempi sono tanti e la loro scelta ci viene in soccorso. Con i genitori arrivano figli e nipoti e una comunità, in alcune cellule, si ricompone”.

Rimane il problema di un’identità spesso corrosa dalle contingenze. “Essere e sentirsi italiani oggi in Slovenia e Croazia – spiega il giornalista Ezio Giuricin – è un traguardo quotidiano, un impegno e un sacrificio costante sia a livello individuale che collettivo; in molti casi, quando le condizioni e le circostante sono particolarmente avverse, è quasi un miracolo. In un contesto contrassegnato da forti spinte assimilatrici, da un ambiente ostile e refrattario alla presenza italiana, spesso è solo un debole filo, un sentire sofferto e confuso che, come un gracile germoglio, ha bisogno di essere sorretto, incoraggiato, aiutato. Una parte della comunità, la meno numerosa, è portatrice di una coscienza nazionale forte e matura, di un’identità radicata che difficilmente potrà andare dispersa o essere intaccata… Il resto di quelli che definiamo appartenenti al gruppo nazionale, è in balia completa dell’ambiente sociale che li attornia e che quasi sempre, fatte le debite differenze tra località o aree diverse, è contrassegnato da una soverchiante presenza culturale, linguistica, e soprattutto, politica ed economica della maggioranza che ha sempre sviluppato un inarrestabile e strisciante processo di assimilazione”.

Il che fare incalza e nel dibattito si sente la spinta forte a voler riflettere ed agire insieme, così dal pubblico giungono commenti e testimonianze su ciò che si sta facendo o è già stato fatto ma anche qualche proposta per il futuro, intervengono Giadrossi, Tessarolo, Mazzaroli, Dorigo, Radivo, Biloslavo, Ledovini. Le proposte si incrociano: gli esuli cosa possono fare per la comunità italiana e viceversa? Alla fine del lungo dibattito, iniziato alle 17 si è concluso alle 20, nelle strette di mano rimane un impegno a proseguire, ma presto, senza lasciare che sia il tempo a decidere.

Rosanna Turcinovich Giuricin su www.arcipelagoadriatico.it

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