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02 nov – ”Trst je nas” è ancora un nervo scoperto

L'intervento di Bruno Minciotti su Il Piccolo del 2 novembre 2009

A pagina 40 del fascicolo commemorativo per i 120 anni di vita del “Piccolo” ci sono due titoli. Quello piccolo, in alto, dice: “Trst je nas, Trieste è nostra”. Il titolone al centro della pagina ha come occhiello ”La città il 30 aprile ’45 insorge, dall’altopiano calano i titini, poi arrivano i neozelandesi.”. Il titolo recita “Due eserciti per Trieste” e sotto c’è il sommario: “Coprifuoco per 19 ore, nella notte migliaia di prelevati”. Nelle prime bozze i titoli erano rovesciati, e lo slogan dei soldati con la titoka, la stella rossa, sul berretto doveva essere quello principale. In tipografia un anziano operatore mi avvicinò con titubanza, si sa, ero un “esterno”, e con deferente decisione, mi propose l’inversione. “Vede – mi disse -, così grande disturba, è troppo doloroso, se proprio deve metterlo è meglio che sia più piccolo”. Gli ho dato retta.

Ero venuto a Trieste chiamato dal direttore Alberto Statera per confezionare il fascicolo celebrativo. Un mese di tempo, ma di scritto c’era soltanto una traccia scritta da una firma storica del giornale, Lino Carpinteri. Utilissima, ma ben misera cosa per riempire 68 pagine. Per due giorni lessi attentamente una “Storia di Trieste”. Una goccia nel mare d’ignoranza di un genovese emigrato in Veneto che in città c’era venuto qualche volta a mangiare la “Jota” del mitico Suban o i pesci di Scabar in Erta Sant’Anna. Poi scoccò la scintilla: evidenziare anno per anno i grandi eventi di vita della città e poi leggerli nella collezione del “Piccolo”, per poi condensarli e riassumerli. Un’idea brillante, che mi tolse dai guai e mi immerse nel mondo della “triestinità”. C’è da dire che la linea editoriale data al giornale da un genio del giornalismo come Teodoro Mayer mi facilitò enormemente il compito.

E’ stato un viaggio affascinante. Fatti grandiosi, emozionanti e coinvolgenti. Il colmo della commozione l’ho raggiunto però nel leggere i pezzi di Mario Granbassi, il giornalista che nel 1943 scoprì il massacro delle foibe. Meticolose corrispondenze dall’Istria, documenti storici di grande interesse, un’indagine precisa sul disegno efferato di annullare la presenza italiana sul territorio. Una pulizia etnica che anche negli ultimi decenni sembra essere una specialità ex jugoslava, culminata allora nello straziante esodo. Poi, i 42 giorni si passione, dal 1 maggio al 12 giugno 1945. I giorni delle “rughe”, le file indiane di soldati rasenti i muri come i bruchi, che dalle 15 alle 10 del mattino successivo erano le uniche forme di vita nelle strade. Più che di vita, di morte. Elenchi alla mano, casa per casa, 4768 nomi, 2210 a Trieste, 1560 a Gorizia, 998 a Pola. Tutti scomparsi, come documentano le schede raccolte in uno schedario d’acciaio nella sede del Governo Militare Alleato. Le ultime foibe, quelle di “Trst je nas”.

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