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01 giu – Essere Esuli oggi: il dibattito conclusivo

L’ultimo appuntamento della tavola rotonda dal tema  “Essere esuli oggi” ha avuto luogo nei giorni scorsi a Trieste, nella sede dell’Associazione delle Comunità istriane. Protagonisti dell’incontro ideato ed organizzato da Carmen Palazzolo Debianchi, Antonella Pocecco, ricercatore di Sociologia dei Processi Culturali Comunicativi presso l’Università degli Studi di Udine, il dottor. Massimo Pontiggia di Milano ed il prof. Stelio Spadaro di Trieste.

Nell'occasione il fenomeno dell’esodo è stato visto da prospettive storiche, sociologiche ed antropologiche.  Pocecco ha esaminato in particolare le dinamiche e le problematiche collegate alla memoria collettiva e alla formazione dell'identità degli esuli oggi residenti negli Stati Uniti, in Canada ed in Argentina. “Per la prima generazione l’esodo è avvenuto “ieri” ed è ancora un racconto dettagliato, gravido di forti emozioni, sempre vivo nel quotidiano – ha affermato Pocecco –  Per la seconda generazione, che presenta una maggiore razionalità interpretativa, l’esodo è avvenuto “l’altro ieri”. La seconda generazione canadese –  ha specificato – ha imparato il dialetto come fosse l’italiano ed è desiderosa di conoscere la storia della propria famiglia. La terza generazione risulta invece disposta ad uno sforzo per definire la propria identità e le proprie radici, manifestando una sublimazione universalizzante che costituisce un salto qualitativo che rende universale l’esperienza dell’esodo. Questa volontà dei più giovani al di fuor del territorio nazionale –  ha concluso – dove l’identità giuliano-dalmata significa anche identità italiana, determina che l’essere giuliani, istriani e dalmati non implica chiusure e rancori, ma è piuttosto motivo d’orgoglio e d’identità individuale e nazionale”.

L’antropologo Stefano Pontiggia, che si è incentrato su altri aspetti connessi all'esperienza dell'esodo, ha  sottolineato che l’operato delle associazioni triestine per tramandare queste memorie alle future generazioni è caratterizzato da una sorta di processo di unificazione del ricordo, rappresentato dalla produzione di testi e libri a carattere storico in cui si manifesta con forza soprattutto l'aspetto morale della questione. Predominano i temi della pulizia etnica, delle violenze, del genocidio, del popolo sradicato da una terra considerata in via di estinzione, come quelli della nostalgia e della rabbia nei confronti delle istituzioni italiane per la non adeguata trattazione della contesa sui beni espropriati. All’interno delle associazioni, i dirigenti ribadiscono l’orgoglio della scelta di chi ha voluto abbandonare l’Istria, Fiume e la Dalmazia ed è fuggito nella patria italiana, chiedendo il riconoscimento dell’esperienza dell’esodo. Tra gli esuli che non fanno parte delle associazioni, si è  verificata tutt’altra tendenza che si sostanzia nel considerare l’esodo come una parte importante della propria biografia personale, unita alla volontà di guardare avanti, senza per forza “impelagarsi” nelle differenze tra le varie associazioni. Costoro desiderano soprattutto di poter risolvere una volta per tutte le questioni aperte per chiudere per sempre la loro vicenda.

Stelio Spadaro ha sottolineato il bisogno di concentrarsi sulla “memoria senza rancore”, che implica maggiore lucidità ed il rispetto per le memorie e la storia degli altri. È necessario capire le vicende della Zona B, che smentiscono le interpretazioni ufficiali dell’esodo date dalla Jugoslavia che giustificava questo grande spostamento di massa come un fenomeno legato alle violenze della guerra. Dalla Zona B hanno scelto l’esilio tutti gli italiani, tra il ’54 ed il ’57, cioè oltre dieci anni dopo la fine della guerra. La Zona B era un territorio abitato da gente di lingua e cultura italiana ed istriana, esiliata in maniera sistematica. Questa storia ha evidenziato, secondo Spadaro,  la necessità di abbandonare il carattere corporativo che ancora possiede per essere portata a livello nazionale. E’ necessario, ha sottolineato Spadaro, intraprendere un’opera unitaria che coinvolga tutta la zona adriatica, da Grado fino alle Bocche di Cattaro, per raccogliere tutte le esperienze storiche, culturali e civili.

Nel dibattito che ha seguito le relazioni, si è discusso sulla possibilità del ritorno, sostenendo la tesi che l’esule che non vuole rimanere esule, ma vuol tornare nelle sue terre. Però, il luogo di partenza non è più quello di una volta ed il ricordo della violenza subita potrebbe rappresentare un ostacolo, e non uno stimolo, per gli esuli della prima generazione. È invece possibile, forse, il ritorno delle terze generazioni che non conoscono le città come erano in passato, ma guardano al futuro. In questo caso, non sarebbe un ritorno, ma un nuovo inizio.

È stato proposto di insistere sull’insegnamento della storia nelle scuole, di modo che i fatti, per come sono avvenuti, vengano conosciuti e anche  che nei Tavoli di concertazione con il Governo non venga chiesta solamente la soluzione del problema dei beni abbandonati, ma l’elaborazione di una politica adriatica, inquadrata in una più larga ottica europea. “È necessario, infine – ha concluso Carmen Palazzolo Debianchi- superare la frattura determinata dall’esodo per ritrovare una più ampia identità regionale e storica”.

Daria Garbin su www.arcipelagoadriatico.it

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