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Trieste, storia travisata (Il Piccolo 29 mar)

LETTERE

È stato recentemente distribuito da un giornale in omaggio il dvd «Novembre – Le giornate di Trieste».

Mi auguro che la visione abbia procurato non poca soddisfazione a tutti coloro che da anni sostengono quell’immagine denigratoria della Polizia triestina voluta, forse, per giustificare alla fin fine chissà quali segreti politici.

Sono certo tuttavia che molte persone non più giovani saranno rimaste perplesse – a dir poco – per quella ricostruzione artatamente confusa.

In particolare segnalo solo alcuni dei falsi riscontrati.

1. È stato un ufficiale italo-americano (e non inglese) che, in abiti civili (dirigeva la Div. Criminale Investigativa – C.I.D), entrò in Municipio per far togliere la bandiera.

2. Mai la Polizia Civile ha vestito camicia con cravatta perché la giubba invernale era abbottonata fino al collo con fascetta coi due fregi metallici alabardati.

3. Le violenze in chiesa sono ricostruite in modo volutamente esagerato: si vedano documenti e giornali d’allora che riportano sì quei fatti, gravissimi ma non in quel modo.

Quella vicenda dolorosissima, sofferta profondamente da tutti quelli che aspiravano ad una vita democratica, di pacifica convivenza, rispettosa delle identità nazionali, dopo l’immane tragedia bellica, non dovrebbe far dimenticare all’opinione pubblica che quella Polizia per ben 9 anni dal ’45 al ’54 ha sorvegliato i confini, ha rese sicure vie e piazze – anche le più solitarie – non solo della città ma dell’intero territorio con pattuglie impegnate notte e giorno (chiamiamole pure «ronde») svolgendo tutti quei compiti che oggi sono affidati a Carabinieri, Polizia, Guardia di Finanza, Forestale, Penitenziaria, Municipale, Guardia costiera. Erano 5-6 mila in quegli anni. E oggi?

Mi sembra che si voglia proprio far dimenticare certi lati positivi della storia della nostra città. E i triestini preferiscono il silenzio, noncuranti delle violenze che continuamente vengono loro riservate con una disinformazione non degna per i tempi che corrono.

Silvano Subani

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