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Toth e gli italiani di frontiera (Il Secolo XIX 02 dic)

Cittadini di Zara, il sogno dei nostri avi si è avverato: l’Italia è qui”. È questo il proclama che il podestà affigge sui muri della città, chiamando a raccolta la popolazione. Il pomeriggio stesso del 4 novembre 1918, giorno in cui il Bollettino della Vittoria annuncia che l’Impero austro-ungarico si è arreso all’Italia, la torpediniera AS 55 sbarca in città il primo reparto dell’esercito italiano. Un gendarme austriaco viene inseguito e spinto in strada da un gruppo di ragazzini. “Tullio trovò qualcosa di repellente, di inutilmente vile in quell’aggressione idiota. Piombò sulla ragazzaglia – che non conosceva – con calci e pugni. “E ti, va a casa”, disse poi al gendarme, spaurito e ammirato. “Non è giornata da andar in giro vestito così. L’Austria xe finìa”. E lanciò il berretto in aria per far capire al poliziotto e a tutti quali fossero i suoi sentimenti”.

Comincia così, con l’immagine del disfacimento dell’Impero austro-ungarico, per concludersi 75 anni dopo, con il collasso della Repubblica Jugoslavia, un viaggio attraverso il “secolo breve” per raccontare l’odissea di tre generazioni delle genti di Dalmazia, abitanti di quel confine le cui vicende sono state per tanto – troppo – tempo misconosciute, ignorate, sepolte, oppure utilizzate a scopo politico, dall’uno o dall’altro schieramento, per sostenere le proprie posizioni.

Lucio Toth, nato a Zara nel 1934, una carriera in magistratura fino a diventare presidente di sezione della Corte di Cassazione, guida dell’Associazione nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, narra in “La casa di Calle San Zorzi” (edizioni Sovera, 318 pagine, 19 euro), suo esordio in veste di romanziere, la saga di quattro famiglie, due di nazionalità italiana e due di origine croata, legate da vincoli di sangue, che vivono nella stessa casa, in calle San Zorzi, le cui vicende individuali si inseriscono nella grande Storia: dalla finis Austriae al fascismo, dall’esodo dopo l’occupazione jugoslava agli anni Settanta, da parigi, alla Grecia, al Vietnam, fino all’esplosione dei conflitti tra Serbi e Croati. Zara è come Itaca, città eternamente sotto assedio, che cambia pelle e vessilli, dal tricolore e dagli stendardi dalmati “azzurri, coi tre leopardi d’oro che mostrano la lingua ad amici e nemici” alle insegne della Croazia, “fino a far diventare stranieri a se stessi i propri figli”, come spiega lo stesso autore.

Al centro resta la casa che dà il titolo al libro, il luogo delle radici e dei rapporti familiari, il focolare. «Ciò che più colpisce un esule quando torna nella sua città o nel suo paese» ha dichiarato Toth in un’intervista «è vedere la propria casa abitata da altri, che – anche se parenti – sono ormai “diversi”». Un altro filo conduttore è la natura, il mare di Zara, quello in cui la giornalista Anja, nell’ultimo capitolo, trova serenità: «Era per quello che veniva lì. Anche adesso che dei suoi non era più vivo nessuno. Per sentirsi viva lei e raccogliere le forze».

È una storia, quella raccontata da Toth, senza pretesa di essere un romanzo storico, in cui anche la Liguria – che tanti esuli da quelle terre ha accolto – gioca un ruolo. È a Rapallo, il 12 novembre del 1920, che Italia e Jugoslavia firmano l’accordo in cui si stabiliscono i confini dei due regni, con Trieste, Gorizia, l’Istria, Zara e altre zone che diventano italiane. Una decisione che Tullio, nel romanzo, vive come un tradimento “contro la sua città, contro la sua gente”, perché al regno jugoslavo andava quasi tutta la Dalmazia e “questo significava che prima o poi le truppe italiane avrebbero abbandonato Sebenico e l’entroterra zaratino e che comunque D’Annunzio da Fiume avrebbe dovuto sgombrare”. È sulla salita del Bracco, lungo la strada da Genova verso La Spezia, invece, che il guardiamarina Dario Veltz, cugino di Tullio – che poi emigrerà in Brasile – apprende dell’armistizio firmato da Badoglio, l’8 settembre 1943. “Un’angoscia improvvisa si impadronì di Dario. Tutta la flotta! La sua nave! I suoi compagni! Cos’era successo in quelle poche ore? da Genova aveva telefonato alle cinque per dire che aveva completato il carico e stava ripartendo. Nessuno gli aveva detto niente. Era tutto tranquillo”. Cosa penseranno papà e lo zio Stefy, con il suo senso della dignità e dell’onore, si chiede Dario, che cosa succederà a Zara, a Spalato, abbandonate a se stesse? È proprio allo zio Stefy, magistrato in pensione, “vecchio aristocratico liberale” conosciuto per la sua imparzialità, che Toth fa dire le frasi più illuminanti: “Vedi, se abbandoni il primato della legge la forza prende il sopravvento, prevale l’istinto umano di sopraffazione. La legge è la vera protezione del povero di fronte al ricco, del debole contro il forte. Anzi di più: è anche la difesa del ricco contro la furia e la bestialità del povero, quando cerca la sua forza nel numero; è la difesa delle minoranze illuminate contro l’ignoranza delle masse. E insieme la difesa delle maggioranze dalla prepotenza di minoranze decise e organizzate”. Era molto chiaro a cosa si voleva riferire. Ce l’aveva con i fascisti e i comunisti”.

plebe@ilsecoloxix.it

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