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Una voce italiana in Istria (Il Sole 24 Ore 24feb13)

«Italiani, sappiate resistere. La vostra Italia, l’Italia di Garibaldi e di Matteotti, ritornerà nella Venezia Giulia, è la voce di 45 milioni di Italiani che non ci hanno dimenticato e non ci dimenticheranno». Così esordivano le trasmissioni di Radio Venezia Giulia che iniziarono nel novembre 1945 per finire nel settembre 1949 ed essere riprese fino al 1954 sotto l’egida della Rai. Ma la stagione per così dire «eroica» fu quella iniziale fino alla metà del ‘47, quando a dirigerla fu Pier Antonio Quarantotti Gambini col fratello Alvise, e lo zio Antonio De Berti, deputato socialista, già sindaco di Pola, con la collaborazione del diplomatico Justo Giusti del Giardino, incaricato dal ministero degli Esteri di sovraintendere all’attività della radio.

Lo scopo, quello di portare la voce dell’Italia nei territori dell’Istria, occupati dagli jugoslavi, e sostenere l’animo dei connazionali, per evitare una inconsulta emigrazione, prima della conclusione del trattato di pace. Nell’agosto del ’46 il governo italiano andò alla Conferenza di Parigi con qualche tenue speranza di salvare qualcosa, ma trovò i giochi già fatti, la fermissima decisione sovietica di appoggiare fino in fondo le pretese jugoslave, non ostacolata nemmeno dagli americani, i più accomodanti con gli italiani. Restava aperta solo la questione di Trieste, occupata dagli anglo-americani, che anche per ragioni strategiche, con il suo grande porto, non volevano cederla al blocco comunista, ma si determinò una incertezza nella delimitazione dei confini, che presero forma in due zone intorno alla città, A e B, l’una sotto controllo alleato, l’altra jugoslavo, poi risolta solo nel 1954 con l’annessione definitiva di Trieste e della zona A.

L’Istria fu una tragedia e l’esodo degli italiani una pulizia etnica, che i Balcani tornarono a sperimentare dopo l’89. Una tragedia che l’Italia volle subito rimuovere dal suo immaginario collettivo e gli istriani furono abbandonati, essendo immigrati in patria, alle loro memorie. Non si ricorda che, nei traumatici eventi della Seconda guerra mondiale, quelle terre italiane soffrirono di più e parteciparono al dramma che investì tutta l’Europa orientale durante e dopo la guerra. Non è un caso che a ricostruire quegli eventi sia stata poi una storiografia di grande qualità, pressoché tutta di marca triestina e dintorni. A questa Roberto Spazzali aggiunge un tassello con «Radio Venezia Giulia».

L’uso della radio come strumento di propaganda, anche durante la guerra fredda, da ambo le parti, non è una novità. Ognuna ha una sua storia. Questa di Radio Venezia Giulia è particolarmente emblematica. Ricostruita su di una messe di minuti documenti ci mostra il peculiare intreccio di ingredienti che ne accompagnarono l’attività. Si trattava di dare notizie non solo dall’Italia libera e democratica, ma di raccogliere notizie su quanto accadeva nelle zone occupate dagli jugoslavi. Non era libera informazione, ma lavoro di “intelligence”, su cui necessariamente si incuneava e sovrapponeva quello degli apparati jugoslavi, quindi contrasto tra spionaggio e controspionaggio.

Si dimentica inoltre che la nostra frontiera orientale fu frontiera aperta, e le pretese jugoslave cessarono solo col voto del 18 aprile 1948, che fece definitivamente abbandonare a Stalin l’idea di un’espansione in Italia, con l’abbandono dell’ipotesi d’una guerra civile nel nostro Paese e di qui il lento smantellamento dell’apparato militare clandestino del Pci, a cui la rottura tra Stalin e Tito, nell’agosto di quell’anno, diede la sanzione ultima, donde l’assai tardivo allineamento comunista su posizioni propriamente “nazionali”. Ma, proprio per ciò, la “guerra fredda” con Tito fu poi assai diversa da quella contro Stalin, e l’appoggio occidentale a Tito, con tutte le sue ambiguità e complessità diplomatiche, non era destinato a fornire all’Italia, nemmeno dalla sua parte, un appoggio sicuro. Donde le difficoltà di questo servizio radiofonico, che non doveva fornire pretesti di non meditato “nazionalismo” da parte italiana, a cui invece sembrò inclinare il breve governo Pella nel 1953. Tuttavia, fino al 1954, , non venne mai meno, dovendo via via cedere ai fatti compiuti.

Piero Craveri
“Il Sole 24 Ore” 24 febbraio 2013

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