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04 mar – Lacota caccia Pahor, sfiorata la rissa

È finita a pulsazioni fuori scala e buone maniere messe da parte. Con la Digos a scortare Samo Pahor fuori dalla Stazione marittima. Un epilogo inatteso, ad alta tensione, per la lunga conferenza pubblica convocata ieri pomeriggio dall’Unione degli Istriani, che per voce del suo presidente Massimiliano Lacota ha ricostruito, con il supporto di proiezioni foto e video, la propria versione dei fatti di Corgnale (Lokev), dove sabato una delegazione di esuli in pellegrinaggio al precipizio di Golobivnica è stata bloccata da una contromanifestazione a tinte titin-partigiane, con tanto di bandierone italiano con stella rossa in mezzo.

Prima di quell’ultimo atto, quasi 200 persone hanno ascoltato un duro intervento di Lacota – che ha riferito anche di aver già inviato una lettera al Capo dello Stato sloveno, Danilo Turk – nei confronti della minoranza e di «una sottile operazione per riaccendere il nazionalismo contro una presunta provocazione fascista, perché è così che la stampa d’oltreconfine ha bollato il nostro omaggio». «Se qualcuno pensava di far paura a quattro istriani si è proprio sbagliato», ha tuonato il numero uno dell’associazione. Che ha subito rilanciato un secondo pellegrinaggio: «Tale manifestazione non si è svolta secondo le nostre previsioni e quindi è sospesa, solo temporaneamente. Ripeteremo la commemorazione nella prima decade di maggio, che coincide con l’occupazione e le deportazioni del ’45. Non la faremo il primo maggio, perché non siamo né provocatori, né intimidatori. Stavolta però – ha proseguito Lacota – dev’esserci il permesso di svolgere una commemorazione serena. Per questo, oltre che a Frattini e ad altre autorità, ho scritto anche a Turk, per chiedergli che la Slovenia rispetti la reciprocità dei diritti a manifestare. Non mi risulta, infatti, che quando vengono onorati i fucilati di Basovizza del Tigr spuntino controiniziative che lo impediscono. Quello che è successo a Corgnale è una vergogna». Anche se «dobbiamo chiederci se quelli che ci hanno impedito di proseguire siano gli abitanti di Lokev, gli stessi che accolgono nel week-end i triestini nelle trattorie, o se questa cosa è stata architettata da qualcuno di là e di qua del confine».

Ecco che i propositi dell’Unione degli Istriani, in vista del bis di maggio, si spingono oltre. «Inviteremo – così ancora Lacota – il sindaco Dipiazza, il suo omonimo di Sesana Tercon e anche la minoranza slovena d’Italia, affinché si possa verificare se c’è effettivamente la volontà di procedere fino in fondo verso questa memoria condivisa. Prendiamo atto delle dichiarazioni della senatrice Tamara Blazina, ma non basta. Ci vuole una netta condanna dei contromanifestanti, come ha fatto il Consiglio comunale ad eccezione di Furlanic di Rifondazione. Spiace perché è una persona giovane, non è un segnale incoraggiante. Ricordo poi che il segretario dell’Unione slovena Mocnik dice che Napolitano premia ogni anno figli e nipoti di criminali di guerra. Ma dovrebbe vergognarsi. Se la minoranza non prende le distanze dobbiamo constatare che c’è una rinnovata ostilità pronta a riemergere non appena vengono toccati certi temi».

Alle parole di Lacota sono seguite quelle del consigliere di An Andrea Pellarini, sangue capodistriano, che per l’occasione s’è messo un tricolore al collo. Alla fine, il colpo di scena. Samo Pahor che guadagna posizioni e alza la mano, mentre si levano i primi fischi. «Non posso darle la parola – la replica dello stesso Lacota – perché abbiamo detto che parlano le autorità e lei non è un’autorità. E poi lei ha partecipato alla contromanifestazione che ha bloccato il nostro omaggio… Esca». Pan per focaccia. «Non me ne vado», ha insistito il leader di Edinost, che prima ha chiesto un intervento ai poliziotti presenti e poi ha evocato il ricorso ai carabinieri. Attorno a lui c’era chi gli urlava «in quelle foibe ho perso due cari!», e via con gli insulti. Diversi partecipanti alla conferenza, fra i quali alcuni esponenti di estrema destra, hanno iniziato a marcarlo stretto. E così Pahor se n’è andato con la Digos, tradendo nervosismo con i giornalisti che avrebbero voluto chiedergli quale discorso avesse immaginato di fare davanti a quella platea.

Piero Rauber sul Il Piccolo del 4 marzo

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