ANVGD_cover-post-no-img

16 giu – Palatucci: il ricordo del Capo della Polizia

Storia di un Giusto
di Antonio Manganelli

“Ci vogliono dare ad intendere che il cuore sia solo un muscolo e ci vogliono impedire di fare quello che il cuore e la nostra religione ci dettano”. In questa breve frase credo sia racchiuso il senso più profondo delle eroiche scelte compiute da Giovanni Palatucci.

Come scheda biografica di questo straordinario poliziotto, scelgo di riportare la motivazione della Medaglia d’oro al valor civile che il presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro gli conferì, alla memoria, nel 1995: “Funzionario di Polizia, reggente la Questura di Fiume, si prodigava in aiuto di migliaia di ebrei e di cittadini perseguitati, riuscendo ad impedirne l’arresto e la deportazione. Fedele all’impegno assunto e pur consapevole dei gravissimi rischi personali, continuava, malgrado l’occupazione tedesca e le incalzanti incursioni dei partigiani slavi, la propria opera di dirigente, di patriota e di cristiano, fino all’arresto da parte della Gestapo e alla sua deportazione in un campo di sterminio, ove sacrificava la giovane vita” – Dachau, 10 febbraio 1945.

Nato a Montella, in provincia di Avellino, il 31 maggio 1909 cresce in una famiglia sana e forte della Bassa Irpinia, tra i boschi verdissimi dei Monti Picentini e le acque chiare e gli affascinanti carsismi del fiume Calore. Ha un cugino e uno zio, entrambi francescani: soprattutto lo zio, divenuto vescovo, negli anni bui delle persecuzioni razziali sarà il suo grande “collaboratore” (fornendo ricovero e ospitalità nella sua diocesi, in provincia di Salerno, a centinaia di ebrei) nella immane opera di salvataggio di tanti sventurati, braccati dai nazisti. Fortissimo si dimostra in lui l’imperativo religioso e morale di essere e di porsi al servizio del prossimo: lo ha impresso, evidentemente, nel proprio Dna biologico e culturale. Oggi la Chiesa cattolica riconosce a Giovanni Palatucci il titolo di “Servo di Dio”, ma già nel 2004 si è conclusa la prima fase del processo di canonizzazione del martire irpino – soppresso dai nazisti “in odium fidei” – ed i relativi atti sono stati trasmessi alla Congregazione Vaticana per le Cause dei Santi. Per il suo eroico comportamento, il nome di Giovanni Palatucci è, inoltre, inciso nel memoriale dello Yad Vashem di Gerusalemme, il Luogo per eccellenza della Memoria del popolo ebraico. Egli è un Giusto fra le Nazioni, ovvero uno dei 20mila eroi (gli italiani sono circa trecento) che si sacrificarono per aiutare gli ebrei nel delirio distruttivo della Shoah.

Dunque, due grandi religioni monoteiste hanno già riconosciuto l’eccezionalità del pensiero e dell’azione di Giovanni Palatucci. Ma perché? Cosa ha fatto un commissario poco più che trentenne di così straordinario? La risposta è semplice e nel contempo stupefacente: dal 1938 (anno della promulgazione delle leggi razziali in Italia) al settembre 1944 (l’inizio della fase finale della II Guerra mondiale) è riuscito letteralmente a far “sparire” da sotto il naso della Gestapo, che imperversava anche a Fiume, sua sede di servizio, almeno 5mila ebrei, sia italiani dalmati e della Venezia-Giulia, sia stranieri giunti nei porti del Quarnaro in fuga dagli altri Paesi della Mitteleuropa occupati dai nazisti. Laureatosi a Torino, già ufficiale dell’Esercito, nominato vice commissario di pubblica sicurezza nel 1937, Giovanni Palatucci viene assegnato all’Ufficio stranieri della Questura di Fiume: proprio a causa di tale ruolo egli finisce col trovarsi “in prima linea” nella sistematica opera ddi cattura e deportazione degli ebrei, messa in atto in attuazione della famigerata “soluzione finale” voluta da Hitler, che portò al genocidio di un popolo.

Delle due l’una: o diventare “complice” dei nazisti, fornendo le informazioni richieste alle autorità italiane, oppure opporsi alla disumana politica di sterminio, votandosi a morte pressoché certa. Palatucci, senza esitazione, sceglie la via stretta degli eroi. Come reggente della Questura, vanifica a lungo le procedure burocratiche necessarie ai nazisti per identificare e arrestare i ricercati e dà ordine all’anagrafe di Fiume di avvertirlo preventivamente delle richieste avanzate dai tedeschi: appena viene a sapere che qualcuno è finito nel loro mirino, subito si attiva per metterlo sull’avviso ed organizzarne la fuga. In questa sua opera ciclopica è aiutato soprattutto da alcuni poliziotti e da vari preti, frati, suore sparsi in tutta Italia.

Per parecchio tempo va avanti così. In molti capiscono che finirà per pagare con la vita il suo altruismo e gli offrirono di salvarsi, ma Palatucci rifiuta sempre sia provvidenziali trasferimenti sia possibili fughe nella clandestinità. Va avanti, a viso aperto, fino al 13 settembre 1944. In quel giorno le spie riescono nel loro intento ed il tenente colonnello Herbert Kappler – sì, proprio lui, il gelido esecutore della strage delle Fosse Ardeatine, in fuga da Roma dopo l’arrivo degli Alleati – lo fa arrestare all’alba. Rinchiuso nel carcere di Trieste e condannato a morte, Palatucci, l’eroico funzionario viene deportato a fine ottobre nel campo di sterminio di Dachau, dove muore di stenti, di patimenti, forse di tifo, il 10 febbraio 1945. Il suo corpo sparisce nella fossa comune. Di lui resta la matricola: 117826. E resta la memoria della sua splendida personalità e del suo fulgido esempio di poliziotto intelligente e davvero senza paura, votato a un senso superiore del dovere. Un simbolo e presto, speriamo, nel centenario della sua nascita, un Santo.

0 Condivisioni

Scopri i nostri Podcast

Scopri le storie dei grandi campioni Giuliano Dalmati e le relazioni politico-culturali tra l’Italia e gli Stati rivieraschi dell’Adriatico attraverso i nostri podcast.