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Storia pittoresca di Ponte e Cassione (Voce del Popolo 27 mar)

di Mario Schiavato

La storia di una località pittoresca dell’isola di Veglia e di un isolotto molto particolare

Ponte e il monastero di Cassione

Quello che ci impressionò maggiormente mentre percorrevamo la strada prima di entrare nel paese di Punat (Ponte) furono le migliaia di gabbiani bianchi che punteggiavano l’azzurro di quel mare quieto che divide il paese dalla vicina isola di Košljun (Cassione) e soprattutto il grande marina, che per molti anni è stato il più grande dell’Adriatico, con ospiti che giungono per lo più dall’Austria, dalla Germania, dall’Italia e dalla Slovenia e ai quali, oltre all’ormeggio lungo i molti moli, all’occorrenza viene offerto anche il rimessaggio in terra, inclusi tutti i servizi di manutenzione. Sulla riva, invece, ci stupirono i moltissimi pescherecci, per un’attività che, con l’olivicoltura e la pastorizia, nel piccolo paese ha ormai una tradizione secolare. Naturalmente, oggi anche il turismo ha una sua rilevanza.

Era glaciale e meteoriti

Non è che Punat abbia una storia particolarmente interessante. Qui troviamo le solite tracce di insediamenti di Illiri dapprima, poi di Greci e di Romani. Il nome sembra derivi da Pons, cioè ponte, in quanto si ritiene che una volta la baia, la cosiddetta Puntarska Draga, nel suo punto più stretto fosse attraversata appunto da un ponte di legno che permetteva agli abitanti contadini di raggiungere i loro possedimenti al di là della baia marina e anche per raggiungere con maggior facilità, accorciando il percorso, la città di Veglia.
Il nome di Punat per la prima volta viene trovato su documenti dell’anno 1377. Però c’è da dire che sull’origine di questo singolare posto e soprattutto della vasta baia sulla quale è affacciato, esistono degli interessanti racconti e anche delle supposizioni scientifiche. Secondo alcuni e in base a determinati movimenti geomagnetici, si ritiene che qui si sia abbattuto un meteorite che ha dato la forma al rilievo circostante. Un altro fatto più certo è che l’Adriatico settentrionale ha ricevuto la forma odierna alla fine dell’ultima era glaciale (16.000 anni fa). Quando il livello del mare si è sollevato di 60-100 metri, dato che la baia di Punat è molto bassa, si presume che in quell’epoca l’acqua, attraverso uno stretto, abbia invaso una vasta dolina carsica.

La leggenda di Cassione

Naturalmente a questa supposizione il popolo ha aggiunto una sua leggenda, anche per indicare la probabile nascita dell’isolotto di Košljun. Secondo quanto raccontano i vecchi abitanti, prima che la baia venisse allagata dalle acque del mare qui si trovavano dei campi che appartenevano a due fratelli, di cui uno era cieco. Assieme lavoravano questa terra che era molto fertile, ricca di campi di grano e di vigneti. Arrivati al raccolto, però, al fratello cieco non venne dato il giusto compenso. Il Signore dall’alto dei cieli si arrabbiò a tal punto che allagò tutti i campi ad eccezione del possedimento e della casa del povero cieco, cioè dell’attuale isolotto di Košljun (Cassione).
A prescindere dalle varie supposizioni e leggende, la prima traccia archeologica sull’isolotto risale all’epoca romana. Qui si trovava una specie di castello fortificato che apparteneva a un ricco cittadino di Curictum (Veglia). Ce lo confermano le lapidi sepolcrali qui trovate che oggi si conservano nel piccolo lapidario del convento.

I quattro secoli dei benedettini

Il cristianesimo prese piede molto presto sull’isola di Veglia. La cattedrale venne costruita già nel V secolo e si suppone che a quell’epoca l’isolotto fosse dedicato a chi cercava di vivere una sua vita ritirata, ideale cioè per gli eremiti. Tra gli altri vi trovarono rifugio i discepoli dei Santi Cirillo e Metodio in fuga, i quali ben presto accettarono le regole di San Benedetto ma in seguito a questa loro numerosa presenza, i benedettini passarono dalla scrittura latina a quella glagolitica. Ad ogni modo, fino al XII secolo non si hanno dei documenti che registrino delle costruzioni, per cui c’è da supporre che il primo convento abbia occupato i resti dell’antico castello di epoca romana.
I benedettini rimasero a Košljun per quasi quattrocento anni e costruirono la chiesa dedicata dell’Assunzione di Maria, i cui resti sono venuti alla luce nel 1991 durante i lavori di ristrutturazione della chiesa attuale. Trascorrevano il loro tempo seguendo il loro motto: “Ora et labora”, dedicandosi soprattutto in rigoroso silenzio alla copiatura di libri liturgici. Uno di questi di grande valore è il Glagolitica Clozianus, di oltre 500 pagine, compilato nell’XI secolo. Di proprietà di Ivan Frankopan, era ornato di fregi d’oro e d’argento e si riteneva che contenesse l’autografo di San Girolamo. Purtroppo alla sua morte l’opera venne divisa in pezzi e venduta. Solo 14 fogli sono stati ritrovati nella biblioteca del conte tirolese Clozius, da cui appunto il nome. Un altro codice che invece si è conservato, risale al XIV secolo. Scritto in caratteri gotici ora viene custodito nella Biblioteca universitaria di Zagabria. Degli altri, pur preziosi e numerosi, non è rimasta traccia.

La lettera a papa Nicolò V

Nel XV secolo l’abbazia benedettina si vuotò. L’ultimo ad abitarla fu l’abate Dominik. Non si sa esattamente quando questo monaco sia morto, ma si ritiene possa essere nell’anno 1437 poiché il 16 maggio il papa al suo posto nominò il sacerdote veneziano Lorenzo Michaelis. Sotto di lui l’abbazia decadde definitivamente tanto che dieci anni dopo, i fratelli Martin e Ivan Frankopan scrissero una lettera al papa Nicolò V lamentandosi che il convento era vuoto e che la terra era passata in mano laica, perciò di loro iniziativa vi avevano mandato due francescani del convento di Veglia affinché curassero il possedimento. Nella lettera i due fratelli richiesero pure che l’ordine benedettino venisse sciolto e che l’isolotto fosse assegnato ai francescani. E fu così che con una bolla dell’allora vescovo Francesco di Veglia l’abbazia benedettina venne definitivamente chiusa e Košljun dato ai seguaci di San Francesco.

L’arrivo dei francescani

Una volta arrivati sull’isolotto i francescani dovettero rinnovare la chiesa e il convento, ridotti ormai in uno stato di completo abbandono. Questi religiosi erano molto più aperti dei loro predecessori. Lavoravano anche terre sulla costa, pregavano, predicavano per tutta l’isola di Veglia e ben presto riuscirono a conquistarsi la simpatia di tutti. Citiamo da una guida dell’inizio dello scorso secolo: “Sostenevano il popolo ed erano parte del popolo e per poter aiutare i poveri, come pure i veglioti laboriosi ma sfortunati, fondarono una specie di istituto finanziario, le cosiddette ‘posujice’, cioè i prestiti, le cui cifre dai meno abbienti molto spesso non venivano neppure restituite né reclamate”.
I primi lavori di rinnovamento dell’ex abbazia benedettina iniziarono grazie all’aiuto dei fratelli Martin e Ivan Frankopan già ricordati. Ben presto, però, tra i due nacquero dei contrasti. Il più giovane Ivan nel 1451, con l’aiuto di Venezia, prese possesso di tutta l’isola di Veglia. Qui vi regnò per 29 anni lasciando un segno tangibile: fece numerose donazioni a edifici sacri, ripopolò alcune parti deserte dell’isola, fece progredire l’olivicoltura e la pastorizia, edificò numerosi edifici ma si fece anche molti nemici, tanto che nel 1480 fu costretto ad abbandonare Veglia. Si rifugiò a Venezia, ma il Senato proibì il suo ritorno. Morì sul confine croato-ungherese nel marzo del 1486. Poiché alla fine dei suoi giorni non scrisse un nuovo testamento, fu ritenuto valido quello compilato a favore della Repubblica di Venezia, la quale con la donazione di 1000 ducati al convento di Košljun permise l’edificazione della nuova chiesa, edificio che venne portato a termine grazie a una seconda donazione di altri 1000 ducati da parte della figlia di Ivan Frankopan, Maria Caterina. La chiesa in stile neogotico venne inaugurata il 14 ottobre 1523 (come appare nella scritta sulla facciata) e consacrata all’Annunciazione di Maria.

L’incursione degli Arditi di Gabriele D’Annunzio

Per quanto concerne l’isolotto di Košljun ci sarebbero ancora alcune curiosità da ricordare. Ad esempio il nome: nei documenti lo troviamo così scritto: nel 1481 Castillo, Castello, Castigion; nel 1504 Camglion; nel 1520: Castello, Cassino, Cursion, Corsin tutte denominazioni derivanti da castellum. Gli abitanti di Punat e gli altri abitanti dell’isola di Veglia però lo chiamano semplicemente Mostir, cioè una derivazione di monasterium, monastero.
Poi ci sarebbe da ricordare il grande quadro che adorna l’arco della chiesa. È il più grande esistente in Croazia largo 9,7 metri e alto 4,2. Presenta 186 personaggi dell’oltretomba cristiano. Venne regalato nel 1654 dal provveditore veneziano Nicola Dandolo ed è opera del pittore Francesco Ughetti.
Un’ultima piuttosto brutta faccenda è l’assalto subito dall’isolotto di Košljun il 27 dicembre del 1920 da parte degli arditi di Gabriele D’Annunzio, che erano in cerca di tesori. In quell’occasione i monaci vennero maltrattati e bastonati proprio perché non vollero rivelare dove fossero custoditi gli oggetti sacri di valore.

 

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