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Trieste vera capitale letteraria (Libero 01 lug)

Angolo inquieto d’Italia, simbolo dell’irredentismo, per mezzo millennio (dal 1382 al 1918) sotto la dominazione austriaca, contesa più volte nel Novecento, Trieste appare oggi pacificata epperò sempre orgogliosa. Vi mancavo da alcuni anni, l’ho ritrovata come sempre elegante, con la sua architettura aristocratica, la superba piazza dell’Unità, le rive luminose di sera lungo un mare azzurrissimo. Molto merito, mi hanno detto nello storico “Caffè degli Specchi”, dell’attuale sindaco Roberto Dipiazza, triestino vigoroso, patriota senza retorica, amministratore serio.

Trieste è entrata in un nuovo capitolo di storia. Da est, da Croazia e Slovenia, da una Jugoslavia sbriciolata, non vengono pericoli, della amata-odiata Austria si rimpiange la probità ed efficienza burocratica, c’è un po’ di nostalgia della cultura mitteleuropea, assorbita da generazioni. Eccola com’è oggi, in pace con la propria storia, fiera delle proprie tradizioni, questa bella città, che per tanto tempo è stata nei sogni patriottici degli italiani, che per piantarvi il tricolore, ancorare ai moli le loro navi, far correre i bersaglieri sotto San Giusto, sacrificarono migliaia, centinaia di migliaia di vite. Un’epopea che è lontana, ma che resiste nei cuori dei triestini.

Sì, c’è una nuova storia per i 230mila triestini di oggi. Che, però, alla storia di ieri si sentono legati e dell’antica cultura non sanno fare a meno. Trieste è certamente la città più europea d’Italia. Vi si respira aria di Mitteleuropa, è piccola capitale, ne ha le fattezze, i pensieri, la distinzione: quei monumenti, quei palazzi, il castello di Miramare, il piglio dei suoi borghesi, la sede delle Generali, quel palazzo di governo in piazza dell’Unità che non sembra ospitare solo un prefetto, tutto quel mare di fronte, che visto dall’alto del Carso abbaglia, fa pensare a quanto gli Asburgo lo considerassero gioiello della loro corona, porta della loro Europa verso il Sud del mondo.

La storia di questa città, italiana nell’anima ed europea nell’intelletto, è, si può dire, una sorta di “Sturm und Drang”, che ha sì i toni drammatici della famosa opera di Klinger, ma conserva i caratteri classici della cultura e delle tradizioni triestine. In questa storia ci sono Il mio Carso di Scipio Slataper, La coscienza di Zeno di Italo Svevo (al secolo l’industriale Ettore Schmitz), c’è un po’ dello Joyce dell’Ulisse, che a Trieste visse alcuni anni e ne assorbì la cultura, c’è Gianni Stuparich, patriota e medaglia d’oro guadagnata in trincea nel ’15-’18, autore del bellissimo Ritorneranno, c’è la prosa di Pier Antonio Quarantotti Gambini, narratore brillante, c’è persino un po’ di Kafka, che fu dipendente delle Generali e che il primo traduttore delle sue opere, Il processo e Il castello, lo ebbe a Trieste con Alberto Spaini.

Quanta umanistica nella cultura triestina, che continua tuttora con scrittori come Claudio Magris, che a Trieste vive, letterato finissimo che al mito asburgico ha dedicato pagine impareggiabili; come Enzo Bettiza, saggista elegante e poderoso, analista penetrante, romanziere fulgente col suo Esilio, vero capolavoro letterario. Bettiza è di Spalato, ma triestino certamente nel cuore.

Che magnifica città, ora però un po’ dimenticata, dopo essere stata per tanto tempo nei sospiri, nelle rêveries patriottiche degli italiani. Una nostra, nostrissima, città, che ha una solida memoria storica, che ancora reagisce alle distrazioni e distorsioni politiche. Ne è testimonianza quel ch’è accaduto recentemente, il 25 aprile e il 1° maggio scorsi, quando sul Carso, alla periferia di Trieste e in piccoli centri come Besovizza e Longera, sono comparsi vessilli della vecchia Jugoslavia titina. Avvertito, è corso sul posto il sindaco Dipiazza, facendo rimuovere molte di quelle bandiere fuori tempo e fuori luogo.

Un’ultima doverosa nota. Ho raccolto in questa mia visita (vi ho presentato il mio Storia della libertà) alcune lamentele: l’isolamento della città dal resto d’Italia, di cui si sente orgogliosamente parte (in treno la distanza Trieste-Milano si copre in cinque ore, quasi più che Milano-Napoli); c’è allarme per il taglio della Prefettura di Trieste, il che sopprimerebbe l’istituzione che garantisce l’unità dello Stato; si teme che il prossimo pensionamento di Antoine Bernheim (85 anni) possa ridurre il peso e la presenza in città delle Assicurazioni Generali, che di Trieste sono l’espressione finanziaria-imprenditoriale storica. Ma sì, questa città merita più attenzione, più considerazione. Qualcuno a Roma batta un colpo in sua difesa.

Egidio Sterpa

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