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Volcic all’ANVGD: in Europa ancora tanti muri (Il Piccolo 19 nov)

di MAURO MANZIN

TRIESTE Già direttore del Tg1, storico corrispondente da Mosca ed ex europarlamentare, Demetrio Volcic non dimostra grande ottimismo sulle funzioni di Trieste nel prosssimo sviluppo geopolitco dei Balcani. E lo fa in anticipo sull’incontro di domani al Grand Hotel Entourage a Gorizia alle 18, organizzato da Il Piccolo, dall’Skgz e dalla Associazione Venezia Giulia e Dalmazia dal titolo «La caduta dei muri». Sarà un dibattito a tutto campo col collega Jas Gawronski. Infatti Volcic parla di nuovi muri, invisibili, ma sensibili che proprio nei Balcani orientali sono sorti dopo la caduta del Muro di Berlino.

È caduto il muro di Berlino ma rimangono in piedi altri muri, magari fittizi ma altrettanto importanti. Penso alla Bosnia-Erzegovina e al Kosovo…

«Se il Muro è l’immagine simbolica per la distanza, evidentemente l’Europa può lenire con grande lentezza questi ostacoli e che la diplomazia mondiale classifica tra gli insolvibili».

Perché sarebbero tali?

«Perché possono in qualche modo risolversi solo con il passare del tempo e anche abbastanza a lungo. Per esempio quante conferenze si sono spese per la questione israelo-palestinese senza risultato? La situazione azera è sempre fallita. Pertanto esistono da tutte le parti dei problemi che probabilmente non sono risolvibili forzando i tempi».

E la diplomazia?

«Ci sono anche le soluzioni diplomatiche che non servono e che sono state inventate perché bisognava portare a casa qualche risultato».

A quale esempio sta pensando?

«Alla conferenza di Dayton che in realtà non ha portato alcun risultato e le distanze tra le tre etnie in Bosnia-Erzegovina sono rimaste al punto di prima».

E Trieste in questo contesto è al baricentro o alla periferia?

«A noi è sempre piaciuto vedere Trieste come un’entità un po’ misteriosa forse perché sedotti o vittime del mito asburgico e di Claudio Magris, nel senso che dovrebbe essere la città ironica che sorride un po’ da scema perché in realtà è un partner che non regge la partita, una città difficilmente definibile che elude ogni verità, un crogiuolo che lascia un sentimento di poca appartenenza a quanto le sta intorno».

Quale verità elude Trieste?

«Elude un’autoanalisi e un’autocritica perché i tempi per le autocritiche non sono maturi, evidentemente, un emporio che poi in qualche modo si ritrova ridimensionato e che difficilmente accetta un’altra definizione di se stessa e vive sempre un po’ più rivolta al passato che al futuro. In fondo se passeggi per Trieste e poi confronti con tutto quello che è stato scritto dai triestini (penso a Saba), e guardi la realtà non la vedi rispecchiata. Qualche città forse mantiene più di quanto ci si attenda. Trieste, invece, non dico piallata perché è un brutto termine, ma è stata parificata a tutta la nuova piccola classe media».

Quindi Trieste rischia di rimanere un’appendice dell’Europa?

«Per il momento resta una città come molte altre, mentre la si vedeva molto diversa e con un profilo molto più pronunciato».

La Realpolitik, dunque, ci consegna una Trieste diversa?

«Certamente diversa da quella della letteratura e delle battaglie che si sono fatte attorno a questa città. Forse è passato il tempo del Mediterraneo, l’Adriatico non regge più, l’idealità verso questa terra è un concetto che appartiene all’Ottocento e che oggi è superato e che appartiene al momento in cui da Vienna i primi treni arrivavano da queste parti accorciando terribilmente le distanze. Allora forse era un po’ sovradimensionata l’attesa per la città e per le altre simili del mare caldo».

Oggi però dove fallì l’Urss, e cioè di avere una base nel Mediterraneo, ci stanno riuscendo i tycoon russi con il petrolio…

«Qui si può parlare di moltissimi progetti. Evidentemente la Russia manovrando la sua estrema ricchezza di materie prime sta pianificando una rete di condutture che in sostanza tengono conto dell’attuale momento strategico, vale a dire di un’Ucraina che da figlia fedele di Mosca è diventata una nemica per cui bisogna fare il possibile con queste reti di evitare il suo territorio».

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