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Tra i cunicoli del Sabotino (Il Piccolo 23 mar)

LETTERE

Chi sabato pomeriggio, a quota 609, ha estratto la piccola agenda verde dalla custodia posta a fianco al cippo confinario e l’ha siglata, si è sentito protagonista di una piccola impresa. Il vento che spazzava la cima del Sabotino a tratti non permetteva nemmeno quasi di avanzare, con le nuvole che correvano veloci sopra la testa. La vista delle Alpi Giulie ancora completamente innevate da una parte, e quella del mare dall’altra, però, ripaga di tutto. Un po’ di freddo lo si sopportava quasi volentieri. E poi – a essere sinceri – dopo avere esplorato le trincee e le caverne che s’insinuano fin nelle viscere più profonde del monte, scavate durante il primo conflitto mondiale da austriaci e italiani, ed essersi resi conto quale immane fatica queste opere comportarono, il coraggio di lamentarsi viene automaticamente meno. Perché l’escursione proposta l’altro giorno da Isonzo-Soca, alla quale hanno presto parte una ventina di persone, l’atmosfera della guerra di logoramento l’ha fatta rivivere in tutta la sua durezza. Le gallerie dalle quali sbucavano gli obici per martellare il Vodice o il San Gabriele, fanno venire i brividi. Al loro interno centinaia di uomini vissero e combatterono in condizioni disumane. A scavarle, gli italiani, quando nel 1916 conquistarono una prima volta il monte, chiamarono i minatori del Sulcis. Per perforare quella pietra durissima fecero brillare migliaia di piccole cariche, avanzando al massimo di dieci centimetri al colpo. In alcune di quelle postazioni fortificate potrebbero trovare posto persino degli autotreni, tanto sono grandi. Oggi, vengono percorse da curiosi e appassionati, che usano le feritoie solo per scattare fotografie: Gorizia e Nova Gorica, a guardarle da lassù, adagiate sulla valle dell’Isonzo, sono un piccolo spettacolo.

Nicola Comelli

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