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16 mar – ” Mio padre usciere e ‘criminale di guerra’ ”

Riceviamo e pubblichiamo una lettera di Rosa Vasile, nostra lettrice residente a Palermo.

 

Sul quotidiano “Il Piccolo” di Trieste di Lunedì 2 Marzo u.s. ho letto la sconcertante dichiarazione rilasciata dal segretario dell’Unione Slovena di Trieste, Peter Mocnik, a seguito dei fatti oltremodo oltraggiosi avvenuti alla foiba di Golobivnica, a Corgnale, ad opera di un gruppo di manifestanti sloveni contro una delegazione dell’Unione degli Istriani che portava omaggio al sito, regolarmente autorizzata dalle autorità slovene.

Detta dichiarazione recita: “….. male informato, il Presidente Napolitano premia ogni anno nella Giornata del Ricordo figli e nipoti di criminali di guerra”.

Essendo personalmente figlia di una vittima dell’odio etnico ed ideologico jugoslavo, per cui il 10 febbraio 2008 ho ricevuto la medaglia commemorativa dal Presidente Napolitano, esprimo profonda amarezza e sdegno.

Mio padre, Gerlando Vasile, di anni 48, usciere presso la Questura di Fiume, era un uomo semplice, padre di cinque figli, marito esemplare, conduceva una vita modesta, tutta dedita al lavoro e alla famiglia.

Il 3 Maggio 1945, come di consueto, si recò in ufficio da cui non fece più ritorno. Dopo qualche giorno di detenzione nel carcere di Fiume, di notte, come ci riferirono alcuni abitanti vicini al carcere, fu trasportato su un camion insieme a tutto il personale della questura per ignota destinazione. Ci fu riferito che mio padre gridava straziante “lasciatemi, ho cinque figli , non ho mai fatto male a nessuno”.

Eppure mio padre, innocente, seguì la sorte di tanti, altrettanto innocenti, uomini, donne, bambini, la cui sola colpa era quella di essere “italiani”. Sono per questo “criminali di guerra”?

Hanno sacrificato la loro vita per l’italianità di quelle terre (Fiume, Pola, Zara) che oggi non sono più nostre e che noi italiani abbiamo dovuto lasciare con immenso dolore: Esuli in Patria.

Profondamente ferita nell’animo, offesa per la mia dignità di figlia di una vittima innocente, oggetto di un’affermazione diffamatoria così grave, mi rivolgo alle autorità preposte per la tutela della nostra onorabilità.

Chiedo inoltre che, dopo più di 60 anni, abbia fine una dolorosissima vicenda che coinvolge migliaia di persone che giacciono ancora senza nome in una terra ormai perduta.

Non più sentimenti di rancore, di vendetta, ma solo bisogno di conoscere il luogo in cui i nostri cari hanno tragicamente concluso la loro vita, per portarvi noi congiunti (almeno quelli che siamo rimasti) un fiore, una preghiera.

Abbiamo tutti diritto di piangere i nostri morti sul luogo del loro sacrificio.

Rosa Vasile, Palermo    

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