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02 lug – Gian Antonio Stella: la ferita ancora aperta

Editoriale di Gian Antonio Stella
Corriere della Sera Magazine del 2 luglio 2009

Il signor Romano Cramer ha denunciato la Asl di Milano perché lo ha pugnalato. Direte che non è possibile. Che negli ospedali e nei laboratori le persone vengono curate, sia pure non sempre col massimo della dedizione e della perizia, e non ferite. Ma Cramer ha ragione: l’azienda sanitaria gli ha conficcato, burocraticamente, un coltello nel cuore.

Tutto è nato dalla richiesta di un certificato di invalidità civile. Richiesta accolta, invalidità riconosciuta. Sul documento però, denuncia Cramer, “il mio luogo di nascita era indicato genericamente quale Croazia (estera)”. Ma come, si è inalberato: se sono nato nel luglio del 1946 ad Albona, in quella che allora era ancora la provincia di Pola! Come osa un ufficio pubblico italiano non riconoscere l’italianità secolare di Pola?

A molti italiani del tutto ignari della storia, quelli che chiamano Fiume col nome slavo di Rijeka e Lussinpiccolo col nome di Lami Losinj e Cittanova col nome di Novigrad, come fa perfino qualche guida turistica di case editrice irrispettose del passato, il dettaglio sembrerà secondario. Cosa può mai imporre a una persona se sulle sue carte sta scritto “nato in Croazia” o “nato in Slovenia” se oggi i luoghi  in cui venne al mondo sono effettivamente in territorio sloveno o croato?
invece Romano Cramer ha ragione. Lo dice la legge 54 che nel febbraio 1989 chiuse la questione specificando subito, all’articolo 1, che “tutte le Amministrazioni dello Stato, parastato, degli enti locali e qualsiasi altro ufficio o ente, nel rilasciare attestazioni, dichiarazioni, documenti in genere a cittadini italiani nati in comuni già sotto la sovranità italiana e oggi compresi nei territori ceduti ad altri Stati, ai sensi del trattato di pace con le potenze alleate e associate, quando deve essere indicato il luogo di nascita dell’interessato, hanno l’obbligo di riportare unicamente il nome italiano del comune senza alcun riferimento allo Stato cui attualmente appartiene”. Punto e fine.

C’è tuttavia qualcosa di ancora più importante della legge: il rispetto per il passato. Non c’è più Tito, non c’è più il comunismo, non c’è più la Jugoslavia che nacque scatenando contro gli italiani una sanguinosa pulizia etnica. Siamo in Europa e vogliamo recuperare tutte le ragioni per stare insieme e sentirci fratelli. Ma la storia è storia. E il rispetto per il dolore di chi ha patito la cacciata dalla sua patria passa anche attraverso il rispetto di una piccola regola burocratica.

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