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La storia (non) perdona (Voce del Popolo 19 ago)

Vergarolla, 18 agosto 1946. La data è tristemente entrata nella storia: settanta persone persero la vita e un centinaio riportò ferite fisiche. La città intera riportò squarci nell’anima. Una strage. Non in tempo di guerra. Non sul campo di battaglia. Al mare. Su una spiaggia soleggiata in un afoso primo pomeriggio agostano. La data e i dati sono noti. Ci sarebbe stata, in quella domenica, la gara natatoria organizzata dalla “Pietas Julia”, la Coppa Scarioni. Poi la deflagrazione. Poi si seppe che le mine esplose erano 28. Poi che i morti furono… e che i feriti furono… che ci sarebbe dovuto essere anche… ma che per caso…

Poi si disse delle parole di Msgr. Radossi. Poi ancora dei funerali e della lunga colonna di autocarri con poveri resti. Si disse dell’eroismo del dottor Micheletti. Si disse che le valige chiuse furono, in poco tempo, tante. E ci si incominciò a chiedere incidente? Attentato? Perché incidente se le mine erano disinnescate? Perché attentato se la guerra era finita?

Per tutto questo tempo, c’è chi disse e dice “caso”, e c’è chi disse e dice “strategia del terrore”.

Bella cosa la storia: non permette l’oblio. Brutta cosa la storia: più il tempo passa e più le emozioni impallidiscono.

Chi ricorda Vergarolla? Le famiglie che ci sono passate. I discendenti. Ma è un dolore perlopiù privato laddove dovrebbe essere collettivo. E gridato. Spesso la decorosa memoria diventa polvere che con il tempo non si riesce a soffiare via.

Ultimamente, tra le carte degli archivi di Londra, è spuntato un nome, ad avvalorare la tesi dell’attentato: Giuseppe Kovacich, fiumano.

La verità? Una “nuova verità”? Il niente? E chi lo sa?

Le ferite che non si curano, sanguinano e si infettano. La verità. Ecco, la verità è un’ottima cura. La ferita lentamente si rimargina: lascia il segno, ma è più facile da sopportare. (Ro)

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