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Trento-Trieste e il mito del ponte (Voce del Popolo 20 ott)

Alla ricerca delle radici culturali e storiche, spesso le leghiamo ad un ambiente esistente, ma imprecisato perché quello che vortica nella nostra testa non è il medesimo che si materializza in un posto ben definito, e che chiamiamo casa o luogo di nascita. Ecco perché ci si accorge a volte che può essere ovunque, laddove le nostre sensazioni si fanno più forti e vibranti come il ramoscello nelle mani del rabdomante alla ricerca dell’acqua. E allora può succedere che un luogo ci sembri per un attimo familiare, che abbia il profumo di casa per delle strane connessioni che appartengono a noi e alla storia, contemporaneamente.

Quante volte è capitato di fare una battuta divertita su Trieste e Trento che nell’immaginario di molte persone sono collegate da un fantomatico ponte, che le unisce in un soffio. In effetti la storia che le ha legate in un unico destino di confine le ha rese in qualche modo vicine. Provate a passeggiare per Trento tra palazzi che raccontano la sua storia e ne fanno una località unica, in cui gli idiomi si incrociano e si scambiano, come a Trieste, lasciando spazio anche al dialetto.

Provate ad entrare in un negozio e dire che arrivate da Trieste, immediato il sorriso e l’immancabile richiamo ad un’unione Trento-Trieste che, ad escludendum, è stata motivo del mercanteggiare sulla tavola dei potenti dopo la Seconda guerra mondiale – e venne abbandonata l’Istria –, ma questo binomio continua a funzionare, si è stabilito un legame nell’immaginario collettivo che ha dell’incredibile.

Salite al Castello del Buon Consiglio con la sua storia di principi e Papi e di una riforma che tenne incollato il clero in quella terra per decenni per addivenire a una nuova disciplina della chiesa. Ma secoli dopo, durante la Prima guerra mondiale, nella fossa del Castello con la sua pomposa sequenza di stanze e cortili, scale e labirinti, gallerie e stanze segrete, in quella fossa che lo circonda venne giustiziato Fabio Filzi. Era nato a Pisino da famiglia roveretana (vedi il caso) il 20 novembre del 1884, suddito austriaco era un avvocato irredentista italiano-istriano. Disertò dall’esercito austro-ungarico per combattere, come volontario per l’Italia, nella Prima guerra mondiale. Fatto prigioniero assieme a Cesare Battisti il 10 luglio 1916 fu con lui condotto a Trento, processato e condannato a morte per alto tradimento. La sentenza fu eseguita tramite impiccagione alle 19.30 del 12 luglio 1916 nella fossa del Castello del Buon Consiglio, un monumento ricorda il fatto.

Legami che descrivono un destino, ma non giustificherebbero il richiamo alle origini se non capitasse di entrare in una libreria e chiedere un libro di un autore locale, per conoscere il territorio nel racconto di chi vi è nato e vissuto e scoprire atmosfere familiari lontano da casa. Giorgio Jellici racconta che da bambino a casa sua l’autunno arrivava con le pesche selvatiche, quelle profumate e dolcissime, piccole e con l’osso “destacà”, che si staccava dalla polpa con un semplice gesto delle mani. Uguale. Trento, Trieste, Istria.

E il profumo dei crauti con la porcina che si spande nella casa con il primo freddo e la minestra calda e la medesima nostalgia per riti che la campagna non ricorda più, gli affetti, il valore della famiglia, anche quella allargata nella quale trovava spazio anche chi vagava per i campi a cercare le pesche settembrine per meritarsi un piatto di minestra e un bicchiere di vino sorseggiato tra un sospiro ed una frase che sembrava una sentenza: “Per quest’anno queste pesche sono le ultime”. La stagione era destinata a cambiare e altri raccolti sarebbero stati il motivo di altre visite.

Scorre il dito sulla riga di una pagina che sembra scritta a quattro mani perché sono i pensieri a sdoppiarsi in una voglia di casa che può essere dovunque, anche all’interno di una piccola emozione che arriva e se ne va tra Trento e Trieste. Il dubbio rimane: e se non fosse un caso il legame Trento-Trieste…mah!

Rosanna Turcinovich Giuricin

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