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06 mar – Il discorso di Fini alla stele di Norma Cossetto

Per gentile concessione del Centro di Documentazione Multimediale della Cultura Giuliana Istriana Fiumana e Dalmata (www.arcipelagoadriatico.it), pubblichiamo il testo integrale, corredato da alcune foto, del discorso del Presidente della Camera dei Deputati Gianfranco Fini in occasione dello scoprimento il 21 febbraio a Trieste della stele dedicata a Norma Cossetto. Fini si rivolge a Licia Cossetto, sorella della martire e presente alla cerimonia.

 

Cara Licia,
permettimi di chiamarti così, anche per l'affetto che mi hai sempre dimostrato, e te ne sono grato, e permettimi di rivolgermi a te, simbolo del sacrificio, della sofferenza, della tragedia di tante, tante, tante famiglie italiane.

A te, a nome di tutti i 630 deputati della Camera, a te che rappresenti in questa bella cerimonia (ringrazio il sindaco per averla voluta e per le belle parole che ha pronunciato) il sentimento di tantissime donne e di tantissimi uomini, qui a Trieste ed in tantissime parti d'Italia e del mondo, che nella loro personale memoria hanno la ferita che mai si rimarginerà, di un padre, di un fratello, di un caro, scomparso, barbaramente ucciso, in quella tragedia che fu la seconda guerra mondiale, e che qui al confine orientale divenne ancor più carica di pagine che non fanno onore all'umanità.

A te, a nome delle istituzioni, dico grazie, perché se oggi, dopo tanto, troppo, lungo silenzio le istituzioni sono consapevoli di quel sacrificio di Norma e di tanti altri. Se oggi finalmente le istituzioni dedicano una giornata apposita al ricordo, se finalmente nelle scuole si parla di quella pagina che qualcuno pensava strappata dalla memoria. Se, non soltanto qui in Italia ma in tante parti d'Europa si è consapevoli della necessità di scrivere la storia all'insegna della verità, una verità che non può avere buchi oscuri e tanto meno tragedie negate. Se oggi finalmente il lungo oblio è venuto meno e se oggi c'è la presenza di tutto ciò, diciamolo francamente: il merito non è delle istituzioni, il merito è tuo, delle associazioni, delle tante donne e dei tanti uomini che per tanti anni hanno osservato nel loro cuore il ricordo e hanno fatto quotidiana opera di divulgazione di una verità negata.

Credo di poter dire che il vostro impegno in questi anni ha fatto si che la vostra ideale battaglia fosse vinta.

Norma, e con lei i tanti infoibati, non scomparirà dalla memoria del nostro popolo. Se è vero quello che ha detto un grande poeta e cioè che “Si muore soltanto quando si perde il ricordo di una vita” se è vero che quei martiri non sono più soltanto il patrimonio ideale di alcune famiglie, ma il patrimonio ideale di un'intera nazione. Se è vero tutto ciò è indubbio che dopo tante sofferenze e dopo tanti sacrifici, per davvero ci sono le condizioni per voltare pagina.

Credo che in una fase storica in cui giustamente, ci si rivolge ai giovani, si parla di Europa, si cerca di archiviare quel novecento che è stato il secolo degli odi, delle guerre, se è vero tutto ciò è altrettanto vero che occorre farlo all'insegna di un'unica bandiera che è quella della verità.

Non ci può essere memoria condivisa senza verità condivisa, non ci può essere autentica pacificazione senza che tutti sottoscrivano quelle pagine di verità.

E se questo impegno nel corso degli anni si è tradotto soprattutto in Italia, in una faticosa azione, prima condotta da pochi poi sempre più supportata ha fatto si che finalmente si riscrivessero pagine di storia dimenticate, allora è altrettanto vero che bisogna continuare ad agire perché nessuno possa dire “non sapevo”, perché nessuno possa negare quelle verità, perché nessuno possa accampare ancora oggi giustificazioni che non hanno ragione di esistere.

Perché si è trattato di un crimine non soltanto nei confronti di donne e di uomini, ma di un crimine nei confronti dell'umanità.

Oggi che finalmente l'Italia conosce e ricorda, oggi che finalmente l'Italia commemora, credo vada alla parte delle istituzioni ricordato che accanto alla tragedia di chi fu assassinato, accanto al dolore di chi fu costretto a lasciare tutto quel che aveva, si unì, per la scarsa sensibilità degli anni successivi alla guerra, anche l'umiliazione di non sentirsi accolti dalla madre patria con quella considerazione che era doverosa nei confronti di quegli italiani che avevano messo a rischio tutto, vita compresa, pur di continuare a credere nel tricolore.

Tante volte nel passato quando ho avuto modo di parlare con te cara Licia, con tanti italiani che erano rimasti orgogliosamente tali, mi sono reso conto che al dolore che non poteva passare per quelle tragedie si univa una crescente indignazione nei confronti di un'Italia ufficiale che sembrava volgere gli occhi dall'altra parte. Non ha senso oggi chiedersi perché accadde, sappiamo che accadde.

Oggi, anche quel velo di ipocrisia è stato squarciato, la verità comincia a farsi strada, finalmente l'Italia comincia a rendersi conto di dovere delle scuse ad ognuno di voi per quella insensibilità, eppure c'è ancora qualcosa da fare, perché per davvero si concluda il lungo ciclo di quella tragedia, le istituzioni devono innanzi tutto riconoscere che chi perse tutto oggi certamente merita le scuse che ci sono state da parte delle istituzioni davanti a tanta insensibilità; Ma merita anche qualche cosa di più di quello che può apparire il pur doveroso indennizzo di tipo materiale.

Chi pensa di liquidare la diaspora, l'esodo, la tragedia, soltanto parlando di indennizzi, non ha ben chiaro che cosa c'è nel cuore di ognuno di voi e nel cuore di chi ha conosciuto quelle tragedie.

Occorre qualche cosa di più alto del riconoscimento di un danno provocato dalla guerra, occorre la consapevolezza, proprio perché terre venete, romane e quindi inevitabilmente italiane, proprio perché quelle terre erano e sono patrimonio della nostra identità nazionale, oggi che finalmente ci troviamo in un Europa che finalmente ha superato le barriere, che non accetta le discriminazioni, che combatte i nazionalismi deteriori perché finalmente siamo in questa nuova fase, bene quelle terre devono essere vivificate da una nuova stagione di italianità.

Credo che il modo migliore per onorare Norma e chi non c'è più, il modo migliore per rifondere non in termini materiali ma in termini culturali quello che ognuno di voi ha fatto e fa sia avvertire la necessità di riportare oggi in Europa, in quelle terre, che sono venete, che sono romane, che sono italiane, non il tricolore come simbolo della statualità, ma di riportare la nostra cultura, di riportare il vostro bel dialetto, di riportare in qualche modo le pagine della memoria patria.

E la grande azione di tipo culturale che va fatta proprio perché non vengano sradicate quelle identità, oggi è possibile farlo, non con uno spirito aggressivo nei confronti dei paesi che si sono formati dopo la dissoluzione della Ex Jugoslavia, ma con uno spirito che sia teso ad evidenziare quelle che sono le identità culturali.

La cosa che più mi colpì quando tanti anni fa presi visione del dramma di quelle famiglie fu il fatto che molti tra coloro che se ne andarono si portavano dietro persino la targa della strada di dove abitavano, proprio per rimarcare che mai e poi mai avrebbero perso il senso di appartenenza ad una comunità: quella delle proprie radici, ed è la cosa che più ha colpito chi non è più tornato in quei posti è stato il tentavo che c'è stato per una lunga stagione della Jugoslavia, di sradicare un'identità.

Perché l'Europa oggi è una grande identità: perché l'Europa è tale soltanto se rispetta le identità dei popoli, e se lo fa in uno spirito di concordia, in uno spirito di reciproco riconoscimento.

E' la storia amici miei, che fa sì che quelle vostre terre siano in qualche modo terre idealmente legate ad una madrepatria che si chiama Italia. Non lo sono più in termini statuali, lo rimarranno sempre in termini culturali e in termini di tipo storico.

Infine, spero che quanto prima le nostre autorità provvedano a fare quel che hanno detto di voler fare, mi riferisco ad una piccola vicenda di cui ho avuto modo altre volte di parlare, che so però ha un grande valore simbolico.

Chi è nato a Pola, a Fiume, in Dalmazia, non credo che nel momento in cui apre la carta d'identità e trova scritto nazionalità ex jugoslava, non avverta un forte senso di ulteriore ingiustizia ed incomprensione. Qualche giorno fa, sollecitato in tal senso dalle associazioni, ho chiesto alle autorità competenti di correggere; Sarà responsabilità della burocrazia, sarà insensibilità, la risposta che mi è stata data è stata positiva, mi auguro che per davvero quanto prima si possa dar corso immagino attraverso opportune direttive, dalle Prefetture agli anagrafi perché ci sia scritto Pola, Fiume, Dalmazia….”Italia”, perché quando nacquero in quelle città era territorio italiano, oggi non più, oggi è Europa, ma sicuramente è un piccolo gesto, non riparatorio ma teso ad affermare una verità.

E allora cara Licia concludo, oggi rivolgendomi a te idealmente, mi rivolgo a tutti, ai troppi che non hanno avuto in dono dal signore di vivere il momento che tu stai vivendo.

Di tanti che hanno chiuso gli occhi lontani dalle terre in cui erano nati senza che per loro ci fosse ne l'alba della verità ne in alcuni casi la speranza di una verità finalmente da tutti riconosciuta.

Anche a loro, oltre a chi fu infoibato credo che debba andare memore il nostro ricordo ed ancora più forte il nostro impegno perché i giovani sappiano e perché quelle pagine davvero non vengano mai più scritte, perché la storia insegna sempre qualche cosa, e la storia qui al confine orientale ha certamente insegnato che l'uomo può raggiungere dei livelli di infamia e di barbarie senza eguali.

Chi ha conosciuto sulla propria pelle le ferite della storia credo che debba avvertire con grande determinazione di dire alto e forte “ricordare” ma soprattutto di dire alto e forte “perché non accada mai più” perché tutti i popoli, con le loro identità, orgogliosi delle loro identità possono essere finalmente fratelli, nel nome non soltanto dei valori della umanità, ma anche nel nome dei valori della nostra bella Italia.

Gianfranco Fini
Presidente della Camera dei Deputati

 

 

 

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