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Toponomastica di Capodistria nella storia (La Voce in Più 05 lug)

di Kristjan Knez

 

In concomitanza con le celebrazioni del patrono cittadino, San Nazario, è uscito il ventiseiesimo numero de “La Città”, il foglio della Comunità italiana di Capodistria, diretta sagacemente da Alberto Cernaz, giornalista e cultore di storia patria. In questa edizione del semestrale, il redattore responsabile propone un suo lavoro di ricerca sugli odonimi, vale a dire i nomi propri assegnati alle vie e alle piazze, del centro istriano. Attraverso una attenta e documentata analisi Cernaz presenta la realtà dello stradario capodistriano, dall’introduzione delle prime denominazioni durante l’età austro-ungarica (proposte nel
1884 e inserite, con lievi modifi che, nel 1905), passando per il quarto di secolo di amministrazione italiana, che in taluni casi aveva sostituito parte degli odononimi, continuando con la situazione registrata negli anni in cui la cittadina venne a trovarsi nella Zona B del mai costituito Territorio libero di Trieste, terminando infine con la stagione jugoslava, che stravolse completamente la toponomastica, e che analizzeremo nel dettaglio nel prosieguo di questa recensione.  Il pregevole studio è arricchito altresì dall’indicazione degli odonimi popolari, vale a dire quelle denominazioni dei tratti cittadini conosciuti per lo più dalla popolazione locale, tanto da divenire una sorta di toponomastica “ufficiosa”, utilizzata con fi nalità pratiche.
Scrive l’autore della ricerca: “Quando qualcuno chiedeva a mia nonna dove si trova una via, solitamente non sapeva rispondere. Anche se questa si trovava a due passi da casa sua. Il motivo è semplice: i capodistriani si orientavano raramente in città secondo i nomi uffi ciali delle vie; forse perché questi nomi cambiavano ad ogni cambio di potere, o forse anche perché era più facile ricordarli, utilizzavano odonimi popolari” (p. 3). Attraverso la consultazione di fonti di varia natura: carte d’archivio, piante della città, cartine, articoli di giornale e la scarsa bibliografia  concernente l’argomento, l’autore è riuscito a trattare egregiamente tale aspetto, fornendo non poche informazioni concernenti gli odonimi di quella che un tempo veniva definita “l’Atene dell’Istria” e i non pochi mutamenti che si verificarono nel corso del Novecento. Nei secoli della Serenissima il centro urbano
non era contrassegnato da particolari nomi, nei documenti si riscontra tutt’al più indicazioni relative a singole sezioni della città, che avevano lo scopo di defi nire con maggiore precisione un determinato sito.

 Ecco allora che possiamo leggere “calle detta Calegaria” oppure “loco dicto Caprile”, e tale situazione era presente in tutte le località istriane. Le novità arrivarono con i Francesi agli inizi dell’Ottocento. Gli amministratori transalpini cambiarono il nome a tutti i rioni, ecco allora che venne introdotta la “Strada Eugenia”, mentre la circonvallazione realizzata intorno all’isola prese il nome di “Strada Napoleone”. Sconfitto il generale corso ritornarono gli Austriaci, e nel periodo della Restaurazione i medesimi sostituirono i nomi imposti dai Francesi con quelli relativi ai luoghi delle battaglie in cui vennero battute le armate oltralpine.

Troppi mutamenti

Verso la metà del XIX secolo venne riformato il catasto con una nuova numerazione delle case, ma, nonostante tutto ciò, le vie non avevano ancora nomi uffi ciali. Nel 1858 lo storico ed archeologo triestino Pietro Kandler scrisse al comune giustinopolitano sollecitando gli amministratori ad elaborare un insieme di nomi da attribuire alle vie del centro cittadino. Dovettero passare ancora diversi anni e nel 1873, fi nalmente, la rappresentanza comunale affi dava ad un’altra commissione lo studio volto alla denominazione delle contrade della città. Malgrado i buoni intenti non se ne fece nulla e nel 1880, su iniziativa del consigliere
comunale Giovanni Martissa Carbonaio venne formata una nuova commissione. Oltre al sopraccitato Martissa la componevano Andrea Tommasich e il prof. Giacomo Babuder.
Nonostante il lavoro espletato il consiglio comunale, in una delibera, espresse che “non trova opportuno elaborare la proposta per la carta toponomastica per la denominazione delle piazze e delle vie” (p. 3). Il già ricordato Martissa non si dette per vinto, e nel 1883 riprese l’impegno, affi ancato, questa volta, dal prete Angelo Marsich, dall’ingegner Agostino Bratti e dall’intellettuale Domenico Manzoni. L’anno successivo i componenti della commissione presentavano i criteri adottati per i nuovi nomi, illustrando le differenze esistenti tra via, calle, calletta, calle chiusa, calletta chiusa, largo, piazza piazzale, erta e campo. Ancora una
volta la municipalità decise di procrastinare il progetto e deliberò di “soprassedere all’esecuzione della nomenclatura a tempi migliori quando le vie e le piazze siano pavimentate e canalizzate” (p. 3).

Nel 1905 si giunse fi nalmente ad intitolare le arterie cittadine. Gli odonimi originari avranno però vita effimera. Dopo meno di tre lustri la duplice monarchia si dissolse e nel novembre del 1918 l’esercito regio italiano entrava vittorioso a Capodistria. Rammentiamo che tra la fi ne dell’Ottocento e gli inizi del Novecento la patria di San Nazario rappresentava uno dei pilastri del movimento irredentista, aveva espresso esplicitamente la propria italianità ed annoverava un Liceo, che era considerato, non a torto, una fucina di patrioti.
Da questa città dell’Istria settentrionale provenivano infatti Carlo Combi, Antonio Madonizza, Pio Riego Gambini e Nazario Sauro, solo per citarne alcuni. Nell’immediato dopoguerra, nell’euforia della vittoria italiana, ossia della “redenzione”, si formarono comitati cittadini il cui fi ne era onorare, e, più in generale, richiamare alla memoria le glorie del risorgimento nazionale, coloro che caddero per l’unificazione della loro terra all’Italia, passando nelle fi le dell’esercito tricolore, quindi i “martiri”, che si distinsero sul fronte con le loro azioni. In tale periodo si propose l’erezione di un monumento dedicato a Sauro e in concomitanza si procedette all’introduzione di odonimi che dovevano evidenziare momenti e figure  del patriottismo giuliano.

Il patriottismo giuliano

Per citare qualche esempio rammentiamo che il Brolo divenne Piazza Vittorio Emanuele III, la via passante tra il Duomo e il vescovado divenne via XXX Ottobre, la Riva del Porto venne intitolata Riva Nazario Sauro mentre l’attuale Piazzale Vergerio venne dedicato a Guglielmo Oberdan. Nel 1920 si registreranno altre modifi che: la Via Eugenia divenne Viale XX Settembre, venne cancellata la Calle degli Ebrei per sostituirla con quella dedicata ai Volontari della Prima guerra mondiale; in piena epoca fascista, poi, Piazza del
Duomo divenne Piazza Roma.  Alberto Cernaz ha preso in esame anche il periodo 1945-1951, in realtà, afferma il medesimo, non vi furono grossi cambiamenti. Si notano solo talune sostituzioni che hanno sapore di “epurazione”, ossia erano tendenti a “ripulire” il manto ideologico e quando era stato introdotto durante il Ventennio: Piazza Vittorio Emanuele
III venne intitolata al partigiano Pietro Gandusio, venne inaugurato il Belvedere Primo Maggio mentre la Riva dei Bagni venne denominata all’Armata rossa. Sino alla fi ne degli anni Quaranta i nomi delle vie e delle piazze rimasero pressoché inalterati.
Nei Bollettini uffi ciali si nota, tra le altre cose, anche gli elenchi di coloro che avevano smarrito la carta d’identità; i nomi di tali persone sono quasi sempre slavizzati, mentre l’indicazione degli indirizzi – siamo nel 1949 e la versione è trilingue – appare esclusivamente in lingua italiana. I mutamenti nello stradario si manifestarono a partire dal 1951, infatti dal giugno di quell’anno le vie intitolate a Battisti e Filzi cedettero il passo ai
patrioti croati Nazor e Laginja, il volontario capodistriano Bullo venne sostituito con il poeta sloveno Simon Gregorčič, Garibaldi prese il posto di Angelo Calafati, mentre la via dell’Armata rossa, dopo la rottura tra Tito e Stalin, venne dedicata alla Marina jugoslava.

I cambiamenti più radicali

I cambiamenti più radicali avvennero nel 1956, vale a dire nel periodo successivo al Memorandum di Londra e ad esodo praticamente ultimato. Riporta l’autore: “Una commissione di cui fanno parte, tra gli altri, il prof. Suhadolnik e lo studioso Vilhar, apporta modifi che non solo ai nomi, ma anche alla struttura stessa dello stradario adattandolo alle nuove circostanze: calli e callette vengono riunite in vie più lunghe alle quali vengono integrate anche le ex androne (calli chiuse). La nuova odonomastica, in buona parte oggi ancora in vigore, si caratterizza per l’inserimento di personaggi della cultura (Kosovel, Prešeren, ecc) e della politica (Kidrič) slovena. La piazza centrale era detta della Rivoluzione torna ad essere intitolata a Tito. La Rivoluzione passa in Brolo scalzando il partigiano Gandusio” (p. 4). Tra gli anni 1956-1991 non si registrarono cambiamenti signifi cativi, venne introdotto un piazzale dedicato ad Edvard Kardelj, mentre L’erta del Belvedere divenne Via Patrice Lumumba, in onore del primo presidente del Congo post-coloniale assassinato nel
1961. Dal 1991 in poi, cioè con l’indipendenza della Slovenia, vi furono delle “correzioni” e di conseguenza si eliminarono gli odonimi riconducibili al regime comunista e alla Repubblica Federativa di Jugoslavia; la Piazza della Rivoluzione ritornò a denominarsi Brolo, la Strada dell’Armata Popolare Jugoslava divenne Via del Porto e così via.

Ma in quale misura mutarono gli odonimi del centro storico capodistriano? Come abbiamo già scritto, con l’avvento del Regno d’Italia lo stradario subì alcuni cambiamenti e vide l’introduzione di nomi legati all’irredentismo, al primo confl itto mondiale – considerato la quarta guerra risorgimentale – e, successivamente, al regime fascista. Complessivamente, però, non vi furono cambiamenti radicali, poiché la stragrande maggioranza delle indicazioni delle vie e delle piazze non vennero meno. Nel periodo compreso tra il 1947 e la seconda metà degli anni Cinquanta del secolo scorso si procedette, invece, all’eliminazione dei nomi riconducibili al regime mussoliniano che furono sostituiti soprattutto con nomi legati alla lotta della popolazione locale contro il nazifascismo. Il cambiamento quasi completo, che alterò completamente le denominazioni della cittadina, si verifi cò, come abbiamo già rammentato, a partire dal 1956.

Per eliminare il carattere italiano

L’esodo della componente italiana (circa il 90 per cento della popolazione complessiva) aveva mutato profondamente la realtà di Capodistria: il sostrato venetofono venne ridotto ai minimi termini, una nuova popolazione – in un primo momento prettamente di lingua e cultura slovene, e successivamente proveniente anche dalle altre repubbliche della Jugoslavia – aveva rimpiazzato gli abitanti autoctoni, e si procedette ad una sorta di “colonizzazione” del territorio. Parallelamente si iniziò a modellare la realtà cittadina, che stava
acquisendo sempre più un’immagine slovena e al contempo si passò all’eliminazione degli elementi non confacenti al nuovo ordine che si stava stava realizzando. Negli anni Cinquanta si registrò non poche distruzioni di lapidi, targhe marmoree, iscrizioni relative a personaggi e a fatti della storia capodistriana – sovente ritenuti non in “linea” con quanto proponeva il regime e antitetici rispetto alla vulgata uffi ciale – e quasi parallelamente aveva inizio il repulisti degli odonimi cittadini. Nel giro di breve tempo Capodistria – ma anche le altre
cittadine costiere – perdette quasi completamente i nomi dello stradario, poche furono le denominazioni che si salvarono. Si mise in atto una cancellazione totale e totalizzante con l’obiettivo esplicito di eliminare quanto ricordava il carattere italiano del centro costiero.

 

Gli odonimi, e in generale i toponimi, rispecchiavano una determinata realtà, il loro signifi cato andava ricercato nella storia e nello sviluppo civile e culturale della comunità ivi residente. Solitamente ogni nome riconduceva a fatti, avvenimenti particolari,
illustri personaggi, alla sfera religiosa e alla storia regionale in senso lato. Se teniamo presente che proprio negli anni Cinquanta taluni ambienti parlavano di una città che era stata colonizzata, alterata, “camuffata” con emblemi quali leoni e lupe (per riferirsi a Venezia e all’Italia littoria), e che al termine del confl itto, fi nalmente, ritornava in grembo alla madrepatria, non risulterà diffi cile comprendere il motivo della “ripulitura” degli odonimi, accompagnata, tra le altre cose, anche dalla chiusura delle biblioteche civiche e dalla dispersione del loro patrimonio librario.

Quanto accadde negli anni successivi al termine del secondo confl itto mondiale portò ad una trasformazione in toto, che la città adriatica non aveva mai conosciuto nella sua lunga ed articolata storia. Gli odonimi originari, come abbiamo poc’anzi evidenziato, furono interamente eliminati e sostituiti con altri, ritenuti più pertinenti al nuovo contesto. Questa era un’operazione ben architettata, giacché il rimpiazzo degli odonimi medesimi si inseriva nel discorso volto a celare i caratteri originali della patria di Gianrinaldo Carli. Le nuove denominazioni occultavano il passato e introducevano elementi appartenenti ad una cultura
che non trovava riscontri nel centro istriano. Il cambiamento dei nomi aveva una valenza politico-ideologica nonché nazionale ma anche nazionalistica, in quanto non teneva in considerazione la natura specifi ca di tale territorio nelle sue più svariate espressioni. Insomma siffatte “sostituzioni” dischiudevano una nuova epoca e decretavano il defi nitivo tramonto della vecchia Capodistria.

 

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