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14 gen – Turk: Foibe, tema già chiuso

di Mauro Manzin su "Il Piccolo" del 14 gennaio

A sentirlo parlare sembra di essere a una sessione plenaria del Consiglio di sicurezza dell’Onu. Diplomatico raffinato, il presidente della Repubblica di Slovenia, Danilo Türk, non a caso è stato ambasciatore alle Nazioni Unite. Attento osservatore dei rapporti bilaterali Italia-Slovenia dimostra tutte le sue doti di diplomatico raffinato nell’approccio nei confronti della spinosa questione del contenzioso sui confini tra Lubiana e Zagabria.

Presidente, lei ha detto che tra Italia e Slovenia non è necessario alcun atto di riconciliazione essendo entrambi Paesi membri dell’Ue. Ma ha chiesto a Roma una maggiore attenzione ai crimini fascisti durante il periodo di occupazione della Seconda guerra mondiale. Perché non ha citato le foibe?

«Non c’è alcun bisogno di un atto di riconciliazione. Proprio un anno fa concordammo con il presidente Napolitano in visita ufficiale in Slovenia che la riconciliazione tra Italia e Slovenia è conclusa.Riconciliazione conclusa” mi disse letteralmente allora Napolitano. Tra Slovenia e Croazia poi non ci sono ragioni storiche che impongano una riconciliazione. Ma ci sono alcuni punti etici che rimangono ancora aperti. Siamo nello spazio dell’etica, non della politica. A livello etico ci sono episodi del passato che devono essere chiariti. Uno di questi sta in Italia in quanto ci sono alcuni capitoli relativi al regime fascista che non sono stati ancora chiusi. Mi riferisco ai crimini di guerra che sono stati commessi dall’Esercito italiano durante l’occupazione di parte della Slovenia e che non sono stati ancora chiariti».

Può fare degli esempi?

«Lo scorso agosto il giudice Antonio Intelisano ha scoperto delle documentazioni relative a questi fatti e ha affermato che c’era bisogno di ulteriori atti investigativi. Questa è una direzione saggia da prendere. I crimini di guerra non sono soggetti a prescrizione».

Dunque fatti rilevanti?

«Certo, anche perché Slovenia e Italia hanno deciso anni fa di guardare alla loro storia tramite una commissione mista di storici. Questa commissione ha concluso il suo lavoro e prodotto dei risultati concreti relativi al periodo storico che va dagli inizi del XX secolo al 1957. Questi risultati sono stati pubblicati in Slovenia già nel 2000, ma non sono mai stati pubblicati in Italia. Lo ritengo un documento importante perché parla dell’occupazione fascista, parla delle foibe e lo giudico come una piattaforma importante su cui ragionare insieme».

E com’è la situazione in Slovenia con i crimini del comunismo?

«Noi abbiamo una legge relativa alle ingiustizie del passato che include anche il periodo immediatamente successivo alla Seconda guerra mondiale. E chiunque ha dei documenti, delle testimonianze, beh, queste sono bene accette per avviare seri atti istruttori. In Slovenia, negli ultimi 10 anni, abbiamo guardato con attenzione agli aspetti più oscuri del nostro passato, siamo aperti e speriamo che un simile processo avvenga anche nei nostri Paesi vicini».

A proposito di Paesi vicini. La Slovenia ha posto il veto al processo di adesione della Croazia all’Ue per la nota questione relativa ai confini. Qual è il suo approccio al tema?

«Sono stato a Zagabria il 26 novembre scorso e ne ho parlato con il presidente Stipe Mesic. C’è un principio fondamentale che va rispettato, nel diritto internazionale viene chiamato come ”uti possidetis iuris” che applicato al tema confinario significa che le cose devono stare come erano il giorno della proclamazione dell’indipendenza di Slovenia e Croazia e cioè il 25 giugno del 1991. I due Paesi devono quindi trovare una soluzione che sia compatibile con le delimitazioni confinarie che sussistevano allora, concordemente alle regole internazionali tra le repubbliche nate dalla dissoluzione della Jugoslavia».

Sta di fatto che il contenzioso non si sblocca?

«Nella stessa occasione io ricordai a Zagabria dell’accordo raggiunto sul tema dei confini nel 2001 tra gli allora premier Drnovsek e Racan. Accordo che fu allora solo siglato, non sottoscritto. Accordo che è stato accolto positivamente dal Parlamento sloveno ma fu rigettato da quello croato».

Un atto significativo…

«Sì, perché spiega alcune cose sulla discussione bilaterale in atto. Si è trattato di uno sforzo onesto, uno sforzo saggio che tenendo conto del principio dell’”uti possidetis” ha trovato una soluzione. Ma è stato rigettato. Questo dimostra che il volere politico non era pronto in quegli anni. Mi riferisco al volere politico croato».

Che cosa determinò questo rigetto?

«Determinò tutta una serie di incomprensioni e una forte mancanza di fiducia tra le parti».

Ma il dialogo tra Slovenia e Croazia, tra alti e bassi, è continuato…

«Sì, il principio dell’”uti possidetis” è stato anche riaffermato. Molti sforzi sono stati fatti per giungere a un accordo. Nell’ultimo anno poi ha iniziato a lavorare una commissione mista di esperti. La Croazia intanto chiede l’intervento della Corte di giustizia dell’Aja, ma la Slovenia non è d’accordo e preferisce parlare di arbitrato o di un altro meccanismo che riesca a porre fine al contenzioso al di là dei principi astratti della giustizia».

A fine gennaio ci sarà un altro incontro di questa commissione mista di esperti…

«Vedremo quale sarà la situazione, se ci saranno i presupposti per un accordo o meno».

Qual è allora la «colpa» della Croazia?

«Quello di aver consegnato a Bruxelles, nel corso delle trattative per l’adesione all’Ue, documenti, leggi e mappe che non tengono conto del principio dell’”utis possidetis iuris”. E questo è inaccettabile».

La Croazia deve allora modificare le sue leggi?

«No, ma deve essere chiaro che si tratta di mosse unilaterali che non dovrebbero essere usate in nessuna disputa vuoi bilaterale o multilaterale a livello internazionale».

Dunque se la Croazia ammette di non volere usare questi documenti nell’ambito della disputa confinaria si potrebbe riavviare il dialogo?

«Certo, ma la Croazia non è disposta a farlo».

Qual è allora la sua proposta operativa?

«C’è stato uno shock quando la Slovenia, proprio a causa di questi documenti, ha posto il veto al processo di adesione della Croazia all’Ue. Ora, entrambe le parti, devono prendere del tempo per riflettere. Riflettere però guardando al futuro. Io suggerisco che entrambe le parti debbano riacquistare la reciproca fiducia. Poi serve il mutuo rispetto, dobbiamo rinunciare a dichiarazioni che eccitino la pubblica opinione, ma comportarci come due Stati che si rispettano. Abbiamo visioni differenti sì, ma dobbiamo rispettarci. E, infine, lavorare nel mutuo interesse. Dobbiamo cercare le future modalità per arrivare a una soluzione del contenzioso guidate dal nostro comune bisogno di lavorare assieme. Questo può essere fatto bilateralmente e diplomaticamente. Non mi sento di suggerire alcuna altra particolare formula».

Dunque una sorta di riconciliazione?

«Certo, in cui ciascuna delle parti ascolta le ragioni dell’altra e propone delle soluzioni che tengano conto del diritto internazionale, ma anche in grado di creare delle formule in grado di bilanciare le necessità di entrambe le parti. E questa la ritengo la via più flessibile rispetto al ricorso alla Corte di giustizia o a un arbitrato».

 

 

 

(la prima pagina de Il Piccolo del 14 gennaio)

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