da Il Piccolo del 6 dicembre 2009
Dodici immagini realizzate nei primi anni del secolo scorso dal commerciante triestino Arturo Benussi in regalo con ”Il Piccolo”. Da mercoledì 9 dicembre, e poi per 12 settimane, nelle edicole di Trieste e della provincia arriveranno le fotografie stampate con grande accuratezza in quadricromia per rispettare quanto il fotografo aveva visto e dipinto sulla lastra. L’iniziativa è realizzata grazie al contributo del Credito Cooperativo del Carso-Zkb presieduto da Sergio Stancich, direttore generale Alessandro Podobnik.
di CLAUDIO ERNÈ
Era un ”irregolare” della fotografia Arturo Benussi, il commerciante triestino che ha lasciato in eredità a tutti noi un "corpus" di 340 lastre stereoscopiche, colorate a mano e scattate negli anni a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento. Oggi grazie a questo fotografo dilettante si può rivedere in technicolor la Trieste imperiale che fu di Francesco Giuseppe.
Arturo Benussi era un ”irregolare” come il nobiluomo friulano Enrico del Torso, come il giudice zaratino Arturo Giacomelli e come i più noti conti Giuseppe e Luigi Primoli, tutti fotografi di spessore e di grandi capacità. Nonostante le prove fornite sul campo ancora oggi questi amateur, questi dilettanti, vengono definiti dagli storici dell’immagine ”irregolari” per distinguerli dai professionisti che con gli obiettivi, le lastre e le stampe su carta, coniugavano il reddito con la fama. Gli ”irregolari” invece erano liberi dai condizionamenti commerciali degli atelier, dalla dipendenza di un committente che si rivolgeva ai fotografi per questo o quel servizio e in qualche modo ne condizionava l’esito e la realizzazione. Benussi, al contrario non incassava un soldo e spendeva a piene mani il suo denaro per realizzare queste fotografie stereoscopiche colorate a mano. Una rarità anche per l’epoca, una chicca che emoziona ancora oggi.
Arturo Benussi, come Enrico del Torso e Arturo Giacomelli, fotografava solo per passione, per rappresentare il proprio mondo familiare, la città in cui viveva, l’attività economica del porto e dei cantieri. Puntava il suo obiettivo su ciò che lo emozionava e che riteneva degno di essere tramandato. Nelel sue lastre sono così entrate persone comuni, occupate in gesti quotidiani: contadini che vendono sulla banchine del porto gli ortaggi e la frutta portata dall’Istria: passeggeri di vaporetti, col cilindro sul capo e lo sguardo fisso su un punto lontanissimo, uomini in divisa nell’atrio semideserto dalla stazione che fu della Ferrovia meridionale.
Le immagini a colori e stereoscopiche scattate da Arturo Benussi a Trieste sono, una più, una meno, circa sessanta. Un paio sono state realizzate a Sistiana – mare, sulla spiaggia adiacente l'albergo di lusso frequentato negli anni della Bella epoque da aristocratici asburgici e oggi ridotto a un pietoso rudere; altre foto stereoscopiche sono state scattate a Grado, all'epoca ancora un'isola, raggiungibile solo per mare; altre ancora in Friuli e a Cortina d'Ampezzo.
Dello stesso corpus sopravvissuto a due guerre mondiali fanno parte una serie di foto realizzate, sempre nei primi anni dello scorso secolo in Istria, Dalmazia, Bosnia e Lubiana. Notevoli per valore storico quelle degli interni e degli esterni della sinagoga di Sarajevo, più volte invasa, distrutta, ridotta a magazzino e infine riedificata. Un simbolo del 900 e della tragedia che l’hanno attraversato.
Tutte le immagini a colori di Arturo Benussi sono inedite. Mai stampate su libri o giornali, mai esposte in mostre o rassegne di cui si abbia memoria. Per decenni sono rimaste sepolte nelle loro scatole, all’interno di un cassetto dell’abitazione della famiglia. Solo di recente la loro importanza storica è stata compresa appieno e gli eredi hanno deciso che dovevano essere mostrate e possibilmente diffuse. «Mi hanno regalato un’emozione grandissima e credo che questa emozione debba essere trasmessa anche ad altri» ha più volte affermato la nipote Paola che punta a realizzare una mostra e un volume sull’attività fotografica del suo lontano parente.
Il lavoro di Arturo Benussi è caratterizzato da un'estrema cura per la rappresentazione: per questo aveva scelto la stereoscopia che restituisce attraverso un semplice visore – simile nel funzionamento al View – master degli Anni Cinquanta – una visione tridimensionale della realtà. Per questo ansia di rappresentazione totale aveva anche dipinto o fatto dipingere le sue immagini con colori trasparenti all'anilina. In sintesi aveva creato delle diapositive a colori prima che le case fotografiche Lumiere, Agfa, Richard o Cappelli-Ferrania, introducessero sul mercato emulsioni di questo tipo.
Arturo Benussi ci ha così offerto la possibilità di vedere oggi per la prima volta a colori un mondo scomparso che finora è stato rappresentato sui libri solo in bianco e nero o virato in seppia. Era meticoloso nella scelta dei soggetti ma soprattutto curioso per la vita di ogni giorno, spesso dimenticata – come dicevamo – dai fotografi professionisti dell'epoca. Ha fotografato la gente e i banchi dei mercati, vari di piroscafi, l'attracco di scialuppe, bagnanti, velieri ormeggiati nel Canale, davanti alla chiesa di Sant'Antonio. Si potrebbe continuare, ma per capire lo spirito che animava Arturo Benussi si deve ricordare che il protagonista di questa storia era un buon amico di pittori famosi nella Trieste di Svevo come Arturo Rietti ed Eugenio Scomparini. Lui si era cimentato con i pennelli e i colori ma il risultato finale non lo aveva soddisfatto. Per questo aveva scelto la macchina fotografica, uno strumento il cui uso in quegli anni era stato facilitato dalla gelatina al bromuro d’argento, dagli obiettivi più luminosi e dalla attrezzature meno ingombranti. Stava nascendo la fotografia che di lì a poco sarebbe divenuta un fenomeno di massa e lui – Arturo – lo aveva capito in anticipo. Da irregolare.